«Usciranno da quel limbo» I genitori, tra dolore e speranze

«Usciranno da quel limbo» «Usciranno da quel limbo» Igenitori, tra dolore e speranza L'ATTESA NEL REPARTO SAVONA OPO il tunnel di plexiglass, un vetro opaco, una parete metallica. A Rianimazione è «vietato l'ingresso, reparto chiuso», dice il cartello. La porta si apre per un attimo, prima di richiudersi senza rumore; l'inserviente sta disinfettando il pavimento, ha solo il tempo di alzare lo sguardo sulle telecamere che cercano di rubare le immagini di uno dei due ragazzi, distesi sul lettino, poco lontano. Alessandro e Lorenza, 23 e 29 anni. Sono diventati, loro malgrado, i testimonial di un dibattito aspro, al confine tra l'etica e i tagli alla sanità. Sono in coma da mesi, e occupano due dei sette posti letto della Rianimazione dell'ospedale San Paolo di Savona. Malati cronici, resi invalidi da due spaventosi incidenti stradali. Avrebbero bisogno di un reparto che in Liguria non c'è, dedicato alle persone come loro, che stanno sul lettino con gli occhi spalancati nel vuoto e la bocca aperta; le loro mani a volte si contraggono, a volte un sospiro si trasforma in un singulto. «Ecco, ci vuol dire qualcosa», i familiari si avvicinano, spiano, cercano la conferma di un segno di vita «vera»; i medici spiano gli esiti della Tac e delle risonanze magnetiche e sanno cosa è bianco e cosa è nero. Basta voler capire. Ma il cervello rivela un'attività elettrica, cioè funziona ancora: Lorenza e Alessandro sono vivi, aggrappati al loro dolce e interminabile sonno, avvolti in una stupefazione che è poi l'enigma, il cuore del problema. La spina, a loro, non la staccherà mai nessuno. Un angolo di irrazionalità segue il ritmo ipnotico dei monitor: Lorenza è in una stanza, sola. L'assistono dall'alba alle 22 i familiari, prigionieri della speranza. Alessandro è nella cameretta assieme agli altri pazienti. Lui respira da solo, e a volte apre e chiude la bocca. A volte sorride. Giorno dopo giorno, mese dopo mese; arriva il compleanno, e poi c'è il Natale, e la festa di San Silvestro con i brindisi di chi fa il turno di notte. Fuori può diluviare o, come ieri, il sole di settembre taglia la luce come una lama, disegnando ombre su letti, pareti e pavimenti tirati a lucido. Genitori e medici, genitori e infermieri, chini sui lettini; i ruoli si intrecciano, scanditi dai riti quotidiani. Alla mattina i medici fanno la visita. La temperatura, i tracciati delle macchine. Tutto a posto, la giornata può scorrere come le altre. Arrivano, sempre più rari, gli amici di un tempo, quello che fu il fidanzato o la fidanzata. Parole e gesti che cadono nel vuoto di una solidarietà, alla fine, inutile. Ogni gesto, eguale; c'è da bagnare le labbra aride, da cambiare la maglietta University of Colorado, c'è mia carezza da allungare su un viso che era quello di prima, guardandolo bene, ma forse no. I medici hanno imparato a dividere il tempo con i genitori di Lorenza e Alessandro. Loro hanno imparato a dimenticare gli orari, la fatica, la disperazio¬ ne e - anche - il lampo inutile che sembrava preannunciare il risveglio. Dopo, fa ancora più male. Ci si risveglia con la bocca amara. Ma vinti mai. «Sono come in un limbo - spiega il medico di Rianimazione Giancarlo Gobbi -, se li facessimo trasferire in un normale reparto di degenza, le loro speranze di vita si assottiglierebbero a poche settimane; trattenerli nel dipartimento d'urgenza significa azzerare due posti letto per un tempo che si preannuncia indefinito. Abbiamo sollevato il caso, bisogna trovare una soluzione». Già, ma quale? «Unica strada, gli istituti specializzati in questo tipo di assistenza; obiettivo, restituire ai reparti di Rianimazione la loro funzione», spiega il dottor Gobbi. Lo choc più forte lo hanno subito i genitori di Lorenza e Alessandro. Nella sala d'aspetto, un cumulo di giornali racconta l'angoscioso problema sollevato da medici e Usi. E ieri sera il primario ha convocato le famiglie nel suo studio. Ha spiegato loro che i due ragazzi non saranno certo «sfrattati» dal reparto, che saranno sempre assistiti, proprio come accade ora: Hanno capito. La mamma di Lorenza ha mani¬ festato con i medici il suo profondo dolore. Famiglie sconvolte, quasi ammutolite, dal clamore dei media. La mamma di Alessandro rompe il silenzio: «Che devo fare, a casa non posso certo riportarmelo. Non siamo in grado di assisterlo. Quando è stato dimesso dalla Rianimazione ha avuto tre crisi cardiache e una trombo-flebite. Ha bisogno ci terapie continue. E poi, quando fu trasferito alla Neuro venne ricoverato a fianco di un tossicomane... Le sue condizioni precipitarono in pochi giorni». I medici del San Paolo confermano: «E' proprio così. Mancano strutture intermedie tra i settori d'urgenza e i reparti in grado di assicurare la sopravvivenza ai malati in coma vigile. Oggi le tecniche di rianimazione possono assicurare a malati cronici come Lorenza e Alessandro la vita per decenni. Nel 2000, casi come questi, saranno centinaia», dice il dottor Gobbi. E' quasi buio, il padre di Alessandro corre dal figlio. Ogni momento libero è per lui. Per quel bagnino di 23 anni che amava lo sport e la natura. Forse, una di queste notti, gli regalerà un sorriso. Massimo Numa La mamma di Alessandro «Che cosa devo fare, non posso certo portarlo a casa ha bisogno di terapie continue» Il reparto di rianimazione dell'ospedale di Savona dove sono ricoverati i due ragazzi in coma. I medici hanno rivolto un appello al comitato di bioetica Sopra uno dei sanitari e a destra l'ingresso della camera che ospita i due ragazzi

Persone citate: Massimo Numa

Luoghi citati: Colorado, Liguria, San Paolo, Savona