La lunga vigilia del Guerriero che prepara l'abito scuro

La villa invasa da centinaia di foto e ritratti del grande capo Con moglie e figli le ultime ore prima dell'indipendenza: «Partorisce domenica, Padania» La lunga vigilia del Guerriero che prepara l'abito scuro NELLA «TANA» DEL SENATUR GEMONIO DAL NOSTRO INVIATO Adesso che tutto è ormai pronto, registrata pure l'ultima intervista a Bruno Vespa, gettato uno sguardo distratto sui fax col testo della Costituzione transitoria e della Carta dei cittadini padani, il guerriero sprofonda nel divano, lancia un comando alla moglie («Manuela, caffè») e si gode soddisfatto il sole dell'autunno padano accingendosi al suo passatempo preferito: il monologo ininterrotto. La vigilia dell'uomo che domani salirà sul Monviso e domenica - per chi ci crede - fonderà la Padania, appare semplicemente idilliaca e pervasa di quel misticismo neopagano che ormai contrassegna il capo della Lega. Ce ne viene conferma da tutto ciò che circonda un Umberto Bossi fresco di doccia, con la scriminatura appena tracciata bene in mezzo ai capelli bagnati. Villetta a tre piani verniciata di giallo con decorazioni in ornato floreale varesotto. Giardino in cui scorrazzano due fratellini che si vantano di essere già stati tre volte a Pontida, anche se la mamma domenica non li porterà nella confusione di Venezia. E' vigilia anche per Roberto, sei anni, che andrà in prima elementare e ripone la cartella nuova nel rifugio segreto vietato ai grandi, sotto la palma, di fianco all'ulivo. Mentre Renzo, otto anni, ama già giocare al leghista: «Io faccio papà, cioè il Bossi, e dò gli ordini a Robi che fa il mio aiutante». E l'ultimogenito, punito con il nome di Sirio Eridanio? Lo adorano: «E' su con la nonna che fa i suoi primi passétti», spiega Renzo con la è più bossiana che si possa concepire. Varchiamo dunque la soglia, lasciamo che l'ultimogenito vada a dormire col suo ciuccio giallo e con il sorriso innocente di chi crede di chiamarsi solo Sirio, e scrutiamo gli ultimi preparativi di una secessione fin troppo annunciata: «Quando va via lei comincio a lavorare, ma non ho più molto da fare: solo diversificare per reminiscenze storiche i comizi lungo le diverse aree geografiche, evitando di ripetere sempre le stesse cose. Perché quella del Po sarà soprattutto una lunga cerimonia, cui sarà d'obbligo presentarsi con l'abito scuro e la cravatta, altrimenti giù dal palco». Confida il Bossi domestico: «Mi preoccupa di più il discorso finale dell'indipendenza, quello di Venezia. E' ancora tutto da scrivere. Deve essere breve, non più di venti minuti, voglio rivolgermi al popolo con semplicità, senza sbavature, anche perché domenica a parlare saranno soprattutto le immagini e le musiche». Le musiche? «Già tutte studiate, è una cerimonia storica. Posso anticiparle solo che si andrà dalla Patria oppressa alla Forza del destino, perché Verdi era un padano e con lui diremo che la nazione è buona ma terribile, capace di combattere anche nel ghiaccio, nella neve, nel fango». Più che il monologo, a questo punto suscita interesse il leader che vi. si dedica con tono profetico. Quale energia si sprigiona dalla sua persona, tale da consentirgli di architettare e diffondere a freddo - in pochi mesi - nella nostra epoca cinica e disincantata, le simbologie di un mito padano privo di alcun riscontro etnicostorico? Insomma, va ricercato nel carisma del piccolo-borghese Bossi il Dna del virus della secessione? Oggi, in casa sua, appare talmente sereno da accettare anche le domande personali sulla famiglia e la politica: «Non è vero che non li vedo mai, i miei figli, perché adesso io ho tre vite. Nel senso che ho rotto il ciclo circadiano, spruzzo ormoni e i miei bioritmi sono del tutto autonomi dalle consuetudini temporali. Per cui se sto a Gemonio posso anche dedicarmi alle 9 di mattina ad una piena attività intellettuale o muscolare. Quest'ultima, con l'aiuto dei miei due garzoni». E allora Renzo che sta accucciato sul tappeto si riscuote: «Come quando partiamo per quadri, vero papà?». I quadri. Questo è un dettaglio davvero obbligatorio da descrivere. Non ci si può trattenere; «Bossi, ma in questa casa ci saranno appesi forse cento suoi ritratti e fotografie, che idea si faranno di lei i bambini?». Siamo davvero circondati da uno straordinario museo del kitsch leghista. Solo nel salotto, attorno al caminetto d'onice, registriamo tra le decine di cornici e targhe e miniature e ninnoli: un abat-jour biancorosso con lo stemma del Carroccio; il ritratto del padrone di casa vestito da Braveheart con tanto di spadone; gli orologi a muro bossiani tra cui uno in coppia con Farassino. Nell'immancabile vetrinetta, dieci Alberto da Giussano di fogge diverse e uno scoiattolo in bronzo della sezione di Cortina fanno compagnia niente meno che a un autentico Telegatto («giuro che non è quello rubato a Pippo Baudo»). Ma gli Alberto da Giussano appesi solo nel piccolo salotto sono ben di più, quasi quanti gli Umberto Bossi. Lungo le scale resiste ancora, insinuata tra le cornici affisse da Bossi e dai suoi garzoni, perfino una Pivetti che stringe la mano del nostro, mentre la Sua immagine su pellicola, a olio o in caricatura ci ossessiona fin nelle camere da letto. Segni di una ingenua devozione popolare dei militanti perfettamente in sintonia con l'ingenuo autocompiacimento del Capo. «Io tengo solo le cose senza valore economico che mi dona la gente semplice. Come potrei sbarazzarmene?». Così padre e figlio insieme mi mostrano, con lo stesso entusiasmo, 10 spadone «Excalibur» appeso nello studio all'ultimo piano subito sopra la cartina dell'Italia Celtica Cispadana. E dopo, ascoltare 11 vocione rauco di Bossi che racconta la forza inarrestabile dei padani sotto gli occhi incantati del suo Renzo, significa capire il fascino popolare delle favole. In quale preciso momento, da quale lettura ha tratto l'idea del Po come mito fondativo della politica secessionista? «Il Po è un grande drago, una creatura magica. Non mi occorreva nessuna lettura perché il fiume scorre nella vicenda della Lega simboleggiandone il faticoso passaggio dalla Lombardia a tutto il Nord. Nella mia mente il Po è sempre stato una spina dorsale, non un confine». Ma chi è Bossi? Un genio della pubblicità o un pazzo da legare? «Del resto ha sempre avuto una naturale tendenza a compattarsi, quest'area celtico-venetica, celtizzata se vuoi...». Interrompiamolo, per carità, e riproviamoci: ma se l'anno scorso ha imposto il nome Eridanio all'ultimo nato, con riferimento ai figlio del sole caduto nel Po, vorrà pur dire che questa leggenda l'aveva letta da qualche parte e magari aveva già concepito anche la sua religione fluviale? «Son cose da sempre nella mia mente. Quella storia la incontravo pure sulle bustine dello zucchero Eridania, e poi a Cassanmagnago la insegnavano a scuola, ai miei tempi. Certo, gli insegnanti che ci hanno mandato su adesso ti propinano al massimo la storia della Magna Grecia». Alla ricerca di un'identità nazionale tutta da inventare, anche se lui non lo ammetterà mai («I calabresi prima sono calabresi e poi italiani. Chi può pensare che non sia lo stesso per i padani, figli di una terra che storicamente, culturalmente, artisticamente c'è sempre stata?»), Bossi punta dritto al cuore della sua platea. Si avventura a riflettere sulla doppia natura dell'uomo, per cui «la trascendenza, gli affetti, i riti stanno bene al centro della mia battaglia». Anche se non bisogna dimenticare che «questo è il momento della spiritualità ma anche dei soldi. La casa sta dove batte il cuore, dice un vecchio adagio». Ecco spiegato, forse, il Bossi Sognatore. A lui non ha senso porre la domanda sul grande bluff di domenica prossima che da due mesi fa ballare tutta la politica italiana e smuove anche la Chiesa. Se il capo della Lega ha mostrato di essere un formidabile giocatore di poker al tavolo della politica romana («Il demolitore di Berlusconi», ama definirsi), lo deve proprio alla sua astuta, irriducibile visionarietà. Lui ci crede. «Io li trascino a giocare la partita sul mio campo perché a Roma non cambia il pelo di una barba, e a chi mi dice che lunedì 16 la vita della gente del Nord resta identica, anche se domenica proclamiamo l'indipendenza, so bene io cosa rispondere». Cosa? «Rispondo che domenica sarà anche una grande giornata eletto- i rale. Sa cosa significa? M Che il prossimo gover- JJ no provvisorio eletto da milioni di persone in riva al Po sarà il governo più legittimato del mondo, e dunque potrà agire all'americana. Disporrà sulla moneta, sulla difesa, sulle forze di polizia». Qui ormai Bossi s'infervora: «Se quel governo provvisorio si muove non è come il premier Fagliarmi di adesso, non so se mi spiego, da lunedì avrà la forza di rimuovere quel che non ci va bene. Ha la potenza, i mezzi, il popolo per battere l'Italia e gli italioti». Dunque da lunedì cambierebbe tutto, nell'Italia Settentrionale, benché la Costituzione provvisoria leghista conceda un anno di transizione per verificare una separazione consensuale con Roma. In quest'animus pugnandi di Bossi intravediamo l'idea di una Forza che - osiamo dirglielo - non esiste. «E' vero, la secessione è anticostituzionale benché il diritto giusnaturalista premetta i diritti dell'uomo a quelli dello Stato. Dunque la secessione è un pro¬ blema di forza, non di diritto. E dove c'è la gente, c'è la forza». Non è mica detto, caro Bossi, che l'operosa e adirata gente del Nord che vi vota poi alla fme abbia voglia di rischiare la pelle e il portafogli in nome dell'indipendenza padana. «Qui ti sbagli, giornalista. Perché è la classe dirigente del movimento che sospinge e decide i qual è il momento giusto. Io sono i cauto ma la macchina è pronta. : Conosci il Veneto, Brescia, Bergamo? E' un'orda pronta contro ogni romanofilo, basta un ordine». Bossi te le dice sorridendo gandhianamente, queste sue soavi verità rivelate. Con l'aria di chi intanto la prima battaglia secessionista del 15 settembre sa di averla già vinta, qualunque cosa accada domenica. Chi riuscirà a prenderlo davvero in castagna sul numero dei partecipanti? Chi può negare che almeno nel Paese virtuale della pubblica opinione la Padania è un'entità ormai nota? Allora per una volta risparmiamoci l'arringa contro quelli di Roma, «dinosauri che portano la cravatta ma sono uomini delle caverne, come quel terrone vendicativo di Di Pietro o quell'altro suo amico Flick Flock o come diavolo si chiama». Solo un ringraziamento, dal suo buen rotiro, Bossi lo vuole inviare al leader di An, Gianfranco Fini: «E' proprio vero che sono meglio le erbacce di strada che i costruiti come lui, artificiale creatura di Abiurante. Non poteva farci regalo migliore. Figuriamoci l'effetto che otterrà in tutta Padania con la sua idea di riempire per un giorno, domenica, Mdano di terroni». E intanto la signora Manuela pensi a stirare l'abito scirro. «Partorisce domenica, Padania», è l'ultima parola dell'onorevole Bossi. Gad terrier «Ormai ho tre vite spruzzo ormoni. Non ho più orari ma ho la forza della gente» La villa invasa da centinaia di foto e ritratti del grande capo «Da lunedì prossimo il nostro governo sarà il più legittimato del mondo» : Mk \ m •. $ : "1 ■ éè^&ì -^é^m^i A sinistra Bossi con la famiglia In alto a destra la folla leghista ad un suo