E' un ex della banda della Magliana: «Fu ucciso perché aveva documenti sul sequestro Moro» «Vitalone decise il delitto » di Giovanni Bianconi

E' un ex della banda della Magliana: «Fu ucciso perché aveva documenti sul sequestro Moro» E' un ex della banda della Magliana: «Fu ucciso perché aveva documenti sul sequestro Moro» «¥ìtalone decise il delitto » Caso Pecorelli, un pentito accusa PERUGIA DAL NOSTRO INVIATO Tre o quattro lustri fa, quando viveva di rapine e omicidi, lo chiamavano «accattone»; oggi invece, per i suoi ex amici, è solo un «infame». Nella banda della Magliana, la gang criminale che impazzava a Roma tra gli Anni 70 e 80, Antonio Mancini era uno dei capi; adesso, 48 anni, è diventato collaboratore di giustizia «perché mi ero rotto le scatole di quella vita e perché ho capito che ci strumentalizzavano»: rispetto a Tommaso Buscetta, è l'altra metà del processo per il delitto Pecorelli. Se «don» Masino ha parlato di un omicidio eseguito dalla mafia nell'interesse di Giulio Andreotti, l'«accattone», un anno e mezzo dopo, ha aggiunto il resto: «Ho saputo che ad ammazzare il giornalista Pecorelli furono Massimo Carminati, un giovane fascista che era in contatto con noi, e un siciliano che io conoscevo come Angiolino il biondo». Specificando anche che il suo amico Abbruciati - altro boss della Magliana, morto ammazzato nel 1982 a Milano, mentre sparava al vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone - gli spiegò che mandante di quel delitto era «il dottor Vitalone», il magistrato ed ex senatore de «fedelissimo» di Andreotti. Protetto da un paravento nell'aula bunker alla periferia di Perugia, adesso, Antonio Mancini ripete le sue accuse. Con l'accento romanesco e l'udito che fa cilecca, risponde alle domande dei pubblici ministeri; ma si vede che s'è caricato per fronteggiare il fuoco di fila degli avvocati difensori: «So che mi salteranno addosso, ma io dico la verità». Con l'avvocato Coppi scoccano le scintille: «Professore, questa domanda è mal posta»; «Lei non si permetta»; «No, io glielo dico»; «Pensi alle persone che ha ammazzato, invece», finché le urla dei due e degli altri legali costringono il presidente a sospendere l'udienza. Di quel giornalista ammazzato il 20 marzo 1979, Mancini ha saputo, prima ancora che da Abbruciati, da un altro capo della banda della Magliana, Enrico De Pedis, «una persona squisita», assassinato a Roma nel 1991. «Stavamo facendo un appostamento contro un allibratore che dovevamo ammazzare - racconta alla corte d'assise -, e io chiesi ad Enrico come mai tenevano in così alta considerazione Massimo Carminati. Lui mi rispose che, insieme a un certo Angiolino il biondo, Carminati era stato uno degli esecutori materiali del delitto Pecorelli. Aggiunse anche che la pistola usata ih quell'omicidio era la stessa che lui aveva in quel momento». L'arma del delitto, secondo Mancini, era custodita in un arsenale della banda nascosto nei sotterranei del ministero della Sanità, a Roma, scoperto dalla polizia nel novembre del 1981. «Io lo so che c'era», dice l'«accattone», ma quella pistola, al ministero, non è mai stata trovata. C'erano invece dei proiettili provenienti dallo stesso stock di quelli che uccisero Mino Pecorelli. Dopo le rivelazioni di De Pedis, continua Mancini, fu Danilo Ab- bruciati a dirgli che «gli esecutori materiali erano quelli, e che il delitto era stato messo in atto per entrare nelle grazie di un potere giudiziario-politico-massonico al quale faceva capo il dottor Vitalone; che era stato chiesto dal dottor Vitalone». L'ex senatore de è seduto tra i suoi avvocati, ascolta, e ima volta di più si indigna per «le menzogne di un pluriomicida che ha pensato di ottenere una riduzione di pena accusando degli innocenti». Il suo accusatore va avanti, e spiega che quell'Angiolino il biondo lui l'ha riconosciuto prima in fotografia e poi di persona nel boss mafioso Michelangelo La Barbera. Racconta i suoi incontri con La Barbera, con Pippo Calò («Danilo mi ha detto che anche lui sarà interessato al delitto Pecorelli»), dei legami tra Abbruciati e gli uomini di Cosa nostra, di aver saputo che Pecorelli fu ammazzato perché «era in possesso di documenti relativi al sequestro Moro che potevano dar fastidio a quello stesso gruppo politico». Da dietro il paravento arrivano dettagli sugli agganci della Magliana con politici, magistrati e «guardie». Mancini cita Evangelisti, Umberto Ortolani, e tra i giudici fa i nomi della dottoressa Iannini, oggi gip di Roma, che l'ha già denuncia- to per calunnia. Il pentito riferisce una storia che però non s'è mai verificata: De Pedis gli avrebbe promesso che «tramite il dottor Gianni Letta», all'epoca direttore de II Tempo, sarebbero usciti degli articoli di giornale benevoli nei suoi confronti, in modo tale che poi la Iannini avrebbe potuto concedergli i benefici di legge. «Ribadisco che proprio negli anni cui si riferisce Mancini - ha detto ieri il giudice Iannini - ho spiccato mandato di cattura nei confronti di De Pedis per tentato omicidio, rinviandolo a giudizio in stato di detenzione». Giovanni Bianconi «Gli esecutori furono un fascista legato a noi e il boss mafioso La Barbera» L'ex senatore replica «Sono menzogne di un pluriomicida che cerca sconti di pena»

Luoghi citati: Milano, Perugia, Roma