UN MARTINICANO A PARIGI : I SOGNI DI DANIEL PICOULY

UN MARTINICANO A PARIGI : I SOGNI DI DANIEL PICOULY UN MARTINICANO A PARIGI : I SOGNI DI DANIEL PICOULY Padre nero madre bianca, l'infanzia di una «famiglia normale ENTRE la Francia ufficiale si accanisce contro i «sans papiers», quella letteraria riesce a mascherare la sua lunga crisi grazie ai figli e nipoti dell'immigrazione e ai francofoni di remote regioni e perdute colonie. Fino a qualche decennio fa la lingua e la cultura francesi creavano una piena assimilazione e riducevano a puro incidente anagrafico l'origine americana di un Julien Green o quella russa di una Nathalie Sarraute e di un Henry Troyat. Adesso è il radicamento nella loro tradizione etnica e culturale a costituire l'originalità e il pregio di scrittori come l'argentino Bianciotti, il marocchino Ben Jelloun, il polacco Marek Halter, il libanese Amin Maalouf, la franco-senegalese Marie N'Diaye, l'iraniano Philippe Blasband, il martinicano Patrick Chamoiseau. Tutti, e ciascuno a suo modo, aprono il romanzo IL CAMPO DI NESSUNO Daniel Picouly Traduzione: Yasmina Melaouah Feltrinelli pp. 256 L 28.000. Daniel Picouly francese a situazioni, personaggi e temi che finora gli erano rimasti estranei, portano nell'antica lingua di cultura il soffio di novità di parlate esotiche o, più semplicemente, danno, dall'interno, voce genuina a realtà umane e sociali che la letteratura aveva ignorato o mal compreso. E' quanto fa ne II campo di nessuno Daniel Picouly, un altro scrittore che arriva alla letteratura maggiore dall'inesauribile fucina della «Sèrie Noire», recuperando, sul filo della tenerezza e della nostalgia, la sua infanzia a Villemomble sul finire degli Anni Cinquanta. Un romanziere che, dall'esterno, avesse scelto di raccontare la storia di una famiglia come quella dei Picouly, padre nero della Martinica che lavora come calderaio all'Air France, madre bianca e tredici figli, tutti stipati in un tre stanze più servizi occupato abusivamente in una notte d'inverno, si sarebbe sentito in dovere di far vibrare le corde dell'indigna¬ zione e della commozione ponendo l'accento sulla miseria, sulla promiscuità, sulla malattia, sulla discriminazione razziale. Con un po' di gusto e di fantasia, avrebbe potuto aggiungervi qualche situazione comica, dipingere un'atmosfera giocosa, magari prendendone le distanze e mettendola nel conto di un'allegra e un po' colpevole sconsideratezza. Ma mai si sarebbe azzardato a rappresentare una famiglia normale. Normale, anzi ideale, appariva invece al piccolo Daniel ed è questa normalità, questa quotidianità in cui i problemi di sempre e le emergenze della tubercolosi, di un incendio o di un debito si stemperano nel calore degli affetti, nel rituale delle abitudini e nello spirito di gruppo, che egli oggi, ormai cinquantenne, ci descrive. Tutto è rivissuto attraverso gli occhi del bambino di allora. Anzi, per favorire il miracolo del recupero dei ricordi, l'adulto di

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