I carbonari del Delta tra rabbia e speranza

Il Presidente lancia una proposta: la Commissione bicamerale vari una riforma dello Stato in senso federale magari sul modello della Svizzera I carbonari del Delta tra rabbia e speranza SCHIOCCIA CUSI, il rogo dove sarà? «Eeeeh, il rogo... Sarà in tutta la Padania, il rogo! Cento fuochi, mille...». Sì, ma precisamente? «Lì, al mercato dell'ortofrutta, lo vede il ponte? Poi c'e lo slargo e laggiù l'erbetta». E brucerete i libretti del canone Rai per davvero o per finta? «Qui il finto lo abbiamo mandato in Terronia. La Lega è vera. La Padania è vera. La rabbia ò vera...». E la Secessione? «Vera anche lei: Secessione con Selezione. Lo scriva!». Son duri e puri i leghisti da queste parti, con le facce cotte dal salmastro e il cuore allenato fin dai tempi grami della Liga Veneta, quando il Franco Rocchetta, una quindicina di anni fa, già predicava di «popolo veneto, nazione veneta», a pochi manipoli di carbonari dialettali. E il Sergio Dolfin, che oggi fa il capogruppo della Lega in Comune, metteva via il suo cappelluccio di capostazione e andava «a respirare l'ossigeno dell'indipendenza, anche se tutti, allora, ci scherzavano...». Ore fatali, qui nell'apnea acquatica di Chioggia, 53 mila abitanti, pescherecci danzanti in ogni canale, barchini, chiatte, motoscafi, argani, gatti, umidità, tra le belle palazzine di nobiltà e trine settecentesche, penultimo approdo di Bossi, domenica pomeriggio, prima del gran finale veneziano. E' stabilito che Umberto arriverà dal cielo del Grande Fiume «tramite l'elicottero», atterraggio ore 14,15 sul piazzale del rogo, dove 150 camicie verdi baderanno alle fritture, mentre un mezzo esercito di poliziotti, carabinieri, guardacoste, presidieranno l'imbuto geopolitico che minaccia baruffe. In effetti si tratterà di imbuto. Chioggia è uno zatterone di terra lungo 800 metri e largo 600, con densità maggiore che a Napoli: 25 mila residenti. La Lega promette 10 mila arrivi via terra e via mare. Ma in quelle stesse ore anche il capopopolo tarantino Giancarlo Cito, quello della Lega meridionale, quello che vuol prendere «a calci nel culo Bossi e i suoi», ha chiesto e ottenuto una piazza. E una piazza vogliono chiederla pure gli autonomi di Padova, e i centri sociali della zona, che stanno tatuando i muri di Chioggia con tanti «leghisti = fascisti» così da generare un discreto allarme nelle calli. Niente di che, al momento, ma abbastanza da notare uno speciale fervore dentro all'ampio commissariato, dove gli uomini dell'ufficio politico hanno pile di fonogrammi in arrivo e in partenza, fumano, bevono caffè e poi ti dicono: «Polizia? Ce ne sarà tanta, ma tanta, ma tanta...». Arriverà la Celere da Padova, il battaglione mobile dei carabinieri da Venezia e insomma il Delta del fiume, la culla di Padania, sarà un pullulare di divise centraliste. Così anche i colonnelli leghisti tengono i nervi sulla breccia, un sovrappiù alla proverbiale «focosità chioggiotta» di cui van fieri, considerandola un prodotto locale, come i caparozzoli, le vongole allevate in laguna, che qui chiamano «l'oro del Delta». All'ora dell'aperitivo, quando il sole va giù e l'acqua diventa cenere e i pescatori ciabattano lungo la via del Popolo, che poi sarebbe il corso, l'arteria terrestre di questo mondo d'acqua, trovi tutte le comparse del conto alla rovescia. L'uomo del pds Fortunato Guarneri, chirurgo, che ti dice: «Chioggia ha tradizioni democratiche, qui, prima dell'avvento leghista ci sono sempre state giunte di sinistra. La forzatura di oggi, secessione, indipendenza, irredentismo, mi sembrano delle pericolose fughe in avanti, che con¬ trasteremo. Anche con le denunce. Anzi noi siamo stati i primi...». Vero: lo scorso maggio, quando in Comune i consiglieri leghisti si sono presentati con la camicia verde, Guarneri ha scritto a Scalfaro, Mancino, Violante e Napolitano. «Così i leghisti del sindaco Todaro hanno capito che non scherziamo». E pure quelli di Rifondazione comunista, i militanti della Camera del Lavoro, sono sul piede di guerra e dicono: «Quelli sono razzisti, odiano i meridionali, professano un localismo esasperato che diventa contesa territoriale grottesca. In Cadore odiano più Venezia di Roma. Qui detestano il Polesine. A Padova sentirà parlar male dei vicentini. E comunque qui non sono forti come vorrebbero far credere: hanno in mano la giunta, ma solo perché si è votato nel 1993. Lo scorso 21 aprile di voti ne hanno presi pochi, il 20 per cento e nessun loro candidato è stato eletto». E la gente? Al solito si tiene in disparte, come è stato facile verificare a ogni tappa di questo viaggio sul Po. Fanno gli occhi sottili il barista, il panettiere, l'oste, la signora del bar, il commerciante, anche se poi sulla sponda ci andranno, «ma solo per vedere», «ma solo per sentire questo famoso Bossi», «ma solo perché qui non capita mai niente». Per cui il fervore, l'animazione dei popoli di cui vanno parlando i militanti leghisti snocciolati sui 652 chilometri di Po, si allarga e rallenta nei larghi invasi di vita quotidiana, buon senso, disincanto. «Ve ne accorgerete!» sibila il consigliere Marco Sambo, che ha appena presentato mozione per togliere la lapide che qui ricorda il passaggio di Giuseppe Garibaldi. «Io sono senza patria dal 1797, quando si disfo la Serenissima. Ora siamo alla resa dei conti, è iniziata la lotta finale per l'Indipendenza». «Chiuderemo il rubinatto dei soldi - dice Dolfin - e tutta Roma, coi suoi ministeri verrà giù come sabbia». «Cosa chiediamo in fondo? - si chiede sinceramente stupefatto Marziano Pasello, segretario -. Di avere la nostra terra e la nostra moneta...». E lo crede possibile? «Mi sì, non è che vogliam la luna...». Ti rispondono con una risata se gli dici che la gente non ha nessuna voglia di rivoluzioni se gli dici che decine di sindaci del Polesine (Ariano, Porto Tolle, Porto Viro, Rosolina, Taglio di Po) hanno detto di no alla secessione. «Ci seguiranno, noi siamo la storia. Il Veneto è un dinosauro. Non tollereremo più che il magistrato del Po sia un meridionale. Cosa ne sa di Po uno che viene dalle Calabrie? Ognuno a casa sua». Lo dicono e lo scrivono. Per esempio nel documento «Secessione e Rivoluzione» Aldo Moltifiori, responsabile federale enti locali, scrive: «Il corpo insegnante, il corpo di polizia, la magistratura e in genere tutti gli enti pubblici sono rigorosamente gestiti da gente del Sud. Nella Rai è in atto una selvaggia colonizzazione di italioti, compreso il presidente Siciliano, che lo è di nome e di fatto». Perciò: «Faremo il rogo dei libretti del canone. E Chioggia, da domenica, sarà sugli occhi del mondo. Via! Basta! Tutti insieme. E se poi vogliono denunciarci, dovranno fare un milione di processi». Ed è sul fuoco, i cento roghi immaginati dalle sorgenti di Crissolo a questo Delta avvelenato, che il viaggio va a concludersi, come fa il Po. L'acqua, per sua natura, i fuochi li spegne. Ma in questo mondo capovolto, da domani, potrebbe pure accenderli. Pino Corrias [3, fine] La gente si prepara per andare a sentire «'sto famoso Umberto» «Con l'acqua si fan le vongole, con l'aria le chiacchiere» (giornalaio chioggiotto) «Con l'acqua si fan le vongole, con l'aria le chiacchiere» (giornalaio chioggiotto)