Il giornalista «Dal Male a Altan,Serra e Feltri gli eredi che avrebbero amato» di Filippo Ceccarelli

Il giornalista Il giornalista Dal «Male» a Mtan, Serra e Feltri gli «eredi» che avrebbe amato ~rw\\IPICA e preziosa citazioFll ne da Longanesi: «Eppure, è sempre vero anche il I contrario»... * I Con questa premessa a suo modo rassicurante, con questo sgravio pregiudiziale di responsabilità, ecco, in titubante umiltà forse si può anche procedere al giochetto del «chi assomiglia oggi a Longanesi». Che poi, in qualche modo, è il giochetto dell'eredità; del dove, con il consueto azzardo, si può recuperare qualcosa del suo divino scetticismo, dell'elegantissima perfezione estetica, della crudeltà anticonformista, del paradosso lampeggiante. Giochetto tanto corrivo quanto forzato, almeno in apparenza. Poiché nessuno, è chiaro, assomiglia a Leo Longanesi. E non solo o non tanto per il fatto che ci sono quarant'anni di mezzo, ma perché seguita ad essere impossibile anche solo confrontarsi con un giornalista che è stato direttore, editore, inventore e divulgatore, e quindi scrittore, poeta, pittore, incisore, caricaturista e, soprattutto, maestro. «Uno dei pochissimi uomini al mondo - ha scritto Indro Montanelli - che non abbia dovuto aspettare i figli dei suoi coetanei per farsene dei discepoli». Dell'«irripetibile lezione» di Longanesi alla sua stessa generazione si sa quasi tutto. Basta scorrere la lista dei collaboratori di Omnibus (Arrigo Benedetti, Pannunzio, Vittorini, Monelli, Soldati, Landolfi, Moravia, Malaparte, Brancati, Missiroli, Alleata, Giaime Pintor, Gorresio, Stille, Novello, Maccari) per comprendere all'istante che da lui, almeno in via teorica, partono mille rivoli letterari e giornalistici, a destra, a sinistra, al centro, sopra, sotto... Sì: ma oggi? Beh, se si considera - sempre con l'aiuto di Montanelli - che il Maestro era in lotta perenne con il banale, che detestava ogni forma di ripetizione, che amava il superfluo, che era allusivo, induttivo, geniale e così stupendamente artigianale da sacrificare giornate «appresso a un fregio», va detto che l'informazione, nel suo complesso, si è mirabilmente sagomata non su, ma contro Longanesi, rovesciandone con precisione il mandato. Molto meno sconfortante, a questo punto, è chiedersi quale giornalismo, quali giornalisti gli sarebbero piaciuti, di oggi. E magari, ritornando al giochetto dei fratelli, dei figli', dei nipoti e dei pronipoti, ormai, di Longanesi, si potrebbe azzardare pure qualche risposta. Così, con la dovuta soggezione, è possibile che avrebbe apprezzato i più vorticosi falsi del Male e la politica estera come la vedeva il primo Forattini, il flagello del Saviane dei «mezzibusti» e i raffinati, teneri, feroci epigrammi di Gaio Fratini. Forse anche le imitazioni-parodie di Michele Serra, chissà, certe invettive di Feltri, certe intemerate di Massimo Fini, certe sciabolate di Curzio Maltese. E forse non sarebbe rimasto indifferente, questo immaginario Longanesi, di fronte alla sobrietà impietosa del Foglio, alle modelle «siderali» di Vogue, alla passione in bianco e nero delì'Italia di Pietrangelo Buttafuoco, alle didascalie leggere e crudeli di Maria Laura Rodotà sull'Espresso, alle battute secche di Altan, forse il più longanesiano di tutti («Mi vengono in testa pensieri che non condivido»). Forse. Può essere. Chissà. «Eppure - diceva d'altra parte il Maestro - è sempre vero anche il contrario». Filippo Ceccarelli