Secessione, prime crepe nel Carroccio

Gli amministratori prendono le distanze da Bossi In pericolo la sopravvivenza di alcune giunte, Formentóni: «Mai preso ordini dalla Lega» Secessione, prime crepe nel Carroccio Gli amministratori prendono le distanze da Bossi ROMA. Tira una brutta aria per la Lega di Bossi che ora appare isolata all'esterno e incerta anche al suo interno. La forzatura per creare un fantomatico Stato indipendente della «Padania» potrebbe diventare un boomerang, visto lo scarso seguito raccolto. Alcuni amministratori locali della Lega, che vedono minacciata la sopravvivenza delle loro giunte dalla svolta estremista di Bossi, tentennano. Come sta accadendo a Milano con Formentini il quale annuncia: «Non ho mai preso disposizioni dalla Lega e così intendo continuare». Affermazioni forti che sono un indice dell'indebolito carisma del capo della Lega dopo il fiasco dell'appello alla secessione. La magistratura, intanto, ha aperto due inchieste sulle dichiarazioni domenicali di Bossi. E il presidente della Corte Costituzionale, Mauro Ferri, ha chiarito ieri che l'indipendenza che vuole Bossi «dal punto di vista costituzionale non esiste perché è la negazione stessa delle premesse della Costituzione». Inoltre, oggi la Camera deciderà se obbligare Umberto Bossi a testimoniare in due distinti procedimenti penali nei quali è coinvolto come «persona informata dei fatti», e dove lui si è finora rifiutato di andare. Il capo della Lega ieri era a Roma a dare spiegazioni sugli insulti che ha distribuito ai giornalisti che seguivano una sua conferenza stampa che hanno poi abbandonato («C'era una provocazione»). I deputati leghisti hanno partecipato disciplinatamente ai lavori di Montecitorio, dove si sono presentati in 33 su 59. Una rappresentanza del 56 per cento. Non ha avuto alcun seguito la proposta di Mirko Tremaglia, di an, di «dimettere» Bossi dalla carica di deputato. Cosa del tutto inattuabile. Montano, intanto, le critiche ai giornali accusati di avere dato troppo spazio alla kermesse leghista. «Si deve sapere che, se si superano certi limiti, si dà un forte contributo alla costruzione artificiale di quel popolo che ancora non c'è», ha ammoni¬ to il presidente dei senatori del partito popolare, Leopoldo Elia. «Bossi va lasciato solo, la misura è colma», sostiene il presidente del sindacato dei giornalisti (Fnsi), Lorenzo Del Boca. I presidenti di Camera e Senato hanno ricevuto i rappresentanti della stampa parlamentare che li ha esortati a vigilare. Alla Camera, il presidente della commissione Attività produttive, Nerio Nesi (Rifondazione comunista), ha fatto esporre nella sala delle riunioni la bandiera italiana che era nel suo studio. Ed ha avvisato i leghisti che «finché io presiederò questa commissione, in essa varranno esclusivamente i principi generali della Costituzione italiana, le leggi dello Stato italiano e le regole della Camera dei deputati della Repubblica italiana». Piano piano, per reazione a Bossi, il Paese scopre di avere una bandiera nazionale che rappresenta tutti, anche se gli uffici pubblici (commissariati compresi) non hanno l'abitudine di esporla ogni giorno. Sull'onda di questa riscoperta del tricolore, il sindaco di Roma, Rutelli, ha lanciato la (ovvia) proposta di esporre la bandiera nazionale in tutte le città il prossimo 7 gennaio, in occasione del bicentenario dell'adozione del tricolore. In verità, sarebbe stata una notizia se il sindaco della Capitale avesse annunziato che gli uffici capitolini centrali e distaccati esporrano, d'ora in poi, il tricolore ogni giorno. Tutti si agitano ora a ridimensionare il fenomeno Lega, così come tutti (fino a domenica) si erano prodigati ad amplificarne le iniziative. E così Silvio Berlusconi ha potuto (a ragione) lamentare che se Bossi va contro l'unità nazionale «non gli succede niente», mentre se lui dice che «bisogna farsi vedere sui muri» c'è chi lo accusa di istigare a commettere un reato. [a. r.] Il presidente del Consiglio Romano, Prodi con il primo ministro spagnolo José Maria Aznar

Luoghi citati: Milano, Roma