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« « Rimandati alla Maturità » «IlLikud blocca la pace, ma non durerà» LO SCRITTORE COSCIENZA m ISRAELE ©GERUSALEMME IA' da alcune settimane volevo scrivere un articolo sul nuovo governo israeliano, ma ne ho più volte rinviato la stesura. Nonostante i tentativi dei commentatori politici di decifrare il comportamento del suo nuovo capo, Benyamin Netanyahu, è chiaro che nessuno è in grado per ora di penetrarne i codici profondi. Se il processo di pace dalla fondazione dello Stato d'Israele fosse una scuola al cui termine lo studente dovesse ricevere il diploma di maturità (cioè un vero trattato di pace con i Paesi arabi e un modus vivendi accettabile con i palestinesi), probabilmente il governo Peres avrebbe segnato l'anno conclusivo. E' vero che l'ultimo anno si presentava come il più difficile, perché i voti finali sarebbero stati quelli decisivi, ma eravamo pronti a scommettere che, finalmente, dopo più di un secolo di attriti o di conflitti, alle soglie del Duemila la pace non sarebbe più stata un sogno. Ma l'arrivo al potere di Netanyahu ha bloccato, almeno a prima vista, i nostri progressi: non solo la maturità sembra allontanarsi, ma abbiamo addirittura l'impressione di essere tornati indietro di un anno. Comunque, siamo obbligati a rimanere in classe. Ed eccoci di nuovo costretti a sopportare i discorsi sciocchi di insegnanti e educatori, questo per esempio: gli ebrei hanno diritto di vivere in ogni luogo, non si vede perché proprio la terra d'Israele sarebbe loro negata. E la stessa cosa non varrebbe anche per gli indiani, o i cinesi, e perché no gli egiziani? Siamo tornati agli esercizi ben conosciuti, il cui unico scopo è farsi beffe dei palestinesi e ferire il loro amor proprio: sono esercizi maligni, e pericolosi. Torniamo a sentire i vecchi discorsi sulla necessità di democrazia dei Paesi,arabi, come se la Con Pepromoancora pace con l'Egitto fosse stata fatta in seguito a una clamorosa svolta democratica in quel Paese, o se Israele non avesse mtrattenuto ottime relazioni con Paesi come il Sud Africa al tempo dell'apartheid. Però dopo la rabbia e la delusione per la sconfitta dei laboristi, invece di una vittoria che sembrava così a portata di mano e - soprattutto - così giustificata, sono altri i pensieri che ci vengono in mente. Cercherò di sintetizzarli in tre punti. 1) Siamo rimasti in classe, è vero, ma non abbiamo abbandonato la scuola. Cioè, il quadro di riferimento dal quale non siamo usciti è quello iniziato con la visita di Sadat nel 1977, che aprì agli accordi di Camp David con le loro due parti: la pace con l'Egitto, che c'è stata, e la concessione dell'autonomia ai palestinesi, che non c'è stata. E' sulla base di questi accordi che ha avuto luogo la Conferenza di Madrid, cui hanno fatto seguito gli accordi di Oslo 1, nel 1993, e Oslo 2, nel 1995, che contengono il germe del riconoscimento reciproco del diritto di palestinesi e israeliani all'autodeterminazione. Questo implica il riconoscimento della dirigenza dei due Paesi, se democraticamente eletta; nel caso dei palestinesi, si tratta dell'Olp e del suo capo, Yasser Arafat. Ma questa è materia digerita, sulla quale non è il caso di tornare. Almeno i dirigenti del Likud non ci verranno a raccontare le loro storie sull'inesistenza di un popolo palestinese, sul «terrorismo» dei loro dirigenti e cose del genere. Anche se Netanyahu vorrà bloccare il processo di pace, pro¬ crastinandolo continuamente (e ricordo che il «procrastinare» è una delle torture inflitte all'imputato dal tribunale invisibile, nel «Processo» di Kafka) secondo gli insegnamenti del suo maestro e predecessore, Yitzhak Shamir, non sarà in grado di farlo. Finché si trattava davvero, le date potevano essere elastiche, perché ogni risultato sul terreno era reale, e irreversibile. Ma ora ogni ritardo è fonte di frustrazione e contribuisce a avvelenare un po' di più l'atmosfera, perché in assenza di iniziative le ricerche di una soluzione globale diventano degli impegni pesanti come pietre. In questo caso, ogni ritardo è una ritirata. Gli accordi di Oslo non sono mi trattato bilaterale, perché vi hanno preso parte in forme diverse anche gli Stati Uniti e l'Egitto; a loro è tenuta anche la Giordania. Una violazione da parte israeliana di un processo destinato a restituire ai palestinesi il diritto elementare di ogni essere umano - essere cittadino in una propria nazione attraverso una chiara separazione feografica, dovrebe suscitare le reazioni degli altri firmatari. So bene quanto l'influenza americana sia limitata dalla suscettibilità dell'influente ebraismo americano. Quando ho visto che i parlamentari delle due Camere americane hanno accolto il discorso di Netanyahu con ben dodici «standing ovations» - come avevano fatto con Rabin e Peres, suoi avversari politici, che avevano dimostrato nella realtà 0 loro coraggio - ho cominciato a perdere la fiducia nell'integrità dei rappresentanti del popolo americano; almeno per quanto riguarda Israele. Forse non se ne rendono conto, ma applaudendo Netanyahu sostengono una politica che aspira a fare di Israele un Paese non molto diverso dal Sud Africa dell'apartheid, con le sue enclaves etni¬ Il premHebronl'ha acc che. 2) Sono convinto che l'Egitto e la Giordania, con i quali abbiamo confini aperti e una pace vera, interverranno per riportare Israele al rispetto dei propri impegni. Perché dobbiamo renderci conto di una cosa, che è poi l'unica consolazione e fonte di fiducia malgrado il fatto che siamo rimasti in classe. In Israele, la gente è stanca di guerre e di lotte, e malgrado l'ideologia della Grande Israele sono in pochi quelli che prenderebbero le armi per sostenerla. Sono l'individualismo e l'edonismo consumistico diffusi in Israele in modo persino esagerato, secondo me - che ci fanno sostenere le esigenze di pace: non la generosità o un qualche valore morale, bensì la mollezza e la stanchezza. 3) La pace con la Giordania, gli accordi intermedi con i palesinesi, non ci permettono più di pensare all'eventualità di una distruzione totale di Israele ad opera di nemici irriducibili che ci circondano da ogni parte: è perciò ingiustificato imporre la nostra presenza di occupanti ai centocinquantamila arabi di Hebron, solo per rimanere in possesso della grotta di Machpelah, dove si trovano le tombe di Patriarchi defunti più di tremilacinquecento anni fa. Ma anche il governo Netanyahu procederà alla ritirata, senza troppo clamore, da Hebron. E almeno non avremo le manifestazioni e le provocazioni che avrebbero accolto un'analoga decisione del primo ministro assassinato, il cui ricordo sta sparendo troppo presto nel nostro Paese. Abraham B. Yehoshua Con Peres saremmo già promossi, ma non siamo ancora stati espulsi da scuola Il premier si ritirerà da Hebron. Ma il Congresso Usa l'ha acclamato anzitempo