L'editore «Inventò rotocalco e pubblicità e per distrarsi girò un film» di Marco Vallora

L'editore L'editore Inventò rotocalco e pubblicità e per distrarsi girò un film EMILANO I può essere più geniali e insieme visionari? «Ieri, per strada, mentre parlavo con T. udivo, nelle pause del discorso, il tic-tac della sua ipocrisia». Oppure: «Non affitterei mai una stanza che avesse una finestra su un paesaggio di Carrà». Che è un fulmineo saggio concentrato di fisiologia dell'arte. E ancora: «Non gli usciva dalla testa che una fitta forfora di aggettivi». Quando parla, meglio, sibila le sue perfide genialità, Longanesi è sempre già visivo, pittore. E forse quando è pittore non fa vivere, respirare senza la cometa caustica e velenosa di una battuta da caffè. Questo stordisce e sorprende, ogni volta, nella sulfurea e bellicosa intelligenza aforismatica del più vulcanico e versatile dei due «Nani di Strapaese», come un po' risentito, il bellimbusto Malaparte aveva definito l'inseparabile coppia di «gemelli siamesi» de L'Italiano e del Selvaggio: Longanesi e Maccari. La curiosità di capire come tanta intelligenza raffina¬ ta e tagliente e non soltanto tipografica, fosse poi messa a partito di cause sostanzialmente grevi e volutamente perdute: una flebile ma anche rabbiosa fronda durante il fascismo (che fa chiudere Omnibus che offese l'Italia con un articolo di Savinio sulla cacarella che avrebbe ucciso Leopardi, ghiotto di gelati) e un provocatorio post-fascismo-nostalgia rancoroso e ribelle, durante la dittatura democristiana. Un'intelligenza melanconica e risentita, in senso nicciano, che si lascia nutrire, dirigere e forse anche fregare dal malumore, dall'accidia di amare e difendere un Paese sbagliato: quasi una moglie. «Le nostre esperienze ci seguono, le nostre antipatie ci precedono». Come osservò Montale: «La sua arte è fatta più di risentimenti che di sentimenti». Arte che ama gelosamente l'invettiva e l'opera interrotta. Per questo la volontà di capire meglio un simile prototipo d'Italiano sghembo, imprendibile: questo talento pressoché unico e artigianale, che tutto anticipò e insieme sgonfiò, per sublime arte d'understatement. Che partito dalla forfora e dai vecchiumi provocatori di Strapaese, giunse tra i primi ad annoverare Munch e Joyce, Ensor e Faulkner e Isherwood tra i suoi coadiutori. Perché arte e letteratura, immagine e grafica, erano un unico abito per lui (scrisse un romanzo di sole immagini fulminanti, Una Vita, annoiandolo il lavoro da ragioniere di raccontare i nessi narrativi). Nitore e rapidità: vedeva ogni cosa già abbigliata, tipograficamente. Inventò testate, lanciò il rotocalco, sperimentò libri e collane, creò davvero la pubblicità moderna, con slogan e shock visivi. La mostra di Palazzo Reale cercherà di mimare questo percorso vulnerabile e nervoso, con libri, olii, disegni, giochi tipografici e documenti imprevedibili. Anche se si basa sull'ammirevole lavoro di ricerca di Giuseppe Appella, già documentato altrove, questa voluminosa retrospettiva, grazie alla collaborazione degli eredi, promette molti inediti: il film che girò con Gino Cervi, aiuto Mario Soldati, 10 minuti di vita, più un dettagliatissimo e zavattiniano story board schizzato e le sconosciute fotografie, documento di un suo gusto sentimentale e sorprendente di autarchico Bauhaus della stravaganza, di folletto del Bastian Contrario. Marco Vallora

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