Decine di migliaia di civili e miliziani in fuga verso l'Iran dietro allo sconfìtto Talabani I curdi di Saddam prendono Sulaimaniya
Decine di migliaia di civili e miliziani in fuga verso l'Iran dietro allo sconfìtto Talabani Decine di migliaia di civili e miliziani in fuga verso l'Iran dietro allo sconfìtto Talabani I curdi di Saddam prendono Sulaimaniya Clinton: è una lotta interna, non possiamo farci niente WASHINGTON. Duemila uomini del Partito democratico del Kurdistan (pdk) hanno conquistato ieri la città di Sulaimaniya, ultima roccaforte della Unione patriottica del Kurdistan (puk) di Jalal Talabani. Talabani è fuggito in Iran. In direzione del confine iraniano sono dirette anche decine di migliaia di abitanti di Sulaimaniya che temono l'arrivo degli iracheni. Il comandante Azurlar Fieko, capo del contingente che ha conquistato la città, ha detto che mille uomini del Puk hanno consegnato le armi. Non ci sarebbero state vittime e il pdk sarebbe entrato in città con le sue sole forze, senza aiuti iracheni. Invece gli uomini di Talabani sostengono che l'armata di Saddam ha appoggiato il pdk con carri armati. La presenza dei mezzi corazzati di Baghdad nella zona (ufficialmente, dovrebbero essere stati tutti ritirati) era segnalata nei giorni scorsi da fonti del puk e indipendenti ma smentita dall'Onu. Il comandante e membro dell'ufficio politico del puk, Sadi Ahmed Perii, che aveva partecipato alla difesa di Koya, caduta l'altro ieri, ha dichiarato di essersi ritirato «davanti ai tank della Guardia repubblicana di Saddam. Per oggi è atteso a Sulaimaniya il leader del pdk, Massud Barzani, con il grosso delle truppe dalla città di Dokan. «Garantiamo la sicurezza della popolazione civile e dei membri del puk che hanno consegnato le armi» ha detto Fieko. Il comando del pdk ha diffuso una dichiarazione via radio per rassicurare la popolazione, lanciando lo slogan «pace nel Kurdistan, Kurdistan unito». Nonostante l'evoluzione sfavorevole della crisi, gli Stati Uniti sono decisi a rimanere fuori dal Kurdistan. «Abbiamo fatto - ha detto il presidente Clinton - quello che potevamo per i curdi. Essi stessi rendono difficile aiutarli quando combattono tra loro. Vorremmo fare di più ma francamente i loro capi dovrebbero tornare al tavolo della pace». Ma le notizie dall'Iraq sono sempre più imbarazzanti per il governo americano. Nel fine settimana fonti governative hanno confermato le rivelazioni del New York Times: la grande retata delle truppe di Saddam a Irbil ha stroncato sul nascere una operazione della Cia fra i curdi volta a rovesciare il Raiss. Ieri un inviato del Washington Post nel Kurdistan ha raccontato che 200 combattenti curdi, che erano stati reclutati dalla Cia a Irbil, hanno trovato rifugio nel villaggio di Salahud- din sulle montagne ma non possono tornare alle loro case dove verrebbero massacrati dagli alleati del regime. Su questo punto Clinton ha detto solo che gli Usa fanno sempre il possibile per aiutare i propri collaboratori a mettersi in salvo. Secondo il Washington Post un centinaio di uomini della stessa milizia sono stati arrestati dalla polizia segreta irachena a Irbil e probabilmente passati per le armi. Di fronte a questi avvenimenti i consiglieri, di Clinton fanno una netta distinzione fra le ragioni umanitarie per cui la popolazione del Kurdistan chiede aiuto e i vitali interessi strategici ed economici che legano gli Usa ai produttori di petrolio come Kuwait e Arabia Saudita. Il capo di gabinetto della Casa Bianca Leon Panetta ha spiegato che si baderà soprattutto alla loro difesa. D'altra parte, «se Saddam Hussein fa giochi sporchi al Nord sa che pagherà ogni volta un prezzo molto salato». In altre parole, se vi fossero in Kurdistan movimenti di truppe tali da esigere una risposta, gli americani rafforzerebbero il loro controllo sul Sud e colpirebbero con altri missili le installazioni militari ancora efficienti nei pressi di Baghdad. [Ansa] Gli Usa: rischiano la vita duecento assoldati dalla Cia Forse cento di loro sono già stati passati per le armi Miliziani curdi di Talabani in fuga da Sulaimaniya verso l'Iran Sotto, la portaerei americana Vinson nel Golfo Persico [foto reuter-ansa)
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