«Umberto, devi essere più duro»

«Umberto, devi essere più duro» Tra arcaismo barbarico e tecnologia informatica la risposta a una domanda: è solo un bluff? Dove nasce il virus della secessione Un giorno in via Bellerio, la roccaforte della Lega LA VIGILIA DEGLI UOMINI DEL CARROCCIO MILANO DAL NOSTRO INVIATO Il primo documento secessionista non ho bisogno di andare a cercarlo nella sede nazionale della Lega Nord perché me lo recapita per posta il signor Fulvio Ferraris di Tonco, in provincia di Asti: «Egr. Sig. Gad Lerner, ha scritto una disamina talmente ricca e vera sul movimento al quale appartengo da invogliare un mio amico, finora semplice elettore, a chiedere e ottenere la tessera di militante. Sarebbe bellissimo se anche lei, dando un grande esempio di democrazia vera e non apparente, facesse altrettanto. Per intanto le offro una poesiola dedicata alla nostra bella e dolce Padania». Così, insieme ai versi che vi risparmio, ho ricevuto anche la mia carta d'identità della «Repubblica indipendente della Padania», in cartoncino giallo naif, già marchiata con lo stemma del Carroccio tanto per sancire in anticipo la confusione tra Stato e Partito propria di chi non ha molta dimestichezza con la democrazia. Ringrazio il signor Ferraris, stampatore di gadgets caserecci, e rispetto la buona fede che lo sospinge in un anelito di proselitismo. Ma tuttavia mi chiedo: ci crederanno veramente anche i dirigenti leghisti? Oppure qui nel vecchio borgo milanese di Affori, nel palazzone di via Bellerio, a quattro giorni da quello che sbandierano come il momento cruciale della loro storia, stanno magari facendosi delle gran risate alle spalle nostre, di Scalfaro, di Violante, del cardinal Martini e di tutti gli altri che li prendono in parola? Vano sarebbe interpellare direttamente Umberto Bossi, lui in questi giorni più che parlare emette vaticinii, e i profeti - si sa - non possono distinguere tra visione e realtà. Meglio allora rivolgersi al presidente in carica della Padania, Giancarlo Pagliarini, uno che ha passato la vita a fare il certificatore di bilanci, poi per sette mesi si è seduto sulla poltrona ministeriale del Bilancio oggi presidiata da Ciampi, e con quella faccia da baùscia meneghino non può certo spacciarsi per un sognatore. L'ho visto sorridere, sabato scorso, predicando alla folla ostile del festival nazionale dell'Unità che la secessione conviene pure ai meridionali, poiché dà loro la grande opportunità della «svalutazione competitiva». Ma qui, alla sua scrivania da pseudopremier padano, proviamo a inchiodarlo. D'accordo, Pagliarini, ammettiamo che avete realizzato un capolavoro di propaganda secessionista occupando il centro dell'attenzione per un'estate intera, sicché domenica ci trascinerete tutti sul Po. E' già una vittoria. Ma in cambio tu ammetti che non ci credi mica a tutta la coreografia del Comitato di liberazione padano, delle cabine elettorali in riva al fiume, dell'avvocato Matteo Brigandì capo della magistratura nordista e dell'onorevole Pagliarini presidente del Consiglio di chissadove. Lui strizza gli occhi nel sorriso furbo delle doppie e triple verità di partito: «Non so se sono il più adatto a rispondere, perché il mio governo ha rimesso proprio ieri il mandato in Consiglio federale. Lunedì 16 avremo infatti un nuovo governo provvisorio, stavolta eletto dal popolo nel giorno dell'indipendenza, e dunque legittimato ad avviare le trattative con il corrispettivo governo di Roma per le modalità della separazione. Speriamo consensuale». Pagliarini, ma tu lo sai benissimo che il 16 settembre non comincerete né le trattative con Prodi né l'insurrezione nordista, allora perché vuoi esibirti in un recitativo tanto inadatto a un ragiunatt milanese? «Vedi, caro mio, è che abbiamo la storia dalla nostra parte, a Roma governano guardando nello specchietto retrovisore mentre noi siamo anni luce davanti a loro». E ride ancora, con l'aria dell'impunito che ti frega con la simpatia. Sentendosi parte di un sommovimento di disgregazione mondiale, i leghisti in grisaglie alla Pagliarini amano citare un giapponese dal nome impronunciabile, Kenichi Ohmae, che ha scritto «La fine dello Stato-nazione». E poco importa se il libro-bandiera di questo ex senior partner della McKynsey descrive in realtà proprio l'esplodere di quei nuovi regionalismi asiatici che in breve tempo rischiano di schiacciare l'economia padana. Ai nostri preme solo di potersi qualificare modernissimi, nel mentre che si apprestano a adorare paganamente il dio Po e a costruirne a freddo il mito, per uso e consumo delle masse. Nei corridoi semibui da istituto tecnico di periferia sui quali si affacciano le stanze dei responsabili leghisti, incontro gli ultimi militanti che in Italia conservano ancora l'uso reciproco del «lei» e tra di loro si danno del dottore, dell'avvocato, dell'onorevole. «Ecco il nostro ingegnere responsabile del servizio informatico della Lega». E che se ne fa la Lega di un ingegnere informatico? Risposta: «Esattamente tutto quello che non bisogna mai raccontare a un esterno come lei». Già, è d'obbligo un po' di mistero insaporito di vigilanza clandestina, sommato al folklore inquietante delle camicie verdi, dentro un movimento costruito come anti-Stato rivoluzionario, predestinato a generare a sua volta niente meno che uno Stato bambino. E ormai le doglie sono imminenti, a quanto pare, domenica si rompono le acque. In questa visita alla sede leghista mi farà compagnia un personaggio davvero notevole qual è Roberto Biza, responsabile organizzativo del movimento e quindi anche del mega-show dell'indipendenza. Ma prima di raccontarlo è il caso di riproporci la domanda da cui siamo partiti. Davvero noi operatori dei media, voi pubblico pagante, e loro, i politici di Roma, siamo tutti scivolati inconsapevolmente nell'ingranaggio leghista di un evento surreale, cioè fondato sul niente? Insomma, siamo tutti vittime del più grande bluff degli ultimi anni? E' antipatico aggirarsi per via Bellerio sospettando di essere solo l'ultimo credulone vittima di una beffa che ha già fruttato migliaia di titoli da prima pagina e copertine di telegiornale. Ma la mia risposta è no, sento che sbaglieremmo a ridurre la manifestazione secessionista della Lega alla categoria del grande bluff, solo perché non avrà immediate ripercussioni politico-istituzionali. Ci sono sempre le ragioni strutturali che conosciamo già, quel che accadrebbe se perdessimo il treno di Maastricht, lo spettro di una recessione prolun- gata, il pericolo di una provocazione in cui ci scappa il morto. Ma c'è in più qualcosa che si sente nell'aria. Frequentando questi leghisti, vedendo materializzarsi la relazione sintonica tra loro e le tante platee del Nord, viene alla mente l'immagine di un virus potente e rapidissimamente contagioso. In fondo è la ragione per cui con sincera disinvoltura oggi Vittorio Feltri può dichiararsi più secessionista di Bossi, dopo che aveva dato per morta la Lega. E può scoprirsi a modo suo leghista anche il sindacalista che vota Rifondazione, quando si batte contro il trasferimento di un impianto al Sud. Parlo di virus perché un dubbio secondo me Pagliarini riesce a seminarlo perfino tra i pidiessini di Modena quando recita davanti a loro il rosario del buon senso egoista: «Conviene a tutta l'Italia che entrino subito in Europa le sue regioni più ricche. Così mettiamo un piede di traverso alla porta anche per il Sud, e non perdiamo tutti l'autobus». Lo fischiano, ma gli danno anche un po' retta. Il virus della disgregazione attraversa la nostra epoca, ne avverti la forza di penetrazione fatta di metafore semplici e all'apparenza antiche, popolari. Anche Biza, che dovrebbe occuparsi solo dei manifesti, dei pullman, delle urne e insomma dell'apparato organizzativo della tre giorni lungo il Po, in realtà si rivolge a te come al figliuol prodigo e alla solita domanda ma ci credi davvero? - reagisce con una favola: «Tu, semplice cittadino, cosa rispondi a chi ti propone di attraversare l'Atlantico su una scialuppa? Ovviamente dici di no. Ma se il transatlantico su cui viaggi sta affondando, allora il discorso cambia». «Ecco - mi sorride benevolo e paziente l'ottimo Biza - scherzate pure sui nostri Cip e sul no¬ stro prossimo governo provvisorio. Anche noi scherziamo, guai a chi si prende troppo sul serio. Ma sappiate che questi' sono meccanismi tesi a tranquillizzare l'opinione pubblica, perché quando l'Italia si affloscerà come un pallone aerostatico, allora la Lega avrà già pianificato il trapasso predisponendo le nuove istituzioni». Grazie, Biza. Lui da tre anni ha preso il posto dell'infelice Alessandro Patelli inciampato nella mazzetta Montedison. Ex pilota, ogni mattina si sciroppa in un'ora col Bmw K 100 l'autostrada tra Lonato, paese bresciano di cui è vicesindaco, e la sede milanese. Meglio non indagare sulla velocità media neces saria. Adesso sta predisponendo i collegamenti costati 50 milioni alla Telecom («prossima Telecompadania») per trasmettere in «Padaniavisione», cioè lungo tutto il tragitto del Po, il fatidico discorso veneziano di Bossi, lì giunto infine con l'acqua sacra del Monviso. Insieme alle medaglie celebrative e alle magliette aspetta finalmente di vedere i «certificati del fiocco rosa». Li chiama «gadget polifunzionali», sono gli ultimi prodotti del marketing applicato alla politica: in questa orgia del reale mescolato al surreale poco importa se nel rogo simbolico arderanno autentici libretti del canone Rai oppure i provvidenziali fac-simile («in ogni caso non è reato bruciarli perché sono semplici vaglia», rassicura i padani più codardi). Dei «certificati del fiocco rosa» che domenica arriveranno sulle rive del Po, vai proprio la pena di prendere nota perché ne sentiremo parlare parecchio: «Li venderemo a mille lire e si compongono di madre e figlia. Su entrambe vanno scritte le generalità, poi la figlia verrà deposta nell'urna». E la madre? «Resterà al sottoscrittore, investendolo della storica funzione di fondatore della Padania». Incidentalmente, il simpatizzante secessionista voterà così anche il suo governo provvisorio. I candidati (lista unica, senza concorrenza, mica il Nord ha tempo da perdere con la democrazia! saranno scritti su un foglietto appiccicato su ciascuna urna. I ministri non saranno più di tre o al massimo cinque, vista l'eccezionalità del momento. La somiglianza con le elezioni sovietiche d'altri tempi è assicurata. Roberto Biza, che per lavorare in via Bellerio si è licenziato da assistente del primo notaio di Bergamo («E' lì che ho scritto l'atto costitutivo della Lega»!, racchiude nella sua figura spilungona e baffuta la quintessenza dello spirito leghista: cioè una continua altalena tra arcaismo e tecnologia. Comincia a raccontarti del suo allevamento di pastori bergamaschi a pelo lungo, «i cani più belli del mondo, capaci di condurre in quattro una mandria di seicento capi, non a caso il bergamino e l'unico mandriano transumante d'Italia, altro che i pecorari di D'Annunzio». Gli s'illuminano gli occhi: «Il fatto è che tutta la Bergamasca è una nicchia ecologica perche i barbari son venuti giù dalla Valtellina ma hanno lasciato vergini le nostre valli. E' la tradizionale autonomia dello gemi bergamasche che dà alla Lega la sua roccaforte. Me lo ricordo da bambino come era proprio genetico il sentimento di repulsione nei confronti del meridionale impiegato nell'ufficio pubblico. Quando è arrivata la Lega, quel sentimento ha ricevuto nome e cognome». Poi di colpo Biza l'arcaico s'interrompe e cede il posto a Biza il tecnologico: «Voglio proprio accompagnarla a visitare il mio gioiellino. Mi costa una fortuna, ma sapesse quanto rende». Ed eccoci nell'ufficio analisi statistiche dove due neolaureati allievi di Stefano Draghi («un mago, anche se è rosso») sperimentano il superamento dei sondaggi tradizionali: «Ora usiamo le reti neurali che servono a studiare i fenomeni non lineari, il caos deterministico». Alla sera ogni tanto prendono cinquanta volontari e li mettono a interpellare al telefono un campione rigorosamente padano di quindicimila persone. Ma ora basta, Biza torna ai suoi pastori bergamaschi: «Lo sa che l'Enei li pubblicizza apposta col pelo lungo che striscia e puzza, intriso di pipì? Non c'è niente da fare, a Roma sono razzisti, descrivono i cani proprio come vedono noi uomini bergamaschi». Anche per loro, domenica, lo vedremo sul Po. Gad Lerner L'ex ministro Pagliarini «La storia è dalla nostra parte Roma è anni luce dietro a noi» Già pronti i certificati del fiocco rosa per eleggere i nuovi «ministri» lumbard Superati i sondaggi tradizionali «Qui usiamo le reti neurali le più adatte per studiare il caos» Biza, la macchina del 15 settembre «Sentirete il senatur in Padaniavisione. «I romani? Sono razzisti persino con i miei cani» Roma è anni luce dietro a noi» i nuovi «ministri» lumbard le più adatte per studiare il caos» cchina embre l senatur visione. ti ani» stro prossimorio. Anche noichi si prendeMa sappiate meccanismi tre l'opinionequando l'Italme un pallonela Lega avrà gpasso predispistituzioni». Gtre anni ha prfelice Alessanpato nella mazEx pilota, ognpa in un'ora cotostrada tra Lsciano di cui sede milanesegare sulla velo Roberto Biza responsabile organizzativo della Lega A lato: il pastore bergamasco di Biza e Giancarlo Pagliarini