Bettiza, la rivincita dello scrittore

«Piovene, il mio maestro di stile elevato» L'intervista. Parla il trionfatore del Campiello, erede della grande narrativa «di confine» Bettiza, la rivincita dello scrittore ^ # «Piovene, il mio maestro di stile elevato» SVENEZIA ULLA barca di capitan Tai è salito il vincitore. Anzi, il supervincitore, come chia Imano Enzo Bettiza da sabato notte, quando con Esilio ha battuto gli altri quattro autori giunti in finale al Campiello. Scortato dalla madrina della serata Lucia Bosè e da un bel drappello di personaggi «zaratini, istriani, dalmati», abbraccia Ottavio Missoni detto lai, suo «conterraneo zaratino, figlio di un tipico capitano di lungo corso dalmata». Timoteo incrocia davanti a San Marco con «equipaggio veneziano». E' una «maona» chiozzotta variopinta. Fuori ha l'aspetto dell'arcaica tipica barca ottocentesca dei pescatori d'altura in Adriatico. Il possente albero per la grande vela, lo scafo rosso, azzurro, con strisce gialle e finiture verdi. Dentro è un moderno yacht. «Ha strumenti sofisticati - s'inorgoglisce lo scrittore, come se fosse suo - e può collegarsi con tutto il mondo». Ma l'unico strumento che cerca è un posacenere. Solo quando l'ha trovato può ammirare la tavola imbandita. «Ecco - sorride Bettiza - sembra di vivere una pagina di Esilio. Un menu veneto dalmata istriano, come uscito dalle mie pagine dedicate alle cucine. Pesce, piovre, broetti, polenta, scorfani». Ma parliamo del premio. E' l'attesa rivincita di Bettiza scrittore? Lasciato lo smoking della premiazione per un paio di jeans e una camicia sportiva, elegante e giovanile, l'incredibile sessantanovenne di Spalato ha una smorfia, un impercettibile scatto di fastidio. «E' come se avessi avuto dal mondo letterario un riconoscimento tardivo, che sa quasi di riparazione per il lungo oblio in cui la maggior parte dei miei libri, di narrativa e saggistica, sono stati tenuti. Basti pensare ai Fantasmi di Mosca, ventennale impegno, passato quasi sotto silenzio». Si è subito capito che il suo tempo era venuto. Esilio è stato il libro più presente nei premi letterari della stagione. Ha perso per un punto il Flaiano a Pescara. Per un soffio gli è sfuggito il Pen Club. «Ero arrivato un po' pessimista alla premiazione veneziana, anche se qualcuno mi aveva confidato che il mio libro era stato osannato dai letterati unanimi. Poi, allo spoglio del voto popolare, la vittoria è stata netta fin dall'inizio». Si dice di Bettiza: giornalista scrittore. Preferirebbe che ora si dicesse: scrittore giornalista? «Scrittore che ha fatto con molto impegno del giornalismo di tipo saggistico elevato cioè "scritto" sempre e documentato. Me l'ha insegnato il mio maestro Guido Piovene. Fu lui a portarmi alla Stampa. Appartengo a quel tipo di scrittori che hanno fatto i giornalisti come Moravia e Buzzati, Montale e Arpino». E con quali puri scrittori nell'anima? «Il Thomas Mann della Montagna incantata e il Musil del l'Uomo senza qualità. Poi Dostoevskij, soprattutto il politico: la politica è stata sempre un personaggio della mia narrazione. I Demoni hanno segnato profondamente me analista del comunismo. Un libro profetico: annunciava quanto sarebbe accaduto nella Russia bolscevizzata, che avrebbe divorato se stessa. Anticipava l'autofagia del leninismo non ancora vissuto, ma preannunciato. Questa componente insieme mitteleuropea e slava è ben presente nei miei Fantasmi di Mosca, 2007 pagine, un mostro di lunghezza, il libro più lungo mai apparso nella narrativa italiana». Per quali ragioni i critici l'hanno trascurata? «Franco Cordelli mi disse: "Il vero nemico di Bettiza scrittore è il Bettiza pubblico, il giornalista polemico, U fondatore di giornaU". Tutto ciò che facevo in letteratura era quasi obnubilato dall'altro Bettiza». Nessuno ha fatto eccezione? «Il critico che si è occupato con maggiore penetrazione del mio lavoro è stato Geno Pampaloni. Ha scritto la prefazione al primo romanzo, La campagna elettorale, ormai negli Oscar Mondadori; mi ha dedicato un ricco capitolo nella Storia della Letteratura Garzanti. Tra quelli che mi hanno incoraggiato, Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, condirettori di Tempo presente: tra i libri-ponte, nervatura connettiva della mia opera, Il diario di Mosca, apparve a puntate sulla rivista. Sono grato anche a Carlo Sgorlon, scrittore di confine, che mi ha dedicato recensioni accurate». La maggiore soddisfazione? «Un inatteso articolo di Carlo Bo su Gente qualche settimana fa: parla di "questo scrittore così a lungo ignorato dalla critica italiana"». La più cocente delusione? «Quando pubblicai nel '58 II fantasma di Trieste, cinque anni di lavoro, in Italia cadde nel più assoluto disinteresse. Fu tradotto nel giro di un anno: in Francia da Gallimard; in Germania, Finlandia, Slovenia, Croazia. Il silenzio italiano! Penso ai duri anni di Svevo, finché Montale, Joyce e Valéry Larbaut non lo scoprirono. Penso alle difficoltà di Slataper e Stuparich, della grande letteratura di confine italiana e giuliana. Lo stesso Saba dovette aspettare molto, prima di avere il giusto». La tragedia della ex Jugoslavia ha fatto accogliere Esilio in una luce speciale? «Può essere letto su più piani. Saga famigliare; confessione individuale; rievocazione elegiaca di una terra perduta, la Dalmazia. Può anche essere letto come un'analisi delle radici tossiche dei secessionismi, dei separatismi, dei miti del sangue e della razza che, esasperati, degenerano in genocidi, in campi di sterminio mascherati sotto il nuovo eufemismo di pulizia etnica». Non parla a caso Bettiza di secessionismi, oggi, a Venezia. «Se il leghismo federalistico era un'incognita propositiva, il leghismo secessionistico è un rischio che, abbandonato a se stesso, potrebbe diventare un pericolo. Manca, da parte dei poteri centrali e dell'opposizione, una risposta moderna, seria, europea, di ristrutturazione dello Stato risorgimentale: opporre un federalismo pieno a un secessionismo torbido. Non bastano la piccola edificante retorica da libri di lettura, né santini risorgimentali o monumenti equestri di Cavour e Garibaldi per arginare un fenomeno moderno in senso nefasto: Bossi ci propone barriere doganali e una tensione artificiale di tipo etnico che ricorda da vicino le tensioni balcaniche». Si dice un po' deluso dal giornalismo. E' l'aspetto etico che la preoccupa? «Sono deluso dal giornalismo italiano contemporaneo, che non è ancora riuscito, come in altri Paesi europei avanzati, a sceverare con maggiore limpidezza il giornalismo di analisi e commento, di arricchimento in profondità della notizia televisiva, dalla concorrenza alla televisione stessa. La raccolta dei fatti minori o la si lascia alla tv più facile o la si lascia ai tabloid». Ma lo spettacolo del Bacino San Marco prende il sopravvento. Timoteo lascia a poppa il Palazzo dei Dogi per puntare sull'aperta Laguna nel sole di settembre, sotto «un azzurro cielo perlaceo, opalescente. L'hanno soltanto Istanbul e Venezia, città d'acque e di cupole», osserva il vincitore salito sulla bar- «Dal mondo letterario riconoscimento tardivo che sa quasi di riparazione» «Bossipropone tensioni etniche artificiali che ricordano quelle balcaniche» scito dalle mie pagine dedicate ale cucine. Pesce, piovre, broetti, olenta, scorfani». Ma parliamo del premio. E' l'atesa rivincita di Bettiza scrittore? asciato lo smoking della premiaione per un paio di jeans e una camicia sportiva, elegante e giovanie, l'incredibile sessantanovenne di palato ha una smorfia, un imperettibile scatto di fastidio. «E' come se avessi avuto dal mondo leterario un riconoscimento tardivo, he sa quasi di riparazione per il ungo oblio in cui la maggior parte ei miei libri, di narrativa e saggitica, sono stati tenuti. Basti penare ai Fantasmi di Mosca, ventenale impegno, passato quasi sotto ilenzio». Si è subito capito che il suo temo era venuto. Esilio è stato il libro iù presente nei premi letterari ella stagione. Ha perso per un unto il Flaiano a Pescara. er un soffio gli è sfuggito il en Club. «Ero arrivato un o' pessimista alla premiaione veneziana, anche se ualcuno mi aveva confidato he il mio libro era stato sannato dai letterati unanimi. Poi, allo spoglio del voto opolare, la vittoria è stata etta fin dall'inizio». Si dice di Bettiza: giornalita scrittore. Preferirebbe he ora si dicesse: scrittore iornalista? «Scrittore che ha atto con molto impegno del iornalismo di tipo saggistico levato cioè "scritto" sempre documentato. Me l'ha insenato il mio maestro Guido iovene. Fu lui a portarmi alla tampa. Appartengo a quel tipo di crittori che hanno fatto i giornaliti come Moravia e Buzzati, Monale e Arpino». E con quali puri scrittori nell'anima? «Il Thomas Mann della Montagna incantata e il Musil del Enzo Bettiza ha vinto il Campiello con «Esilio» (Mondadori) Oscar Mondadori; mi ha dedicato un ricco capitolo nella Storia della Letteratura Garzanti. Tra quelli che mi hanno incoraggiato, Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, condirettori di Tempo presente: tra i libri-ponte, nervatura connettiva della mia opera, Il diario di Mosca, apparve a puntate sulla rivista. Sono grato anche a Carlo Sgorlon, scrittore di confine, che mi ha dedicato recensioni accurate». La maggiore soddisfazione? «Un inatteso articolo di Carlo Bo su Gente qualche settimana fa: parla di "questo scrittore così a lungo ignorato dalla critica italiana"». La più cocente delusione? «Quando pubblicai nel '58 II fantasma di Trieste, cinque anni di lavoro, in Italia cadde nel più assoluto disinteresse. Fu tradotto nel giro di un anno: in Francia da Gallimard; in Germania, Finlandia, Slovenia, Croazia. Il silenzio italiano! Penso ai duri anni di Svevo, finché Montale, Joyce e Valéry Larbaut non lo scoprirono. Penso o monumenti equestri di Cavour e Garibaldi per arginare un fenomeno moderno in senso nefasto: Bossi ci propone barriere doganali e una tensione artificiale di tipo etnico che ricorda da vicino le tensioni balcaniche». Si dice un po' deluso dal giornalismo. E' l'aspetto etico che la preoccupa? «Sono deluso dal giornalismo italiano contemporaneo, che non è ancora riuscito, come in altri Paesi europei avanzati, a sceverare con maggiore limpidezza il giornalismo di analisi e commento, di arricchimento in profondità della notizia televisiva, dalla concorrenza alla televisione stessa. La raccolta dei fatti minori o la si lascia alla tv più facile o la si lascia ai tabloid». Ma lo spettacolo del Bacino San Marco prende il sopravvento. Timoteo lascia a poppa il Palazzo dei Dogi per puntare sull'aperta Laguna nel sole di settembre, sotto «un azzurro cielo perlaceo, opalescente. L'hanno soltanto Istanbul e Venezia, città d'acque e di cupole», osserva il vincitore salito sulla bar- Italo Svevo, scrittore dimenticato finché Montale, Joyce e Valéry Larbaut lo scoprirono Enzo Bettiza ha vinto il Campiello con «Esilio» (Mondadori) Guido Piovene. Portò Bettiza alla «Stampa» e fu per lui maestro di «giornalismo di tipo saggistico elevato»