Eravamo quattro amici al bar di Giovanni Bianconi

GIUDICI IN MANETTE Eravamo quattro amici al bar Dalle microspie sotto il tavolo al carcere GIUDICI IN MANETTE IROMA L primo ad arrivare, la mattina di domenica 21 gennaio, fu l'allora capo dei gip romani Renato Squillante. Si sedette all'unico tavolo libero del bar Tombini in via Ferrari, al quartiere Prati, intorno alle 11 : da due ore, ad attenderlo, c'era un manipolo di poliziotti armati di telecamere e microspie. Uno fingeva di essere claudicante e aveva nascosto la «cimice» dentro una stampella, un'agente donna aveva la microspia nella borsetta, il terzo microfono era stato nascosto in un portacenere. Squillante non si accorse di nulla, e si mise ad aspettare gli amici. Nel giro di un quarto d'ora arrivarono Roberto Napolitano, procuratore di Grosseto, Augusta Iannini, gip a Roma, e l'avvocato Virga, difensore di Paolo Berlusconi. Si intrattennero con le solite chiacchiere della domenica mattina, finché una cameriera non scoprì il portacenere con la microspia che diede inizio al terremoto culminato, un mese e mezzo più tardi, con l'arresto di Squillante ordmato dai giudici di Mani Pulite. Quando la «cimice» era già saltata fuori, al gruppo si aggiunse pure Orazio Savia, procuratore di Cassino dopo tanti anni trascorsi a Roma. Fu proprio Savia a chiamare il dirigente del commissariato di zona per consegnarli la microspia che aveva lasciato di stuccò il gruppetto di giudici. Secondo la relazione di servizio dei funzionari di polizia, fu il barista a riconoscere la microspia, e Roberto Napolitano confermò davanti a Squillante e Virga che rimasero, annotò il poliziotto, «visibilmente impressionati». Si pensò a indagini private, ai soliti «servizi segreti deviati», mentre invece era tutto regolare: la «cimice» serviva a spiare Squillante già indagato a Milano, e gli altri magistrati rimasero fuori dal ciclone. Ma ieri, per ordine di altre Procure e per fatti diversi, sono caduti nella rete della giustizia altri due di quegli «amici al bar», Napolitano e Savia. Con Squillante che è finito nuovamente nel regi- stro degli indagati per il reato di «corruzione in atti giudiziari»; gli hanno perquisito la casa e il suo avvocato, Oreste Flamminii Minuto, protesta: «In quella specie di comunicazione giudiziaria che abbiamo visto c'è solo il titolo di reato; non c'è il luogo e non c'è la data in cui sarebbe stato commesso. Non sappiamo assolutamente nulla, tranne che in casa di Squillante non hanno trovato niente». Insomma, dei quattro magistrati che la domenica erano abituati a vedersi nel bar di via Ferrari, tre sono finiti in carcere; s'è salvata solo Augusta Iannini, moglie dell'ex-direttore del Tgl Bruno Vespa, sgomenta ieri come quella domenica di gennaio. Da allora, precisa, in quel bar che gli rimaneva comodo perché era a due passi da casa, non ci mette più piede: «Certo le microspie non credo ci siano ancora, ma mi sembra un fatto di buon gusto». I fatti e i processi che hanno portato i giudici dietro le sbarre saranno pure diversi, ma dopo la nuova ondata di arresti c'è già chi parla della «maledizione del bar Tombini». In realtà il bar - peraltro picco¬ lo e per nulla appariscente - c'entra poco. C'entra invece quel gruppo di magistrati che a Roma è rimasto sulla breccia per anni, occupandosi di inchieste che hanno lambito più volte i palazzi del potere. Alcuni dei quali sono oggi accusati di aver «impiegato le prò- prie prerogative ed i propri doveri a finalità del tutto estranee, per non dire antitetiche, a quelle proprie della funzione pubblica da loro ricoperta». Renato Squillante, a parte la parentesi alla Consob, è vissuto e ha fatto camera prima dentro l'ufficio istruzione e poi in quello dei gip. Roberto Napolitano, 58 anni, è capo della procura di Grosseto da sei anni, e prima ha fatto il giudice istruttore nella capitale, gestendo processi importanti come quello sui «l'ondi neri» dell'lri. Anche lui, per la verità, era scivolato sul caso Squillante, perché la super-testimone Stefania Ariosto lo elencò tra i presenti al viaggio americano al seguito di Craxi, 1988. La trasferta che sarebbe stata pagata da Previti, e per questo Napolitano - che compare in smoking nelle foto conservate per anni dalla Ariosto è finito sotto inchiesta davanti al Csm. Anche i magistrati di Bologna indagano su Napolitano, per un presunto abuso d'ufficio che gli aveva l'atto perdere il posto riconquistato soltanto ieri mattina. Orazio Savia, invece, prima di trasferirsi a Cassino nel 1994, ha fatto per oltre dieci anni il pubblico ministero a Roma, occupandosi di reati economici e fiscali. Condusse l'inchiesta, fra l'altro, sugli «assegni del presidente» riferiti ad Andreotti e denunciati da Mino Pecorelli prima di essere assassinato, finita in archivio. Ed era lui l'inquirente nelle vicende legate all'affale Enimont, prima che l'indagine venisse trasferita a Milano. Savia doveva interrogare l'ex-direttore generale delle Partecipazione statali Sergio Castellari, il quale prima di uccidersi (o di essere ucciso) nel febbraio del '93 lasciò scritti i suoi timori di essere arrestato. Tre anni e mezzo dopo in carcere c'è finito Savia, e a fine giornata il pm di La Spezia che conduce la nuova inchiesta sulla magistratura romana commenta' «Le indagini confermano in pieno e rafforzano quelle della procura di Milano, e in particolare della dottoressa Boccassini». Giovanni Bianconi «Quando si resta per dieci anni nello stesso ruolo è inevitabile che certe relazioni si intreccino» Lorenzo Necci amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato EravamoDalle micros Lorenzo Necci amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Augusta Iannini, giudice delle indagini preliminari a Roma