Nella giungla globale di Marcos

Nello sperduto Chiapas diventato il paradiso della rivoluzione per frotte di estasiati europei Nello sperduto Chiapas diventato il paradiso della rivoluzione per frotte di estasiati europei Nella giungla globale di Marcos Tra gli zapatisti armati di mitra e computer SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS DAL NOSTRO INVIATO Le nuvole del Messico sono basse come controsoffitti su queste montagne che anticipano la foresta pluviale in cui abita l'esercito del subcomandante Marcos, armato di fax, telefonini satellitari, mitra sovietici revisionati. Ho la macchina piena di cianfrusaglie zapatiste comperate alle bancarelle della guerriglia, ad uso del turismo rivoluzionario fiorente e nostalgico: la foresta di Marcos come un santuario, un luogo di pellegrinaggio, un tripudio di ex voto, di simboli, di rassicurazioni rivoluzionarie. Nella classifica dei turisti della rivoluzione gli italiani sono senz'altro primi assoluti, seguiti dai francesi, spagnoli, tedeschi e americani. E così sono anch'io pieno di foto di Emiliano e di Pancho Villa, ma più che altro sono invaso da foto e magliette con lui, il divo, il capo della guerriglia telematica con un master in sociologia, l'uomo che può convocare attraverso Internet tremila pellegrini della sinistra mondiale capitanati dallo stato maggiore francese: in prima fila Danielle Mitterrand, poi Jack Lang e il chiacchieratissimo Régis Debray. Eccolo lì, questo piccolo genio della comunicazione, l'interfaccia di Bill Gates, di cui sa usare e utilizzare alla perfezione gli strumenti telematici. Benvenuti in Chiapas, televillaggio mondiale della rivoluzione sognata, anche se da qualche giorno è cambiata l'atmosfera pacifica perché è venuta all'aperto una guerriglia concorrente, quella dell'Esercito rivoluzionario del popolo, che ha sparato e ucciso. Il subcomandante Marcos è ovunque, in cassetta e in videocassetta, foto e magliette, te lo trovi addosso anche se non lo cerchi, lui, la sua pipa, le giberne, il mitra e il telefonino ben visibile, con la faccia coperta dal passamontagna. «El Che» aveva il basco, lui il passamontagna. «El Che» fumava il sigaro, lui la pipa. Sempre accesa, sempre questa nuvola di fumo bianco che sbuffa fuori dall'orifizio della maschera di lana che corrisponde alla bocca. Benvenuti dunque nel museo itinerante della guerriglia del Duemila, benvenuti nel regno dei Kalashnikov e di Internet, dei fax e delle antenne satellitari nella foresta, fra selve di arbusti e di modem, bombe a frammentazione e pacchi di vitamine, T-shirts con la foto di Emiliano Zapata sul davanti e quella del subcomandante Marcos sul retro. Dietro le nubi messicane si alzano le lontani polveri di un popolo in marcia, non è quello azteco, né quello maya. Ma il popolo del grande turismo rivoluzionario che ha stabilito qui le sue basi, ha fatto di questa terra terribile e e meravigliosa un terreno immaginario, il luogo di un appuntamento fisico e informatico, mitico e mistico. Benvenuti nell'ultimo ridotto delle sinistre che odiano il capitalismo, che sognano non la costruzione di un mondo produttivo, ma la distruzione della stessa produzione. Un mondo che ha scelto gli indiani come simbolo, come creature immaginarie e simboliche cui affidare il peso di rappresentare tutti gli emarginati, i disoccupati metropolitani, le creature che per istinto, per disposizione fantastica o romantica o psichiatrica odiano il mondo che fabbrica ricchezza e si incanta all'idea di una catartica Grande Restituzione, simile al giorno del giudizio in chiave latinoamericana, izquierdista, anticapitalista e fondamentalmente fatta su misura per gli europei, italiani e francesi in prima linea. Qui infatti non si raccoglie il sogno delle riforme radicali e coraggiose, ma di quell'attitudine sentimentale e irriducibile delle sinistre dopo la caduta del marxismo, anelanti un ritorno alla natura (dal buon selvaggio al buon rivoluzionario) in un mondo di piccoli indiani buoni, balene buone, alberi buonissimi, acque pulite e, come residuo della modernità, selve di fax e modem sparsi nella foresta per testimoniare attraverso Internet che gli uomini sono soltanto innocenti comunicatori. Poco importa se Internet sia nata come strumento militare: Marcos sa che cosa vuole il suo popolo sparso per il mondo. Vuole simboli, vuole liberarsi dei pesi veterocomunisti ma senza rinnegare nulla e anzi riconfermando tutto, e più che altro ostacolare, intral- ciare, sabotare e possibilmente uccidere l'ultima creatura dell'odiato mondo capitalista e mercantile: il neoliberismo. Per sconfiggere questa nuova edizione del vecchio drago, il professore quarantenne passato alla guerriglia immaginaria ha avuto il coraggio e la spericolatezza di indire un convegno mondiale in mezzo alla foresta di cui hanno parlato i giornali di tutto il mondo. La trovata di Marcos è stata geniale: si è insediato nella foresta, ha piegato il governo messicano a trattare su inconcludenti questioni locali, si è assicurato il tifo dei vescovi seguaci della teologia della liberazione e ha aperto due, cento, mille bancarelle e punti vendita della sua rivoluzione. Poi si è chiuso nella foresta pluviale e di lì batte le vie del mondo attraverso i computer. Infatti qui, fra gli ultimi indiani dell'America in armi (solo Marcos non ha una goccia del loro sangue, borghese e ispanico passato alla foresta) si coltivano i miti e i riti più antichi dell'Occidente europeo e dell'America Latina: quello delle colpe del capitalismo, che supera in ferocia le strazianti procedure dei sacrifici umani qui in antica auge; quello secondo cui gli emarginati, i poveri, i reietti, quelli che non hanno saputo fare come a Singapore, o in Corea, o in Cina, hanno maturato (per cause e colpe eternamente «altrui») il diritto e il dovere morale di imporre la miti¬ ca restituzione della ricchezza rubata. E' meraviglioso e sconsolante, eccitante e sconcertante guardarsi intorno sotto queste nuvole messicane capricciose e inconsistenti: questa foresta è l'Ade del sinistrese universale protetto dai vapori delle piogge perenni. Ideologicamente parlando, sotto queste nuvole del basso Messico sia la Chiesa cattolica sia gli innocenti indios, i giovanissimi turisti rivoluzionari italiani, francesi, spagnoli, tedeschi e americani, gli ex ministri di Mitterrand e gli autonomi milanesi e romani sono d'accordo sulla ridefinizione dei nuovi orizzonti rivoluzionari e dei loro strumenti ideali: fax e mitra sono buoni, le pagine elettroniche Web, On-line, Compuserve, Netscape e i programmi Microsoft sono ottime, così come i lanciagranate russi e i lanci di programmi via browsers telematici. Laggiù si è radunata la grande tribù di tremila adepti alla sinistra telematica. Là si è svolto un convegno delle sinistre deluse, un po' intellettuale e un po' rivoluzionario. Deve essere stato uno spettacolo e Tempora Alvarez, anziana del villaggio, racconta: «Sono venuti tutti questi distinti signori che hanno fatto molte giornate di viaggio a cavallo, anche da terre che non sono in America, che Dio ci scampi, ma sta di fatto che parlavano lingue assai strane e sembravano molto stanchi, molto tristi e molto sporchi. Volevano in affitto le nostre case e li abbiamo sistemati come potevamo, ma non volevano saperne di andare a orinare fuori, e così ci hanno sporcato le case, ma a parte questo erano signori e signore molto rumorosi, poi li hanno ospitati nel profondo degli alberi e li hanno fatti mangiare fagioli e carne in scatola, ma parecchi hanno vomitato e soffrivano di diarrea perché non andavano d'accordo con la nostra acqua, che non è come la loro». Chi erano dunque questi visitatori che secondo gli indiani sono venuti dopo una lunga cavalcata alla fine di luglio? Che cosa univa in un unico grande ricevimento politico e intellettuale personalità come Danielle Mitterrand e Jack Lang, Régis Débray ed ex guerriglieri pentiti come Douglas Bravo, Bianco e Quili? Che cosa facevano tutti insieme qui in tremila? Sono venuti a frequentare il corso più esclusivo della nuova sinistra mondiale multinazionale con la presenza di giapponesi, curdi, australiani, ceceni, francesi, italiani, americani, afghani, tutti convocati via Internet per rendere omaggio ed ascoltare la lezione di un sociologo in armi che però non predica la rivoluzione, di un guerrigliero che critica le guerriglie, insomma per ascoltare la parola del più straordinario inventore di comunicazione di massa: il subcomandante col passamontagna. Ho visto gli uomini della guerriglia ai margini del villaggio di Guadalupe Tepeyac, l'aria sapeva di fango e di sambuco, le donne indiane stavano sedute per terra con i bambini che intrecciavano qualcosa come stuoie. Ho cercato di attraversare la spianata acquitrinosa per raggiungerli, ma il signor Roberto Hernandez, mia guida al volante di una vecchia Volkswagen, mi dice che è inutile e pericoloso: non si farebbero avvicinare, non gradiscono. Infatti un uomo a cavallo mi guarda a sua volta col binocolo e fa un gesto con la mano che vuol dire chiaramente resta là, non ti muovere. C'è rischio che qualcuno spari: in giro oggi ci sono troppi agenti della sicurezza, a causa del massacro provocato dall'altra guerriglia, quella dell'Epr: forse concorrente di quella zapatista, forse tonnata da gente venuta dall'estero, forse figlia dell'ala dura degli zapatisti stufi del comportamento accademico di Marcos che trasforma la foresta in facoltà universitaria. Torno a San Andrés, dove sono state interrotte le «platicas», cioè i colloqui ufficiali. 11 tavolo è vuoto, sono i guerriglieri che hanno rifiutato l'incontro. 1 militari mi fermano e mi chiedono il passaporto: «Italiano? ma quanti siete? E' un'invasione», dice il sargento. I bambini si affollano intorno ai militari e offrono fotografie di zapatisti in anni, a piedi e a cavallo. Il curato esce molto irritato dalla canonica e rimprovera i bambini: non avete sentito che cosa ha detto il vescovo? Non si deve dare confidenza alla truppa, questi signori non sono qui per buoni motivi. Portano sangue, odio, fanno del male alle vostre madri e sorelle, sciò, a casa. Le nubi mi hanno accompagnato da Tuxtla Gutiérrez fino a San Cristóbal, ex capitale coloniale: fantastica, eccessiva, struggente, ammaliante. Troppo. L'atmosfera sa di eccesso, di film, di scenario da Puerto Escondido, un set per anime europee, approdo per il neoromanticismo, troppo. Assolutamente troppo. La cattedrale di Santo Domingo è stretta nell'assedio del mercato, e la cianfrusaglia è troppa, coloratissima, lanosa, brutta e ammaliante. L'odore è di spezia e i cani sanno di topo, i bambini profumano di salvia e le ragazze sono coperte da una maschera di pietra impassibile. Sciocche e ciarliere sciamano coppiette turistiche, i pullman rovesciano turismo americano pallido, inconsapevole, pronto a commuoversi. Due zapatisti mi tallonano con le loro magliette; se voglio, ecco un passamontagna originale, se voglio abbiamo anche i pantaloni dell'uniforme. Pochi dollari, tutti per la causa, tutti per la rivoluzione. Paolo Guizzanti La Mitterrand Jack Lang erano tutti qui II subcomandante combatte nella selva come su Internet ed è circondato di fax e telefonini a Mitterrand ack Lang rano tutti qui II subcomandante combatte nella selva come su Internet ed è circondato di fax e telefonini l|p Ernesto Che Guevara un mito della sinistra in America Latina e nel mondo Il subcomandante Marcos e Danielle Mitterrand alla «convention» zapatista tenutasi nel luglio scorso nella giungla del Chiapas

Luoghi citati: America, America Latina, Cina, Corea, Messico, Santo Domingo, Singapore