Bossi: sono già un prigioniero politico

Il leader il giorno dopo r«indipendenza>>; insulti e minacce ai giornalisti: «falsificatori» Il leader il giorno dopo r«indipendenza>>; insulti e minacce ai giornalisti: «falsificatori» Bossi; sono già un prigioniero politico «E domenica sul Po eravamo un milione e mezzo» MILANO. «I primi dati ci danno cifre, e vogliamo essere prudenti, di almeno un milione e mezzo di persone che vennero e giurarono per l'Indipendenza della Padania». Sarebbe questo l'inizio della conferenza stampa di Umberto Bossi. Poi sarebbe il momento delle domande e delle risposte. Ma per tensione o scelta, la prima conferenza stampa padana nemmeno finisce. Insulti per tutti, minacce di provvedimenti (?) per «chi commette illeciti gravissimi come l'informazione». Una cronista del Giornale radio-Rai che si prende un «cosa vuole giornaleradiolare, stia zitta, stia attenta a quel che dice che qui siamo in Padania, lei è arrivata alla Rai mica perché è brava e sa lavorare, chissà quanto ha trafficato!». E i giornalisti, tranne l'agenzia Ansa e Tv Fininvest, se ne vanno. «Andate, andate via, servi del regime, imbroglioni, falsificatori!», è il congedo di Bossi. Un altro passo, un altro ponte che si taglia alle spalle. E la conferenza stampa, forse, l'aveva convocata proprio per questo. Se per Bossi la tre giorni dal Monviso a Venezia è stata un successo, i titoli dei giornali, le cronache, le riprese tv sono tutte un falso. Dunque stampa bugiarda, prezzolata, romana, serva eccetera. E allora il «Governo Provvisorio della Padanaia» prenderà provvedimenti perché l'informazione, come è scritto nella «Carta dei diritti dei Cittadini Padani» letta a Venezia deve essere «giusta». Per chi sgarra, per chi viola la «giusta» informazione padana, «si farà in modo che venga indicato come immorale comportamento, venga indicato a livello personale, venga indicato alla gente». L'incidente con la stampa, più che le valutazioni sulla tre giorni del Po e i milioni di padani. Per attaccare, Bossi non ha aspettato domande. Ha ripetuto le sue accuse all'informazione planetaria come fosse in un comizio: ma era una conferenza stampa. Gli insulti, anche in una conferenza stampa, non sono una novità. Questa volta, però, c'è l'informazione padana che prevede un regolamento «di disciplina o di autodisciplina». Ci sono i toni, le parole, «gli atti» come dice Bossi, che da provocazioni diventano minaccia. A Bossi, ieri, importava poco far sapere che «entro 24 ore avremo a disposizione i nostri filmati», il numero di schede elettorali messe nelle urne lungo il Po, il numero di coccarde rosa o di carte di identità padane vendute. Importava quest'altro strappo. Come volesse lo scontro, co¬ me volesse determinare una reazione. E quando il cronista dell'Ansa domanda se spera di essere arrestato, Bossi ha la risposta pronta: «Se fossi arrestato mi dichiarerei subito prigioniero politico. E voi che siete fantasiosi capite subito cosa avverrebbe...». E fareste lo sciopero della fame? «Ma si figuri! Festeggeremmo. Non abbiamo paura dello Stato italiano, la Padania festeggerebbe l'accelerazione del processo di liberazione». Domenica sera, tornando a casa dopo la cena alla trattoria dell'Angelo di Venezia, al telefono ammetteva: «Arrivati a questo punto non possono mandarci i carabinieri, ma se proprio vogliono farci un favore mandano avanti la magistratura». Ogni giorno, è da prevedere, Bossi farà un altro spericolato passo in più. Eppure, nella notte, senza aver visto i giornali, senza aver visto un telegiornale, Bossi meditava su quello che ritiene «un successo». Sempre al telefono spiegava che «a Roma sanno benissimo quanti eravamo, e non mi stupisco che il passaparola sia quello di minimizzare o di dare tanto spazio a Fini e a quei nazionalisti terroni che sono andati a Milano». Convinto del successo, sicuro che l'ampolla del Po non è un fiasco, commentava le prime dichiara¬ zioni di Romano Prodi come un positivo segnale di fumo: «Adesso dice che bisogna riprendere il dialogo con la Lega. Ecco, per me questa è la riprova, sanno che stiamo facendo sul serio, sanno che la Padania c'è». Ma in conferenza stampa solo un accenno: «Prodi si è subito affrettato a dire che bisogna parlare, vedere...». Ma il nervo scoperto resta quello dei numeri, l'obiettivo resta quello di nuove spaccature, nuove occasioni di scontro. Il governo padano che dovrà varare subito il provvedimento sulla Guardia nazionale Padana, e poi la lira padana, il riconoscimento internazionale. E l'informazione giusta, la conferenza stampa di rottura. Giovanna Pajetta del «manifesto» domanda come mai, visto che sulle schede padane non c'erano nomi, è risultato eletto un governo con Cavaliere, Gnutti, Maroni, Preioni e Fagliarmi e si prende un «Canaglia!». Ersilia Carbone del Gr-Rai racconta d'aver visto nella cabine dei minorenni, «hanno diritto di voto anche i bambini?». Ma questa non è «informazione giusta», è una domanda italiana. E dunque «Zitta lei. Qui siamo in Padania. Qui c'è gente onesta. Si vergogni!». Lei. Giovanni Cerruti Ma Cacciari avverte «Il leader del Carroccio ha vinto sui media» BOSSI DIXIT «Si informano gli onorevoli deputati che i sottoelencati giornalisti devono essere esclusi definitivamente da ogni canale di informazione diretta per aver falsificato volontariamente le dichiarazioni ai danni della Lega-. Roma, lettera di Bossi ai parlamentari leghisti. 18 ottobre 1994 «Gentaglia! Via... Aria!" Bossi ai giornalisti che chiedevano delucidazioni sui colleghi messi all'indice dalla Lega; Roma, 19 ottobre 1994 ■'Marmaglia, raus! Fuori le televisioni di qui!». Lodi, 4 giugno 1996 «Marmaglia lenona, voce del regime. Devono chiedere scusa loro». Luino, contro gli operatori Rai, 6 giugno 1996 «Non bruceremo soltanto i libretti del canone, ma abballeremo i ripetitori». Asiago, 9 agosto 1996 «Stia zitta, leccapiedi del sistema che non è arrivata certo lì perché era brava, ma perché chissà coi l'ha raccomandata. Si vergogni». Milano, a una giornalista del Gr Rai, 16 settembre 1996 BOSSI DIXIT leader ella ega Nord mberto ossi «Sichededadirvoai Il leader della Lega Nord Umberto Bossi