«L'Italia? Un bel premio» I neri: sì all'aiuto di chi collabora di Fulvio Milone

«L'Italia? Un bel premio» A Villa Literno: è un'occasione per potersi mettere in regola «L'Italia? Un bel premio» / neri: sì all'aiuto a chi collabora UN DECRETO SOTTESAMI VILLA LITERNO DAL NOSTRO INVIATO Per i nordafricani la piazza del paese è solo «la rotonda», uno slargo battuto dal vento e invaso dalle cartacce, circondato da case basse con i muri scoloriti dal tempo e dalla sporcizia. La rotonda è l'ufficio di collocamento degli immigrati intrappolati in un paese che mal li sopporta. Molti hanno avuto fortuna, sono fuggiti verso il Nord, fino all'Emilia, o più su, in Lombardia, dove hanno trovato uno straccio di lavoro. Loro no: sono rimasti da queste parti a vivere una vita senza speranza, ad aspettare sulla rotonda che qualcuno li ingaggi per la giornata. «Li vede? - dice il funzionario di polizia al volante di un'auto civetta -. Li osservi attentamente: vivono in un mondo tutto loro, non hanno la possibilità e probabilmente alcuna voglia di integrarsi con la gente di qui». Il problema, continua il poliziotto, è soprattutto questo: cercare di rompere il muro di silenzio che circonda questo lembo d'Africa trapiantato in un paese del Casertano, e tentare di stabilire un dialogo tra due pianeti, uno bianco e uno nero, a stretto contatto tra loro eppure lontani mille miglia. «Lei mi chiede se le nuove norme che premiano l'immigrato che collabora con la giustizia saranno davvero efficaci. Io le rispondo di sì: il decreto va benissimo, a patto che loro, i diretti interessati, ne sappiano qualcosa. Le sembrerà assurdo, ma il nostro peggior nemico è la disinformazione o, peggio, la mancanza di informazione. Vuole una conferma? Parli con loro». Ismalia Gionna, 32 anni, della Nuova Guinea, sgrana gli occhi e scuote il capo se gli dici che, d'ora in poi, un extracomunitario che denuncia chi lo sfrutta o decide di uscire dalla malavita collaborando con i magistrati può guadagnarsi un permesso di soggiorno per un anno e, quindi, la possibilità di trovare un lavoro: una norma diretta soprattut- to a colpire il traffico della droga e il racket della prostituzione, che in Italia fattura circa cinquemila miliardi l'anno. Ismalia cade dalle nuvole, quindi opta per la strada della prudenza: «Non lo so, non mi riguarda: non ho nessuno da denunciare, io. Non ho fatto nulla di male». Ma Ibrahim, un suo connazionale, dice che «questa legge, se esiste davvero, è una legge buona». E spiega: «Nessuno di noi è venuto in Italia per fare del male. Se lo fa, è perché non ha altre possibilità. Ma se gli offri un'occasione, una sola occasione, vedrai che si metterà subito in regola. Avevo un amico, è finito nel giro della droga. A volte lo incontro e lui mi dice: non disprezzarmi, se potessi ne uscirei fuori subito. Se sapesse di questa legge, forse potrebbe salvarsi». Qui la prostituzione è un affare controllato quasi esclusivamente dagli africani. La statale Domitiana, un lungo nastro d'asfalto che scorre lungo la costa casertana, brulica di giovani ganiane e tanzaniane. Proprio sulla Domitiana si svolge la storia di Evelyn, una nigeriana di 20 anni approdata qui ad aprile. Se la norma che premia gli immigrati che collaborano con la giustizia fosse esistita cinque mesi fa, avrebbe risolto tutti i suoi problemi. Grazie alla sua testimonianza, infatti, la polizia ha smantellato un racket della prostituzione arrestando due sfruttatori. Ha raccontato come è arrivata in Italia, grazie ad un falso permesso di lavoro, per esse¬ re presa in ostaggio da un'organizzazione che l'aveva attirata nella trappola con il miraggio di un'attività onesta. Ha spiegato al magistrato che i suoi aguzzini l'hanno massacrata di botte, fino a mandarla in ospedale, pur di convincerla a battere sulla Domitiana. Ma la legge, a quell'epoca, era diversa, ed Evelyn è stata ingoiata nel nulla da dove era venuta. «Di storie come quella della prostituta nigeriana potrei raccontarne molte: un lungo elenco di occasioni perdute, di sconfitte dello Stato che non ha saputo dare risposte a chi non chiedeva altro che di uscire dall'illegalità - dice ancora il funzionario di polizia -. Vuole sentirne un'altra? La protagonista è un'albanese, una povera ragazza di vent'anni sbarcata suDa costa pugliese e costretta a prostituirsi in provincia di Caserta. Un giorno si è presentata al commissariato ed ha raccontato come e da chi è stata irretita. Abbiamo arrestato il capo della banda, ma lei ha cominciato ad avere paura: diceva che aveva lasciato un figlio in Albania, temeva che qualcuno potesse fare del male al bambino. Noi l'abbiamo protetta nei limiti del possibile, le abbiamo.trovato un posto in un centro d'accoglienza. Di più non abbiamo potuto fare. Com'è andata a finire?" La ragazza è spappata, sparita. Non testimonierà in tribunale, e probabilmente il suo sfruttatore tornerà libero». Fulvio Milone Immigrati in fila per regolarizzare la loro condizione. Sopra il ministro Livia Turco

Persone citate: Livia Turco