la Digos contro le camicie verdi

Il procuratore di Verona: perquisite la sede del Carroccio. Notte di bagarri j Il procuratore di Verona: perquisite la sede del Carroccio. Notte di bagarri j la Digos contro le camicie verdi Primo sì alle procure: Bossi daipm anche con la forza TRA ILLEGALITÀ' E VIOLENZA in senso federale si possono discutere anche, e anzi soprattutto, con i deputati e i senatori della Lega; a patto che essi però si considerino a tutti gli effetti membri del Parlamento italiano e soggetti alle leggi i della Repubblica, e non esponenti del governo provvisorio di uno Stato indipendente. Ma, a quanto sembra, sperare che le riforme federaliste auspicate da Scalfaro e (quanto a lungo, ahimè) annunciate dal governo servano a ridimensionare i propositi secessionisti di Bossi è una pia illusione. Per cui, se il federalismo si farà, questo non ha nulla o quasi a che fare con il problema del secessionismo. Questo ormai ha preso una via del tutto diversa, e anche se vorremmo sbagliarci - ha superato il punto di non ritorno. Il caso scoppiato ieri a Milano si poteva forse rilardare di qualche giorno o settimana, ma era inevitabile che accadesse. Il problema a cui non si può sfuggire e quello di come trattare, nell'ambito della legalità repubblicana, il caso di un gruppo politico che si presenta esplicitamente come secessionista e proclama la separazione di una parte del territorio nazionale dal resto del Paese. Se, come non può non fare, la magistratura fa il suo dovere e persegue questo gruppo a termini di legge, i rischi a cui si va incontro non sono certo lievi. Dopo le perquisizioni, potranno venire incriminazioni, ordini di arresto, forse condanne- Ci illudiamo davvero che nessuno dei pacifici (finora) piccoli imprenditori, negozianti, giovani operai leghisti, ceda alla tentazione di (ar scoppiare qualche bombetta davanti a questa o quella prefettura? Il fatto che la Repubblica abbia sconfitto il terrorismo degli anni di piombo non è una garanzia che possa vincere anche ernesta volta, e comunque non ò una buona ragione per disporsi a pagare nuovi prezzi. Dunque, da un lato è estremamente pericoloso decidere di applicare rigorosamente la legge al movimento di Bossi; e dall'altro, non si può, ovviamente, «trattare», almeno nei soli termini, da governo a governo, che Bossi accetterebbe, perché sarebbe come mandare in soffitta ogni legalità. C'è qualche altra via che eviti sia la tolleranza dell'illegalità sia i rischi di violenza? Ha ragione Ceronetti: bisogna andare a vedere in qualche modo il bluff di Bossi. Non però, come paradossalmente Ceronetti ipotizzava, offrendogli immediatamente di trattare la secessione; ma trovando un mezzo, sia pure straordinario e paracostituzionale (si dirà cosi?) per far si che i cittadini della cosiddetta Padania si esprimano sulla proposta secessionista. In fin dei conti, non è vero che i numeri non contano; non contano finché sono valutati a occhio; tanti alle feste sul Po, tanti con Fini a Milano, tanti al Festival dell'Unità. Noi sappiamo bene che la grande maggioranza dei cittadini del Nord non desidera spaccare l'Italia come Bossi vorrebbe. Dobbiamo dar loro modo di esprimersi chiaramente, sommergendo i capi leghisti sotto una valanga di no pronunciati in ima consultazione organizzata legalmente e con tutti i crismi della democrazia. E' ben vero che la nostra Costituzione non prevede un referendum di questo tipo; ma è un male, dovrebbe prevederlo. Se per caso davvero la grandissima maggioranza degli italiani del Nord volessero costituirsi in repubblica indipendente, avrebbero proprio solo l'arma della illegalità e della rivolta armata? Allo stato attuale delle nostre leggi, sembra di si. Forse una delle prima rifórme costituzionali, da fare velocemente (prima che il veleno leghista si diffonda, magari anche in forza del «martirio» di qualche Bossi o Borghezio gettato a marcire nelle prigioni colonialiste della Repubblica), dovrebbe prevedere la possibilità che i cittadini si esprimano anche su questi aspetti fondamentali della Costituzione. Non ignoriamo la difficoltà, anzitutto teorica, del problema, un vero e proprio rebus per i costituzionalisti. Ma di fronte ai rischi non tanto remoti dello scatenarsi di una guerriglia secessionista nel nostro Paese, varrebbe la pena di provare a pensarci. Gianni Vattimo MILANO. Finisce con i leghisti che vanno alla sede di via Bellerio, bandiere della Lega al vento, Umberto Bossi che si mette la camicia verde e telefona al pronto soccorso per sapere come sta Maroni: «Gli hanno appena fatto la Tac». Alle 21 i funzionari della polizia giudiziaria arrivati da Verona possono tornare dal procuratore Papalia. Missione compiuta, ma a che prezzo: non s'erano mai visti 5 agenti in borghese caricare 7 parlamentari. Se ve vanno tra sputi e calci all'Alfa; «Vergogna! Fascisti di merda!». La giornata comincia alle sette del mattino, quando la polizia giudiziaria va a perquisire le abitazioni di due leghisti, due capi del Cip, il Comitato eh Liberazione della Padania, meglio conosciuto come «Le camicie verdi». Enzo Flego, 5G anni, veronese, ex deputato. Corinto Marchini, 49 anni, milanese di Cernusco sul Naviglio, ex senatore. Nessun problema, a casa loro: da Flego trovano cinque camicie verdi, da Marchini la collezione di armi regolarmente denunciata e la bandiera della Padania issata domenica scorsa sul pennone di Venezia. Ma a Marchini domandano: lei ha ufficio nella sede della Lega? Marchini risponde che quando deve riunirsi certo che va in Lega, «e allora andiamo...». Ma qui cominciano i problemi. La notizia della perquisizione era già arrivata a Bossi e Maroni. L'occasione, per la Lega, era troppo ghiotta per lasciarla passare così, senza risposta. Le ipotesi di reato sono da ergastolo: attentato contro l'integrità, l'indipendenza o l'unità dello Stato, costituzione di associazione segreta o militare. A Verona sono state perquisite sede e abitazione del segretario Sandrino Speri, ribattezzato dai leghisti «il nostro Tito Speri». Nella sede di via Bellerio arrivano Marchini e i funzionari della polizia giudiziaria di Verona. C'è anche Roberto Maroni, da Torino è appena arrivato Matteo Brigandì, ex senatore, avvocato e «Procuratore di Padania», nel senso di difensore di tutti i leghisti. «Se non ci dite dove volete andare, e se non c'è scritto sul mandato di perquisizione, non potete entrare». E' mezzogiorno e comincia una trattativa estenuante e folle. I leghisti dicono che Marchini non ha ufficio in via Bellerio, ma ai poliziotti aveva dichiarato qualcosa di diverso. La trattativa va avanti per un'ora, per strada. Marchini aveva detto che sì, in sede aveva tenuto riunioni, almeno due con funzionari della Digos di Milano per organizzare il servizio d'ordine ai comizi di Bossi. Maroni protesta: «Nell'ordinanza di perquisizione c'è scritto che i capi saremmo io e Bossi, allora perché non siete venuti da noi?». Pausa, telefonata a Verona. Meglio verbalizzare quanto ha da dichiarare Marchini, che elegge domicilio legale «presso la Procura di Padania, via Bellerio 41, Milano». Dice Brigandì: «Con questo mandato non potete entrare». Alle due pare tutto finito. Marchini se ne va a casa («Maroni, guarda che a me non mi interessa niente, vado pure in galera, ma mi raccomando mia moglie e i figli»), sono arrivati anche Pagliarini e Gnutti per il pranzo nella mensa leghista. Ma l'Alfa targata Vr rimane parcheggiata sotto la sede. Che fanno? Aspettano una nuova ordinanza dalla procura. Arriva alle 17,30. Con passo deciso, ripresi dalle telecamere, i funzionari entrano. Ma c'è il cavillo del procuratore di Padania. «Lei, signor funzionario, ha visto l'originale di questo documento?». La risposta è no. «E allora quest'ordinanza è nulla, è solo un fax con la sua firma sotto». I poliziotti insistono. «Alt - fa Maroni - se entrate è violazione di domicilio!». La trattativa si fa concitata, i poliziotti bloccano i giornalisti. Ancora Maroni: «Chiamate i carabinieri!». Poi le cariche. E la protesta che dilaga nella notte, con centinaia di leghisti capeggiati da Gnutti davanti alla Prefettura. Ma la giornata campale, per Bossi, non è finita: a Roma la Giunta delle autorizzazioni a procedere decide contro di lui. Le procure di Aosta e Brescia vogliono il suo «accompagnamento coattivo», per farlo testimoniare: avranno quasi certamente soddisfazione. Brescia chiede risposte sul documento esibito da Bossi e firmato da un colonnello-fantasma del Sismi; Aosta vuole chiarire alcuni aspetti dell'inchiesta «Operazione lobbing». La decisione della giunta deve essere ratificata dalla Camera. [g. e] IL LEADER SECESSIONISTA PMILANO ER la prima volta mi sono messo una camicia verde anch'io. Se è di questo che hanno paura eccola qua». F,ccolo, Umberto Bossi in completo grigio e camicia padana sui gradini del cortile all'interno di via Bellerio, giornata del tumulto, Digos, vetri infranti per la perquisizione e pure cazzottoni a man bassa. Eccolo con la camicia verde nuova di cellophane «Che a questo punto indosserò tutti i giorni» - e se non proprio un sorriso la voce serena e tranquilla. Certo non è stata una festa, quella di ieri nella sede alla periferia della città. Ma poco ci manca, almeno a giudicare dalle parole del leader del Carroccio. Giusto, onorevole Bossi? «Ci saranno grandi feste nelle piazze della Padania. Noi che conoscemmo l'austriaco, adesso conosciamo l'italiano. E' caduta la maschera, è un regime fascista». Però Scalfaro... «Già, proprio nella giornata in cui Scalfaro a Roma dice certe cose il regime perde la testa e combina questa aggressione, perché c'è solo una parola per spiegare quello che è successo: aggressione a danno di parlamentari della Lega che hanno risposto solo con la resistenza passiva». Come risponde alle aperture del Presidente della Repubblica Scalfaro? «In tempi normali lo avrei anche chiamato, ci saremmo parlati. Ma così...». Così adesso pensate a come rispondere alla magistratura di Verona, alla Digos, agli agenti della squadra mobile che vi sono entrati in casa. Che risposta darete? «La nostra risposta non può che essere gandhiana». In che senso? «Nel senso che ora si può festeggiare l'indipendenza vicina». E' sicuro? «Tutti dovranno portare il fazzoletto verde fino a quando sulla Padania non sventolerà più il tricolore e non ci saranno più fascisti». Si riferisce ai magistrati o alla polizia che sono intervenuti in via Bellerio? «Bisognerebbe chiamare Scalfaro e farlo intervenire». E invece lei non lo chiama. Conferma? «Con quello che è successo qui, lo Stato ha violato l'articolo 68 della Costituzione. Adesso bisogna capire se è stato per colpa di un magistrato o per colpa della polizia. Bisogna capire chi ha violato la Costituzione, non si può perquisire l'ufficio di un parlamentare senza le debite autorizzazioni. E le autorizzazioni non c'erano». Si riferisce all'ufficio di Maroni? «Mi riferisco all'ufficio di Maroni, ma anche a tutte le botte che