«Devono rimanere in terapia intensiva, non esistono alternative all'assistenza» «Non sfrattate i ragazzi in coma» di Bruno Ghibaudi
«Devono rimanere in terapia intensiva, non esistono alternative all'assistenza» «Devono rimanere in terapia intensiva, non esistono alternative all'assistenza» «Non sfrattate i ragazzi in coma» // dramma di Savona ROMA. Non è un problema di bioetica, quello dei due ragazzi in coma a Savona, ma di organizzazione delle strutture sanitarie e anche di moralità. Non si tratta di staccare o no la spina, interrompendo o prolungando le cure in un reparto ad alto costo, ma semplicemente di gestire nel modo più logico e razionale questi reparti ad alta tecnologia nell'interesse dei pazienti e della comunità. L'assessorato alla Sanità della Regione Liguria ha sollecitato alla Usi di Savona una relazione dettagliata. «Non sono casi di morte cerebrale - spiega il prof. Corrado Manni, l'anestesista del Papa -. Si tratta soltanto di pazienti in stato vegetativo persistente, uno stato dal quale può emergere la coscienza, anche se nessuno sa quando». Mons. Elio Sgreccia, direttore del Centro di Bioetica dell'Università Cattolica di Roma, si astiene da qualsiasi commento «per non influenzare il Comitato di Bioetica della Usi di Savona, già investito del caso». Francesco D'Agostino, presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, vuole invece dissol- vere un equivoco pericoloso; «Questi ragazzi sono pazienti in coma, quindi pazienti vivi che sono sostenuti, alimentati, idratati artificialmente ma che possono comunque recuperare le loro funzioni vitali. Parlare di morte cerebrale e di eutanasia è quindi fuori luogo». La bioetica, dunque, non c'entra. E allora quale decisione possiamo attenderci? Per il prof. Lucio Marcellino, specialista di anestesia e rianimazione e docente di oncologia alla Facoltà di Medicina dell'Università «La Sapienza» di Roma, la soluzione è una sola: «Quei due ragazzi devono restare in terapia intensiva, perché devono essere seguiti e monitorizzati minuto per minuto, 24 ore su 24. Qui gli specialisti abbondano, solo qui ci sono quegli apparati altamente sofisticati e computerizzati in grado di rilevare il più piccolo segnale di allarme o di ripresa. Altre alternative per l'assistenza non ce ne sono». Quindi aggiunge: «Dal coma ci si può svegliare, anche dopo 19 anni. Credo che se uno di noi fosse al posto di quei ragazzi e avesse anche solo una probabilità su un miliardo di risvegliarsi, farebbe di tutto per concretizzarla». Dalle cronache recenti emergono conferme straordinarie e commoventi. L'anno scorso un ragazzino hutu sopravvissuto ad una strage in Burundi e adottato da una coppia di italiani era caduto in coma in seguito a un incidente stradale nei pressi di Padova. A strapparlo da quel sonno senza coscienza, quindici giorni dopo, era stata una fotografia di Roberto Baggio che un'amichetta undicenne si ostinava a tenergli per ore e ore davanti agli occhi. Quasi negli stessi giorni a Modena Valerio Vasirani, uno studente di ingegneria che diciassette mesi prima era precipitato in un coma profondo in seguito a trauma cranico riportato in uno scontro d'auto frontale era stato riportato alla vita dalla voce della fidanzata, che gli era sempre stata accanto. Le speranze di risveglio non sono dunque infondate. «Ogni posto letto per rianimazione e terapia intensiva costa almeno 2 milioni e mezzo al giorno e spesso anche molto di più. E sotto questo aspetto posso capire le preoccupazioni degli amministratori dell'Ospedale di Savona - dice ancora Marcellino -. Ma dinanzi alla vita di due ragazzi tutto diventa secondario. Sette posti letto per un'area come quella servita dall'ospedale di Savona possono essere anche pochi ma 12 potrebbero bastare: a Roma ce ne sono appena una quarantina». Il vero problema non è però tanto quello di aumentare di molto questi posti, che verrebbero co¬ munque occupati in poco tempo, o di spostare altrove i pazienti in coma prolungato. «Bisogna gestire meglio i posti che già ci sono, con lucidità organizzativa e senza cedere alle pressioni dei soliti furbi», dice sempre Marcellino. «Circa il 20% dei posti di rianimazione sono occupati da pazienti che non hanno più bisogno di cure intensive ma che versano in condizioni tali da non poter essere ospitati in reparti normali - gli fa eco Manni -. Rimangono perciò in rianimazione pur non avendone bisogno, a scapito di chi si trova in emergenza e della spesa pubblica». Marcellino affonda ancora il bisturi: «Ad occupare abusivamente molti posti ci sono spesso i soliti pazienti "importanti", i protetti o i raccomandati. Il perché di questa preferenza è presto detto: qui vengono a beneficiare di un'assistenza sanitaria di prim'ordine». Bruno Ghibaudi «Un posto in rianimazione costa due milioni al giorno» J|f IH L'ingresso del reparto di rianimazione dell'ospedale di Savona Monsignor Elio Sgreccia del Comitato di bioetica
Persone citate: Corrado Manni, Elio Sgreccia, Francesco D'agostino, Lucio Marcellino, Manni, Roberto Baggio, Valerio Vasirani
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