Agnelli: io sono mediterraneo

Agnelli: io sono mediterraneo SIT'''~ " :3: Agnelli: io sono mediterraneo r SI T'.''~ " : — s 3 : — Con l'Avvocato in elicottero verso il Monviso TTORINO RA un siciliano e un lombardo non trovo differenze di qualità e di difetti. Ho sempre rifiutato di considerarci i prussiani d'Italia ed ho rifiutato sempre anche il tic di certi uomini d'affari che negli Usa, a chi glielo chiede, rispondono: "Sì, sono italiano, ma del Nord". Anzi, mi ricordo che a Brooklyn l'editore del "Progresso Italo-americano", Generoso Pope, una volta elogiò con sicurezza il mio bel cognome siciliano». Sotto di noi abbiamo lasciato le fabbriche e i casermoni per sorvolare una delle campagne più intensamente lavorate d'Italia. Il Po ci accompagna esile, tutt'altro che maestoso. Come è possibile che in così breve tempo lo si trasformi in un mito pagano? «Non mi stupisce, per la verità. I fiumi questa funzione mistica nell'antichità ce l'avevano, pensi al Nilo. Lo trovo arcaico ma non illegittimo, e poi oggi i miti si costruiscono e si disfano così in fretta». Intorno al mito bossiano però ci sono simboli visibili come le camicie verdi e i fiocchi rosa, che accompagnano non solo l'ampolla battesimale ma anche l'obiettivo concreto della secessione. Lo vede, Avvocato? Su quel ponte hanno scritto Padania, sull'asfalto Indipendenza. «Già, io sto volando incuriosito dall'originalità dell'uso politico di luoghi così belli, ma siccome ho un'età per cui ho già vissuto questi giochi nell'epoca fascista, li trovo soprattutto di dubbio gusto. Quanto alla secessione, non la trovo verosimile, però non so davvero immaginarmi quale Europa avremo tra venti o trent'anni. L'augurio mio è di avere delle desovranizzazioni degli Stati nella direzione di una sovranità superiore, e altre desovranizzazioni a favore delle realtà locali. Ma certo l'Europa sopravvive solo in dimensione continentale, altrimenti il declino sarà velocissimo... Ma guardi là, quel rilievo nella campagna è la rocca di Cavour, subito sotto c'è la casa di Giovanni Giolitti, mio nonno ci arrivava da Villar Perosa per passeggiare insieme a lui». Paesi e storie di grandi vecchi piemontesi che ignoravano la parola Padania. Ma forse, chiediamo all'Avvocato, la questione oggi non si porrebbe se capitale d'Italia fosse rimasta Torino, qui, ben piantata nel Nord? «Certo Roma e il potere centrale suscitano ostilità, la leggo sui volti dei miei concittadini di Villar Perosa - che sta là in fondo sulla destra, guardi - dove ho fatto il sindaco per trent'anni e dove ora la Lega è il primo partito. Perdere il ruolo di capitale per Torino deve essere stato uno choc terribile, ma pensi la capacità che ha avuto di rilanciarsi pochi anni dopo come città dell'industria. E la fortuna di imbroccare il prodotto giusto in mezzo al tessile, al vermouth, al cioccolato. Bene o male l'automobile un secolo ce l'ha dato, è raro un prodotto di tanto successo e di tale durata. Ma ecco la valle del Sestriere, qui facevamo tutte le manovre della Scuola di cavalleria, a cavallo prima e in autoblindo dopo. Al momento del passaggio, era forse il '39, nostro istruttore divenne il pilota Nino Farina, che sarebbe un po' come avere oggi Schumacher in caserma». Eccolo, il Monviso, dalla pietra scura e scoscesa come le montagne che disegnano i bambini. «Ha una sagoma così perfetta che si comprende be- ne perché la Paramount ne ha fatto il suo marchio». A questo punto l'Avvocato comincia a cercare i leghisti sotto di sé proteggendosi dal sole con il palmo della mano. Risultati scarsi, confessiamolo. Le auto parcheggiate al Pian della Regina, le mandrie agitate sui prati rasi dei duemila metri, ma loro, i fondatori della Padania, appaiono piccini e in gruppi sparuti. L'Avvocato è curioso, interroga me che lì sotto c'ero stato nelle ore della vigilia, gli piace l'idea dei «gauchos» a cavallo, si preoccupa che le camicie verdi non avessero né pistole né bastoni, non immaginava una tale capacità organizzativa del movimento leghista. Ma, quanto a Bossi, non riusciamo proprio a individuare il suo pullover in stile Missoni. «Una volta l'ho incontrato, Bossi, è venuto a trovarmi col suo Gipo Farassino. Che dire di lui, è un uomo che ti interessa esaminare più come tipo che per quello che dice». Lo sa, Avvocato, cosa ha proclamato Pagliarini appena giunto alla sorgente di Pian del Re? Che tra cent'anni qui saranno in migliaia a celebrare... «Già, e magari l'ampolla d'acqua raccolta da Bossi sarà venerata come il sangue di San Gennaro». Il pilota vira, indietro alla volta del castello di Moncalieri, là dove la collina torinese declina nella piana. Da sei anni lei è senatore a vita, questo cambia il suo modo di porsi di fronte alla politica? «Vede, i miei amici al Senato erano uomini come Spadolini e Visentini, che non ci sono più. Anche se trovo sempre persone di qualità. Ma le confesso che se ho considerato molto im¬ portante nella mia vita il giorno in cui mi comunicarono quella nomina inaspettata, oggi, rispetto a quel primo giorno, mi sento più lontano». Però di fronte a sommovimenti come questo, lei prende la parola. L'avvocato-senatore si ritrae: «Parlo il meno possibile di politica. Certo, quando sono all'estero il fatto di essere senatore mi porta a esprimermi in modo diverso che se fossi solo un industriale o un finanziere. Ma il lavoro di critica al governo che talvolta tocca al presidente della Confindustria o della Fiat, oggi non lo potrei fare. Mi sento anche formalmente più solidale con chi gestisce il Paese. E dunque pure di fronte alla manifestazione leghista ho trovato giusto che si sia tenuto un atteggiamento di low profile». Neanche a Moncalieri, dall'alto, si vede ancora l'ombra di un leghista, la festa comincerà all'imbrunire. Ma i capannoni industriali di Torino riportano il discorso sull'economia. Non potrebbe la recessione favorire la secessione? «Detto così, non credo. Ma vediamo. C'è rallentamento, e l'anno prossimo la crescita sarà al massimo dell'1,5 per cento. Bisognerà arrivare alla fine del '97 per verificare se l'Italia avrà dimostrato sufficiente buona volontà da ottenere l'indulgenza degli altri partners europei. Il che è molto improbabile. Se non ce la facessimo, o se decidessimo di restare fuori dall'Unione, allora quello che succederebbe in Italia è imprevedibile. Svalutazioni all'infuori di ogni rapporto con gli altri? Una fase autarchica? C'è già chi ritiene necessario per l'Italia un grande choc». Quale choc, Avvocato? «Non lo so». Eccoli, i ponti di Torino, i Murazzi ancora deserti in attesa della marcia fluviale del profeta padano. A vederla dal suo elicottero la giornata della Lega è piccolina... «Sì, ma è come il nascere di un fiume», preferisce non sbilanciarsi. E prima di rientrare in villa confida: «Qualche volta scelgo l'elicottero anche per andare a Roma, così vedo scorrere Lucca, Siena, la valle del Tevere, e penso che questo è il più bel Paese del mondo». Non la pensavano proprio come l'avvocato Agnelli quei signori che qualche ora prima s'inerpicavano a piedi per chilometri, bandiera in spalla e macchina fotografica a tracolla, da Crissolo fin su ai 2020 metri di Pian del Re. E neppure il surreale cavaliere padano che portava in groppa il suo sguardo antico e il suo telefonino ultimo modello, lasciandosi sorpassare dalla colonna dei motociclisti e dal gippone Toyota con su la scritta «Via da Roma» guidato da una camicia verde che sembra un ranger. Al rifugio ho bevuto il caffè con una comitiva per nulla barbarica, guidata da Fosco Ujetto, capo progettista messo in mobilità dall'Ibm di Torino, e da Mario Pezzuto, venditore di capannoni industriali prefabbricati in quel di Biella. Gente dai capelli bianchi, moderata («Prego, semmai ponderata») che mica crede cambi qualcosa di sostanziale, da lunedì prossimo, nella vita associata del Nord. Loro puntano al federalismo, «purché sia vero lo accetteremmo perfino da quelli che governano a Roma, perché siamo gente che ha lavorato tanto, prodotto tanto, pagato tanto, e sa quello che vuole». Ma allora cosa c'entrate voi con questo rito pagano della secessione? «Questo è un trabocchetto. Se vuole glielo possiamo anche dire che l'ampolla con l'acqua del Po è folklore pubblicitario e che non m'interessano le storie sul popolo padano. Ma intanto l'ampolla serve ad allacciare la nostra amicizia, e poi se non ci inventassimo queste trovate voi scribacchini di Agnelli mica dareste retta alla nostra lotta». Ha ragione Rossana Rossanda: questa Padania furibonda è la proiezione sociogeografica di una nuova classe che erompe, e il paganesimo di Bossi surclassa ia «rude razza pagana» che inutilmente Mario Tronti sognò potesse essere La classe operaia. Questi signori maturi con o senza la camicia verde, godono e soffrono insieme una nuova primavera. Ci pensa Bossi a dargli l'immaginazione al potere, mentre si arrabbiano e si divertono come in un Sessantotto della piccola borghesia, o della classe media visto che oggi si preferisce chiamarla così. In comune col Sessantotto dei ragazzi rossi c'è il nemico: lo Stato e i capitalisti alla Agnelli. Sapessero che li sta sorvolando, punterebbero la contraerea. Ma solo per scherzo, perché c'è il sole ed è una grande festa. Gad Lerner «Bossi? Mi interessa più come tipo che per quel che dice» «Dubito che l'Italia otterrà l'indulgenza dei partner europei» «Va bene il Po, ma certi giochi li ho già vissuti in epoca fascista» Nella foto in alto Bossi durante il comizio a Moncalieri A sinistra l'avvocato Agnelli, sotto Giovanni Giolitti e il Monviso