Casbah frontiera invisibile«Mazara,amaro rifugio dei tunisini»

Solo la criminalità unisce i due gruppi Solo la criminalità unisce i due gruppi Casbah, frontiera invisibile Mazara, amaro rifugio dei tunisini mazara pel vallo DAL NOSTRO INVIATO C'è questo banchetto al mercatino di Gela: il tunisino vende coniglietti di pezza, tutti azzurri. Vende, ma nessuno compra. Guarda con invidia due suoi connazionali che hanno banchi più grandi e merci migliori: mutande femminili (mille lire al paio) e, soprattutto, zainetti scolastici con il marchio contraffatto («Invitta») a seimila lire l'uno. Pensa che se avesse anche lui merce del genere gli affari gli andrebbero meglio, la gente si fermerebbe. Invece passano e proseguono, imboccano corso Vittorio Emanuele, addobbato dalle luminarie, entrano al bar La Bussola, dove al muro sta appesa una bandiera sudista americana, come se ci fosse la guerra di secessione, attraversano piazza Umberto, che ha da poco ospitato un concerto dei Ricchi e Poveri (ecco dov'erano finiti, a Gela), guardano le vetrine di un negozio di abbigliamento dove un manichino bianco e uno nero indossano confezioni Panico, indugiano davanti ai cartelloni del cinema Mastrosimone, dove danno «Striptease», discutono se trascorrere la serata a guardare Demi Moore che si spoglia o andare, invece, a vedere il circo di Stato di Bucarest. Alla fine, fanno un'inversione a U e ripercorrono tutto corso Vittorio Emanuele, dedicando altri sguardi a chiunque e a qualunque cosa, tranne che al venditore di conigli azzurri. E' il segnale che può anche andarsene, tornare da dove è venuto, non in Tunisia, a Mazara del Vallo, che almeno le assomiglia. C'è arrivato due anni fa. Il viaggio da casa sua è durato sei mesi. Nel senso che la notte in cui l'hanno sbarcato clandestinamente sulle coste siciliane non gli hanno detto che erano, in reità, quelle di Pantelleria. Cercava case basse, color della sabbia e un porto grande, pieno di pescherecci. Non osava chiedere indicazioni, ma vedeva strani edifici di pietra e calette con quattro barche. Quando ha capito che lo avevano ingannato, avrebbe voluto ammazzare qualcuno, ma aveva a portata di mano solo se stesso, e rinunciò. Si rifugiò in una di quelle case di pietra abbandonate che i locali chiamano dammusi. Mangiò quello che cresceva dalla terra e che già non si mangiavano i conigli. Quando venne più freddo e non crebbe più nulla, si mangiò i conigli, quelli che gli riuscì di catturare. Pensò di tornare indietro, ma a quel punto era tanto difficile quanto proseguire. Fece un favore a qualcuno e ottenne un biglietto per Trapani. Di che favore si trattasse non lo vuole dire, quel che conta è che lo portò a Mazara del Vallo, che gli sembrava una terra promessa. Terra, era terra; promessa, non mantenuta. Dopo due anni, è ancora lì che gira i mercati di paese con i conigli di pezza presi all'ingrosso da un connazionale che ha fatto strada e è entrato nel commercio. Se non torna, è per non tornare povero. Da Gela, però, va via appena scende la sera e il mercato chiude. Via, perché, dice «questo è un posto difficile per noi». E per chi non lo sarebbe? Scrive il giornale locale che ci vive anche un licantropo e lo scrive così: «Un intero quartiere di Gela è stato "svegliato" da un licantropo», segnalando con le virgolette che si può dubitare del risveglio, ma non dell'esistenza di «un essere ululante e ricurvo, tutto coperto di peli». La strada da Gela a Mazara del Vallo è lunga, ma per un tunisino porta davvero a casa. Glielo annuncia un vento tiepido che arrotola la polvere nelle strade vuote e sterrate. Qui non ci sono luminarie e mercati, ma cani magri, crocicchi all'esterno delle officine di elettrauto e sotto i cartelloni del cinema Grillo dove danno «Striptease», ragazzi che impennano i motorini nei vicoli e una folla di pescherecci schierati davanti all'edificio in «lego» della capitaneria di porto. Cinquantamila abitanti, un decimo dei quali tunisini, calcolo ufficioso e comunque percentuale record di immigrazione in un Comune di grandi dimensioni. Percentuale di integrazione, vicina allo zero. I nordafricani hanno la loro «enclave» nel centro della città, il quartiere pericolante che i mazaresi hanno abbandonato dopo 0 terremoto del Belice e i tunisini occupato pagando quello che avevano per affollarsi nei locali rimasti lìberi e poter creare quella che ancora viene chiamata casbah, anche se non le assomiglia, anche se ora, dopo trent'anni, cominciano a spostarsi verso la periferia, lasciando il posto nei buchi deEa città ai nuovi poveri, slavi e albanesi, arrivati con le navi della disperazione. Trent'anni di vita comune e non più di quindici unioni miste. Casi così rari che tutti se li ricordano ancora, specialmente se mazarese era l'uomo, come Mario Buffa, che si innamorò di una giovane vedova nordafricana, venuta a vivere con i parenti emigrati e a fare la domestica. Lei non ottenne dalle autorità religiose del suo Paese il permesso di sposare un «infedele» e lui si convertì e si mise a studiare il Corano, tra un viaggio in mare e l'altro, per provare la sua nuova fede. Quando credette di averlo capito e imparato, andò a Tunisi per sostenere l'esame davanti all'imam. Fu bocciato. Ci volle un ricorso alla giustizia italiana perché potessero sposarsi anche senza il nulla osta dalla moschea e ci volle, soprattutto, che lei accettasse di farne a meno. Oggi hanno una bambina e a ogni compleanno mandano una sua foto all'imam. Uno che si è messo meno problemi è Edy, arrivato con i primi emigrati nel '68. In Tunisia aveva lasciato una moglie e quattro figli. A Mazara del Vallo ha trovato una donna, separata, con quattro figli e ha messo su casa con lei. Edy, pescatore, due mogli e otto figli a carico. Li ha mantenuti tutti. Il mare è stato generoso con la sua rete. Le sue donne, generose con la sua doppia vita: «Anche se quando andavo in Tunisia, quella voleva tenermi là e quando tornavo in Sicilia, questa faceva altrettanto. Ma io dovevo ripartire, sennò, i figli di una delle due, cosa mangiavano?». Chi non ha l'energia di Edy e si è arreso alla difficoltà delle unioni miste, ha fatto venire la moglie da casa. Le donne della casbah lavorano come domestiche nelle case dei mazaresi, che raccontano così: «Gente ricca, c'è chi ha due cucine e la vasca jacuzzi e c'è chi tiene camere sempre chiuse, ma con i mobili da lucidare ogni giorno». In realtà, la ricchezza si sta ormai dissolvendo. Da cinque anni c'è aria di crisi. Qualcosa è cambiato. Prima i soldi attraccavano, anche troppi per essere tutti prodotti dalla pesca. Armi e droga arrotondavano i conti di molti e facevano la fortuna anche di chi si limitava a tirar su spigole senza farsi troppe domande. Poi si è inceppato qualcosa. Sarà anche perché è scomparso dal paese quel tipo tracagnotto che aveva la villa bianca vicino al mare, veniva a prendersi il caffè nel bar di fronte ai cantieri e raccoglieva saluti silenziosi. Quando l'hanno arrestato, a Palermo, aveva la carta d'identità con residenza a Mazara del Vallo e un nome che non gli apparteneva: lui si chiamava in realtà Salvatore Riina. E' rimasto in paese suo fratello, ma non è la stessa cosa. Gli unici che, forse, non conoscevano davvero Riina, erano i tunisini. E mentre la mafia di Mazara cerca di riorganizzarsi, loro mettono su attività, aprono negozi e ditte di import-export. Antonino Cusumano, antropologo, uno dei pochi che ha studiato il fenomeno, fa una previsione: «La prospettiva è la prevalenza della comunità tunisina. Dalla loro parte hanno la demografia e la fantasia. Noi li guardiamo crescere a braccia conserte. Chi ospita una comunità produttiva ha il dovere civile di creare le condizioni di inserimento. Invece qui tolleriamo da anni un'assurdità come la scuola tunisina, ospitata all'interno della scuola elementare italiana, dove maestri mandati dal loro governo insegnano materie loro e fanno ai bambini indottrinamento nazionalistico. Poi, finita la scuola elementare, i ragazzi vanno a studiare al loro Paese, dove sono molto selettivi. Chi ce la fa, va avanti, quelli bocciati tornano in Italia a prendere il diploma qui, dove è più facile. Nonostante questo, i mazaresi continuano a guardarli con aria di superiorità. Se hanno cominciato ad apprezzarli un po' è solo perché sono arrivati gli slavi e, quelli, li giudicano anche peggio». Gli unici casi di associazione alla pari tra siciliani e tunisini avvengono nella microcriminalità, con alleanze per lo spaccio di stupefacenti. Ci entrano ragazzi che non hanno la schiena di Edy, né la voglia di mantenere otto figli passando la vita in mare. Il Corano, come il Vangelo, può ben essere dimenticato. Qualcosa di simile è accaduto a quella che i giornali hanno chiamato «Bocca di rosa», la prostituta tunisina cacciata da Partinico (dove, al nuovo cine Smeraldo, danno «Striptease»). Era sbarcata qui, faceva la domestica, poi, raccontano nella casbah, a forza di pulire la jacuzzi, le è venuta voglia di averne una ed è finita così. Dicono sia tornata a Mazara del Vallo e voglia ripartire per la Tunisia con una delle prossime navi da Trapani. Come molti, qui, ha guardato le poche opportunità, ha scelto la peggiore, non le è rimasto niente. Gabriele Romagnoli PARTIMCO 1 GELA «Bocca di rosa» tradita dalla voglia .di ricchezza Il rito infinito della passeggiata nella strada del centro ( VIAGGIO IN SICILIA 3. Solo la criminalità unisce i due g A sinistra un'immagine di Gela. Sotto Mazara del Vallo. Secondo un antropologo nei prossimi anni prevarrà la comunità tunisina

Persone citate: Antonino Cusumano, Casi, Demi Moore, Gabriele Romagnoli, Mario Buffa, Mastrosimone, Panico, Riina, Salvatore Riina