SECESSIONE MENTALE di Gad Lerner

Dopo quattro anni SECESSIONE MENTALE plimenti a Fini per avere organizzato in piazza Duomo una risposta significativa all'insulto costituzionale di Bossi», scrive su «Repubblica», aggiungendo che di certo «in quella piazza ci saranno canti cittadini per cui non conta il colore politico ma solo quello della bandiera italiana". Tale sortita retorica procurerà senz'altro a Bassolino l'applauso del popolo napoletano, e forse anche quello di Luciano Violante che eia mesi evoca una sorta tli unita nazionale antilcghista comprendente ex fascisti ed ex comunisti. Ma la teoria delle manifestazioni alternative, l'illusione prospettila del piazza contro piazza, del «contiamoci», appare del tutto fuori tempo e fuori bersaglio, come minimo inefficace, se non controproducente. Anche Gian Enrico Rusconi denunciava con indignazione su queste colonne, mercoledì scorso, la «strategia della disattenzione» cui il governo si sarebbe affidato, e ancora accusava la magistratura italiana che «non ha niente da dire all'onorevole Bossi quando dichiara "estero" il Parlamento cui appartiene». Ma pensiamo davvero che il Viminale avrebbe dovuto vietare la catena umana sul Po, convocata da un partito che conta 4 milioni di voti, il 20 per cento dell'elettorato settentrionale? Pensiamo davvero che sarebbe utile l'ennesimo intervento delle procure? Certo è ben comprensibile lo sconforto di uno studioso come Rusconi, che da tempo si prodiga nella definizione di una più nuova e forte identità nazionale. Tra le grossolane elucubrazioni intorno alla micro-nazione padana da una parte, e dall'altra il revisionismo storico che contesta la Resistenza come mito fondativo della Repubblica, appare sempre più probabile che questa nostra Italia cessi di sentirsi una nazione. Ma la crisi degli Stati nazionali non è un'invenzione di Bossi bensì un fenomeno di portata mondiale, che solo in parte trova le sue spiegazioni nell'internazionalizzazione dei processi decisionali in campo economico. E questo spiega anche l'impaccio del governo nell'intraprenderc un'efficace riforma federalista dello Stato, mentre il capo del più grande partito nazionale, Massimo D'Alema, si configura semmai come il leader meno federalista d'Italia. Dopo quattro anni Giovanni Mottola lascia la direzione del Tempo ROMA. Dopo quattro anni, Giovanni Mottola lascia la direzione de II Tempo. Ne dà notizia una nota dello stesso quotidiano della capitale, spiegando che la decisione è stata presa «consensualmente» dalla società editrice romana e lo stesso Mottola «nel quadro di nuove iniziative e piani editoriali allo studio del nuovo editore Domenico Bonifaci». Mottola firmerà il quotidiano fino al 15 settembre: «Da quel giorno, in attesa di una soluzione definitiva, II Tempo sarà firmato dal vicedirettore facente funzioni Gian Paolo Cresci». «L'editore - conclude la nota - ha espresso i suoi ringraziamenti al direttore Mottola per aver condotto il giornale negli ultimi due mesi dopo il cambio di proprietà». E già circolano le voci sul dopoMottola: fra i nomi dei candidati alla prima poltrona del Tempo Paolo Liguori, Pialuisa Bianco, Paolo Francia, Roberto Gei-vaso e Arturo Diaconale. [r. i.J Chi invece reagisce al nuovo corso della Lega manifestando divertimento di fronte agli aspetti folkloristici del secessionismo padano (dall'ampolla di vetro ai certificati del fiocco rosa, passando per le carte d'identità nordistc) rischia un errore di sottovalutazione. La proclamazione d'indipendenza della Padania non è infatti solo un bluff politico o, se si vuole, una formidabile trovata pubblicitaria. Se anche le conseguenze della manifestazione domenicale potranno apparire modeste rispetto alle minacce della vigilia c all'aspettativa creata dai media, pure da lunedì 16 settembre l'Italia dovrà fare i conti con un movimento secessionista compatto e radicato su una parte rilevante del suo territorio. E questo non è folklore. Giungiamo così ad esaminare infine le reazioni di consenso suscitate dalla mobilitazione secessionista. Solo chi dimentica il contesto culturale, oltre che economico, in cui opera la propaganda leghista, può stupirsi di fronte a un certo apprezzamento popolare nei confronti del mito artificioso della nazione padana. Viviamo una fine secolo di frantumazioni sociali, ovunque accompagnate dall'esaltazione di identità etniche spesso posticce e dal prevalere dei fondamentalismi sulla cultura laica. Perché mai l'Italia avrebbe dovuto restarne immune? In questo senso è lecito paragonare il proselitismo secessionista a un virus rapido e contagioso. Debellarlo implica il ricorso alla razionalità, cioè l'esatto contrario della corsa alla drammatizzazione cui stiamo assistendo in questo parossistico fine settimana della secessione mentale. Gad Lerner

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