Dal raid Pechino-Parigi di Luigi senior agli anni di piombo la saga di una dinastia narrata dall'erede di Indro MontanelliLorenzo Soria

Dal raid Pechino-Parigi di Luigi senior agli anni di piombo: la saga di una dinastia narrata dall'erede ribelle Dal raid Pechino-Parigi di Luigi senior agli anni di piombo: la saga di una dinastia narrata dall'erede ribelle LOS ANGELES HIAMARSI Barzini può essere un colpo di fortuna e un privilegio. Nella splendida villa sulla Cassia venivano Indro Montanelli e Kirk Douglas, Ennio Flaiano e Federico Fellini, Orson Welles e Edward Kennedy. Quando il padre di Andrea, Luigi Junior, non c'era, a ricordargli l'importanza di tanta famiglia restavano le foto, quelle sue e quelle del nonno, Luigi Senior. Ecco il primo al fronte in Abissinia con Ciano, piuttosto che in Mongolia alla vigilia della seconda guerra 0 a Hollywood ritratto sorridente accanto a Walt Disney, Charlie Chaplin, William Randolph Hearst. Ed ecco Senior, a Londra come corrispondente del Corriere allo scoccare del secolo, al volante della Itala nella leggendaria Pechino-Parigi del 1907 0 in Messico durante la rivoluzione di Pancho Villa. Chiamarsi Barzini può anche essere una condanna, un nome ingombrante e difficile. Invece di misurarsi con la difficile ombra del papà e del nonno, Andrea Barzini, classe 1952, ha dunque seguito le orme di tanti ragazzi della sua generazione. Lasciata la villa di famiglia a 16 anni, trasferitosi a Milano, si unì a Potere operaio. Agli inizi, era solo intervento nelle scuole e volantinaggi all'Alfa di Arese. Ma poco dopo, a cavallo tra il '72 e il '73, molti amici e compagni di Andrea scompaiono. Si era aperta la turbolenta era delle molotov e delle P 38. Erano stati cooptati a fare quello che allora si chiamava «Elle I», lavoro illegale. E lui? «Sei troppo esposto», gli dissero. «Hai un nome troppo conosciuto». Il veto, ci racconta, era venuto da Giangiacomo Feltrinelli, il «fratellastro delle sue sorellastre». La prima moglie di Luigi Junior era stata infatti Giannalisa Feltrinelli, la madre di Giangiacomo che poi ebbe con Junior altre due fighe: Ludina e Benedetta. Giangiacomo era molto più vecchio di lui e Andrea lo aveva incrociato poche volte. Ma quando, a sua volta in fuga dalla polizia con un mandato di cattura sopra la testa, venne a sapere che era morto dilaniato sul traliccio di Segrate, ad Andrea venne da piangere. Non per il lontano familiare perduto, ma per la sterilità, la solitudine, l'inutilità di quella morte. Lasciati i compagni di Potere operaio e abbandonata per sempre l'illusione che il terrorismo potesse offrire una soluzione, Andrea Barzini ha girovagato per un po' per il Centro e il Sud America tra rovine Maya, funghi allucinogeni e sciamani. Poi si è dato al cinema, arrivando nel 1990 a realizzare ItaliaGermania 4 a 3. Avrebbe potuto, con quel successo e con la rete di conoscenze, restare a Roma e fare altri film. Come il padre, come il nonno, si è fatto invece prendere dal desiderio di America. Caricata la famiglia, si è trasferito a Los Angeles, dove ha scritto sceneggiature e anche un libro, Una famiglia complicata, che verrà pubblicato a fine settembre dalla Giunti. Una famiglia complicata è il ritratto non di una famiglia, ma di due. Da un lato c'è la singolare, difficile, cosmopolita, nevrotica, complessa dinastia dei Barzini. Poi c'è quella più allargata e altrettanto complicata della sinistra gruppettara. Nel suo libro Andrea Barzini parla delle gesta e dei tempi del padre e del nonno, ma anche dei suoi incontri con René (Curcio) e con Franco (Piperno), di Oreste (Scalzone) che «con quell'aria da uccello sotto la pioggia» gli chiede di preparare delle molotov e di Tom (Negri), «col suo ciuffo elettrico», che gli fa la predica perché ha sentito che in casa sua si fumava. Ne abbiamo discusso con l'autore. Che cosa ricorda di Giangiacomo Feltrinelli? E che cosa pensa di quelli che, come Scalzone, lasciano intendere che dietro l'omicidio Calabresi potessero esserci i Gap di Feltrinelli? «In quei giorni, i compagni passati alla lotta annata erano ancora pochi e il nome di Giangiacomo non ha mai circolato. E' facile, adesso, accusare un morto. E non particolarmente edificante. Anche perché, a quel che mi risulta, dei dirigenti politici che in quel 1972 decisero che bisognasse passare ad "altre forme di lotta", Feltrinelli è l'unico che ha pagato di persona una svolta che fu comune a tanti. Se si escludono quelli delle Brigate rosse, che almeno sono stati coerenti, gli altri dirigenti hanno preferito mandare a morire la manovalanza, per poi, a decennio concluso, mettersi a dissertare. Per questo la morte di Feltrinelli mantiene ancor oggi un alone quasi eroico». Sta «proteggendo» un familiare? «Ma io Giangiacomo l'ho conosciuto molto poco. Siamo solo cresciuti entrambi in famiglie estremamente autoritarie. Ed abbiamo entrambi avuto grandi litigate con mio padre, che lui ha avuto come patrigno da adolescente. Quando io ero bambino, nella mia famiglia Giangiacomo era "il comunista" e negli Anni 50, nella borghesia, "comunista" era sinonimo di cose terribili. Crescendo, questo finì per render^ melo simpatico, come anche il fatto che avesse una relazione così tempestosa con sua madre. Giannalisa Feltrinelli la conoscevo bene, era una donna terribile». Nel libro, collega la morte di Feltrinelli a Potere operaio. «Ero un semplice militante, ma quando lui morì sorpresi i miei capi nel panico più completo. Tra i gruppi, Potere operaio era quello che aveva il maggiore slancio intellettuale e questo potrebbe avere attratto Giangiacomo. Ascoltare gente come Toni Negri 0 Piperno era affascinante, a prescindere dalle conseguenze funeste delle loro teorie. Per me fu una morte tristissima. Voleva dire che il sogno del '68 stava diventando un incubo. Lasciai la militanza per sempre». Senza avere mai varcato la soglia della violenza? «Solo perché non mi hanno chiamato. Bisogna ricordare il clima culturale di chi faceva parte dei gruppi extraparlamentari più estremi. All'inizio degli Anni 70 si era cominciato a coltivare un vero e proprio culto della violenza. Prima era stata solo la violenza di massa, quella delle manifestazioni. Ma poi si era cominciato a parlare di azioni militari organizzate dalle avanguardie. Il terrorismo è nato lì. In un clima del genere, entrare in una struttura clandestina e occuparsi di armi, esplosivi, rapine, attentati, era una promozione». Nel frattempo aveva conosciuto Curcio. «Conosciuto è dire troppo. Ci furono delle riunioni, nel 1971, con Scalzone e quelli di Sinistra rivoluzionaria, il primo nucleo delle Brigate rosse. Poi Curcio l'ho rivisto, sempre con Scalzone, quando era già in clandestinità e si faceva chiamare René. Lo ripeto, io ero solo un piccolo militante. Ma Curcio ho imparato ad ammirarlo. Come gli altri brigatisti della prima ora, non ha mai tradito nessuno, ha ammesso i suoi errori con dignità. Mentre molti dirigenti di allora oggi continuano a parlare d'altro, a fare confusione e distinguo, come se non fossero stati loro a indicare la strada». Si riferisce a qualcuno in particolare? «Ma i nomi li conosciamo bene tutti. Capisco, è difficile 25 anni dopo, diventati genitori e occupate importanti posizioni nella società, venire fuori dicendo: "Ho ucciso 0 ho fatto uccidere qualcuno, arrestatemi". Ma se non viene fatto, quegli anni continueranno a lacerarci e a inseguirci». E l'altra famiglia complicata, i Barzini? Una famiglia difficile. Ma che le avrà anche trasmesso dei valori positivi... «In famiglia c'era un patrimonio quasi precettistico, che andava da come si doveva stare a tavola (i bambini non parlano mai) a quale musica ascoltare (Mozart, mai Beethoven). Alla terza generazione era diventato troppo pesante continuare a seguire regole e gusti di quasi un secolo prima e io e i miei fratelli ci siamo ribellati. Pensavamo forse di liberarci di quel marchio di solitudine e, diciamolo pure, di infelicità, che ha segnato la vita sia di nostro padre che di nostro nonno. Ma questo non toglie che mio padre fosse un uomo straordinario. «Era acuto, ironico, paradossale, con una memoria mostruosa, una cultura enciclopedica, una lucidità che mantenne fino all'ultimo minuto di vita. Mi ha trasmesso il culto dell'eccellenza, mi ha insegnato a odiare la mediocrità, quella che lui chiamava "bassezza", e tutti i fanatismi. Da lui ho anche appreso a stare lontano dai luoghi comuni, qualità che, in Italia, hanno finito per fare spesso del babbo e del nonno degli incompresi». Lorenzo Soria Una villa splendida dove venivano Kirk Douglas, Flaiano, Orson Welles: e una sottile inquietudine L'ombra di Feltrinelli «un uomo di grande coerenza morale» cmdvvtapsdv Il regista Andrea Barzini. Sopra, Benedetta Barzini Luigi Barzini senior nel raid Pechino-Parigi. Sotto, Luigi Barzini junior e Giangiacomo Feltrinelli