La Mostra chiude con una grande festa, sepolte le polemiche Venezia e Gillo balla il rock di Simonetta Robiony

La Mostra chiude con una grande festa, sepolte le polemiche La Mostra chiude con una grande festa, sepolte le polemiche Venezia, e Gillo balla il rock Quattordici registi per «Esercizi di stile» VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO E' finita con una festa da ballo la Mostra del cinema di Venezia: gran cena nel chiostro di San Nicolò al Lido, un convento benedettino con quattro frati superstiti che si finanziano affittando la loro elegante dimora, e musica fino all'alba, con una orchestrina fracassona che imita i Blues Brothers e mette allegria. Gillo Pontecorvo, impavido sulla pista, segue la musica agitando le gambe ma non osa ballare: il rock non è il suo genere, come Fred Astaire preferisce il tip-tap. Le polemiche per i premi sono spazzate via. Non si parla più della bambina di «Ponette» incoronata migliore attrice all'età di quattro anni, né delle tre Oselle al messicano «Profondo carmesi» che se piaceva tanto alla giuria poteva pure averlo lui il Leone, e neppure di «The funeral» (Fratelli» di Abel Ferrara, molto amato dal popolo del Lido e nient'affatto dai giurati. Segno che oggi tutto va veloce e i premi vengono cancellati nello spazio di un'ora, così come sono già dimenticate Valeria Marini e la sua anguilla, «Pianese Nunzio» e il prete innamorato del ragazzino, Tapie che Lelouch ha voluto trasformare in divo? Cala il sipario sui film ma la Mostra del cinema di Venezia è anche la folla che s'accalca a sentir musica in piazza, è la rissa che scoppia quotidianamente davanti alle sale dove non c'è posto per entrare, è la truppa di piccoli fans che sosta di fronte all'Excelsior nella speranza di veder passare il divo del cuore, strappare una maglietta col nome del filili stampata sopra, ottenere un con autografo che passa di mano in mano. E certamente questa Mostra del cinema di Venezia è stata anche la mostra dei «corti», filmini da cinque a venti minuti l'uno, rilanciati in Italia dalla crisi economica come palestra per nuovi registi, consacrati da Nanni Moretti che ha dedicato loro il suo Sacher festival, celebrati da rassegne e manifestazioni fiorite ovunque. Perfino la Rai, solitamente tardiva ad afferrare l'aria che tira, quest'anno ne ha portati dieci a sua firma, realizzati col Centro di cinematografia e con l'Italian internationalfilm, e addirittura l'ultima pellicola italiana ad esser presentato al Lido è stata proprio «Esercizi di stile» da una idea di Queneau, collage di quattordici episodi affidati ad altrettanti registi della vecchia e nuova guardia che si sono esercitati a ripassare i generi più in voga usando sempre la stessa coppia di attori: Elena Sofia Ricci e Massimo Wertmùller. Quattordici piccoli film (5 minuti ciascuno) per 14 modi di dirsi addio secondo gli esordienti Volfango De Biasi, Maurizio dell'Orso, Alex Infascelli, Lorenzo Mieli e Alessandro Piva; gli affermati Sergio Cittì, Claudio Fragasso, Francesco Laudadio, Neri Parenti, Pino Quartullo e Cinzia Tonini; e i maestri Gigi Magni, Mario Monicelli e Dino Risi. E se l'esperimento dovesse andar bene in sala, ci sarà anche un «Esercizi di stile 2» con i Maciste, i vampiri, la farsa, e tutto quello che in questo primo atto non è riuscito a starci. Premi ai corti, dunque. L'Aiace, benemerita organizzazione culturale, s'è occupata dei corti italiani, premiando con 12 milioni «Il fratello minore» di Stefano Gigli, non foss'altro che perché è uno sfottò di Nanni Moretti eseguito da Andrea Golino, cugino della più nota Valeria. Gabriele Salvatores, invece, nominato presidente della giuria che assegna il Leoncino e i diecimila dollari di Telepiù, s'è occupato dei corti della Finestra sulle immagini, italiani, ma soprattutto stranieri, premiando «0 tamaiti-Bambini» di Sima Urale, una ragazza neozelandese delle isole Samoa, quelle del sapone che fa la pelle morbida morbida, arrivata al Lido, come da dépliant di viaggio, con lunghi capelli neri sciolti sulle spalle. Prima esperienza in giuria, e perciò primo festival visto da dietro per Gabriele Salvatores, che pur avendo vinto l'Oscar, a Venezia c'era venuto una volta sola con il suo primo film da Shakespeare «Sogno di una notte di mezza estate». Alle prese con il montaggio di «Nirvana», il suo film più costoso e più difficile, la testa a un futuro prossimo in cui tornerà a storie con due o tre personaggi, Salvatores spiega, con l'abituale tono sommesso l'essenza del corto, che non è un film riassunto come fosse un Bignami di storia o un estratto del Reader's digest, ma un'opera concepita alla nascita per avere quella determinata forma. «Io non lo saprei fare confessa - perché per dire quello che ho in testa ho bisogno delle due ore di un film. Il corto è una poesia, il film un romanzo». Simonetta Robiony

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