La strada delle donne coraggio

La strada delle donne coraggio Cinque storie al femminile per scoprire che in Sicilia non ci sono solo «tipe vestite di nero e con i baffi» La strada delle donne coraggio Da Agrigento a Palermo, contro la mafia e Bossi PALERMO DAL NOSTRO INVIATO C'è questa donna in un negozio di alimentari a Cammarata, a metà strada fra Agrigento e Palermo. Lei fa la spesa e combatte. Tutte e duo le cose insieme. Dice che si può fare, che una donna usa i mezzi che ha, ma poi, alla fine, sono quelli con cui si vince: «Abbiamo combattuto i maschi, i mafiosi, adesso ci pensiamo noi a mettere in ginocchio Bossi». Scaffale dopo scaffale. Il primo colpo è un cartone di latte. C'è quello del Nord, lo Sterilgarda, che costa ogni settimana di meno, adesso è arrivato a 1100 lire al litro. La donna mette nel cesto il latte Trinacria, che ne costa 1400, ma è prodotto nell'isola: «Così il loro glielo rimandiamo in Val Padana acido». Sullo scaffale del caffè non ha esitazioni, niente Lavazza, vada per il Morettino, anche se costa quasi il doppio. L'unico dubbio le viene davanti a una piramidina di parmigiano-reggiano. Quello, in Sicilia, proprio non riescono a farlo: «E pazienza, ne faremo a meno. Poi voglio vedere se fra qualche mese i produttori del Nord avranno ancora voglia di stare a sentire quelli che parlano di secessione. Che glieli svuotino loro, i magazzini». Paga, soddisfatta, e torna casa. L'idea del boicottaggio è partita da Agrigento e si diffonde con il passaparola delle donne. Su, su, a Castronuovo, Lercara Friddi, Vicari. No allo Sterilgarda, bevete Trinacria. «Servirà dice Sara Favarò -. Tutti i gesti delle donne siciliane sono serviti a cambiare le storie, quelli grandi come quelli piccoli». Lei scrive poesie e canzoni, fa ricerche storiche sul suo paese, Vicari: tremila abitanti, un castello, quattro imputati nel maxi-ter. Ha ricostruito la storia che cambiava attraverso i gesti delle donne, come quelle che, nel primo dopoguerra, si sono date fuoco piuttosto che accettare il matrimonio combinato e hanno conquistato il diritto di scelta. Oggi c'è un matrimonio nella chiesa di San Vito. Ieri la sposa ha esposto in tutta la casa i doni ricevuti. Gran parte sono stati scelti nel negozio di via Diaz. Il proprietario ha fatto venire servizi per la casa in palladio e li ha venduti tutti: «Quando il rappresentante me li ha proposti manco sapevo cosa fosse, il palladio. Invece aveva ragione: le mie clienti lo conoscevano eccome: dai servizi illustrati di Donna moderna sulla casa ideale». Quella a cui si è ispirata la sposa di oggi per andarci a vivere, dopo l'interminabile banchetto all'Oasi di Borgo Manganare «Le donne di Vicari - dice Sara Favarò - vogliono essere donne moderne non solo perché copiano la rivista. Ci provano. Ci proviamo. Io mi sono sposata che ero una ragazzina, dopo sei anni mi sono separata. Mi guardavano come una che si fosse presa chissà quale malattia. Poi mi sono messa con un ragazzo più giovane di me di otto anni, l'ho sposato e ci ho fatto una seconda figlia. Ho fatto del bene al mio paese, perché hanno sempre avuto qualcosa di cui parlare anche quando non c'era Beautiful. Ma a forza di parlarne hanno capito <nhe le scelte di vita non sono m.i Httie. Dieci anni fa sul palco di Racalmuto cantai la «canzone della donna separata». Vidi che le donne presenti applaudivano, ma muovendo appena la punta delle dita, senza fare rumore, co- municandomi: capiamo, ma non possiamo dirlo. Adesso, invece, lo fanno apertamente. Da madre a figlia non è passata una sola generazione, è come fossero state tre. Mia figlia maggiore lavora a Parigi, fa "miss New York" a Eurodisney, è stata anche in America, eppure vuole tornare in Sicilia, perché tutte siamo stanche di andarcene e quello che sappiamo fare vogliamo farlo qui». Una che ci ha provato è Ina Soldato, che ha 73 anni e guida la Uno. E' stata la prima donna sindaco della Sicilia, dieci anni, dal 1970 al 1980 e ancora adesso siede in Consiglio comunale: «Ma adesso con la Rete. Da sindaco ero democristiana, poi mi fecero fuori perché non volevo stare con Lima. Chi se lo poteva immaginare, però, che facessero tutte quelle cose brutte, dietro lo scudo crociato? Dice che qualcuno se lo immaginava? Ali, io no di certo. Io facevo il mio dovere per la gente di questo paese, mi alleavo con chi voleva il bene del paese senza guardare al colore politico e seguivo il consiglio del mio padre spirituale, don Antonino: chiunque dei tuoi concittadini venga in municipio, devi riceverlo come se fosse il Presi¬ dente della Repubblica. Ho sbagliato? Io spero di no. Le mie soddisfazioni le ho avute. Ho fatto aprire una fabbrica violando la legge, ma ho evitato l'emigrazione a quaranta famiglie. Un giorno ho incontrato per strada Vincenzo Marsala, il pentito che ha accusato i suoi familiari al maxi ter e gli ho detto: bravo Vincenzo. E lui: lei è stata la mia insegnante a scuola, non potevo dimenticare la lezione in eterno. Se ho insegnato qualcosa di buono, non ho vissuto invano». Lo pensa anche la maestra Cangialosi, che insegna a pochi chilometri di distanza, nel paese di Lercara Friddi, di cui è anche vicesindaco, in una giunta com¬ missariata per una faida politica tra nuovo che prova di avanzare e vecchio che non vuol saperne di arretrare. Non arretra neanche lei, nonostante il telefono le squilli di notte e una voce continui a dirle: «Morirai nel sangue». «Devono pensare che una vedova sia facile da spaventare. Una telefonata di minacce nella casa buia e vuota e il gioco è fatto. Sono rimasti davvero indietro. Io, invece, vado avanti. Voglio fare qualcosa per questo paese e insegnare alla gente i valori, a cominciare dalla solidarietà, che non è molto diffusa: abbiamo proposto di ospitare bambini di Cernobil e ricevuto appena otto adesioni. Ma le cose cambieranno. L'altro giorno la madre di un'alunna, una donna senza studi, mi ha detto: ogni volta che mia figlia impara una parola nuova è come se conquistasse un mondo. Ora la ragazzina sta studiando il francese e la madre è orgogliosa. Io credo che la fine dell'ignoranza segnerà anche la line della diffidenza, dell'omertà e dei mali che ci hanno afflitto». «Ecco, ci sono donne cosi, in Sicilia - dice Sara Favarò - non solo tipe vestite di nero e con i baffi». Per dimostrarlo sta scrivendo un libro intitolato «Il coraggio delle donne», raccogliendo in un album le immagini delle donne che ha conosciuto. Come quella di Rosalia, che ha ottant'anni, vive a Sferracavallo, vicino a Palermo e ha le ossa macerate perché, racconta: «Ho passato una vita nel bagnato». Una vita a fare le scope, intrecciando i fili di palma, otto alla volta, dopo averli bagnati per ammorbidirli. E a confezionare i pacchetti di «azzolu», quella magica polverina blu che finisce nei detersivi e nella calce per far splendere il bianco delle camicie e delle pareti. In piedi alle quattro, mezza giornata a confezionare «azzolu», l'altra mezza a fare scope, poi di nuovo le mani nell'acqua per fare il bucato del marito e degli otto figli, «che sarebbero stati anche di più, se ogni tanto non fosse venuta la mammana per alleggerirmi». E adesso, ore dal fisioterapista, per cercare di coprire i dolori che sono Fumea eredità di una «vita nel bagnato». O come la storia di Maria Grazia, quartiere Zen di Palermo, quella che, tra tutte, c'è andata più vicina a fare la rivoluzione, prima di tornare in Sicilia a combattere la guerra per la sopravvivenza. Perché un giorno lontano partì e andò in Argentina, per raggiungere il suo uomo, combattente sudamericano, portando in grembo la loro bambina. Arrivò tardi: lui era morto in ospedale. Rifiutò di vederne il corpo: voleva ricordarlo vivo. La barella le sfilò davanti, lui coperto da un telo e un cappuccio. Fu condotto in una stanza e lei, girandosi, vide una luce provenire da lì. Pensò che fosse un richiamo e lo seguì, annullando la sua volontà. Andò e fu di nuovo sola con lui. Chiese al silenzio cosa volesse e una voce che era già ricordo rispose: un ultimo abbraccio. Si fece l'orza, sollevò il cappuccio e infilò, ancora una volta le dita tra i capelli di lui. Le sentì avanzare, entrare nella testa, perdersi nella paglia che la riempiva. Solo allora vide i tagli e capì che l'avevano svuotato di tutti gli organi e impagliato. Corse via, andò a casa di lui. Sulla scrivania trovò una poesia che le aveva dedicato. Un verso diceva: «Se muoio vorrei non morissero i miei occhi per vederla arrivare». In quel momento si accorse che non sapeva dire (e mai avrebbe saputo), se li aveva ancora, gli occhi, quell'uomo per cui avrebbe lasciato la Sicilia. Non lo sa neppure adesso, che vive a Palermo e continua a combattere insieme con le sue tre figlie. Ero partito da Agrigento. Sono arrivato a Palermo e mi accorgo che ho incontrato soltanto donne e raccontato soltanto le loro storie. D'altronde, a Vicari gli uomini se ne stavano seduti davanti al circolo «Buoni amici», sulla piazza del paese, parlando del tempo, mentre Ina Soldato, che ha la stessa loro età, arrivava sulla sua Uno, parcheggiava e andava in Comune a discutere della costruzione di una nuova struttura per anziani e di un ritrovo per i giovani. A Lercara Friddi giocavano a carte, mentre la maestra Cangialosi si disperava per ridisognare la pianta organica di un'amministrazione comunale figlia dei favori concessi ai vecchi potenti. Poi, a Palermo, ho letto il diario della vita di Francesco Favarò, nonno di Sara. Cominciava: «Io Favarò Francesco fatto Guardia Campestre al 1893, primo gennaio. Io Favarò Francesco fu Ant. mi sposari con Bongiorno Antonina fu Giuseppe il 30 gennaio 1882». Seguivano note sulla Storia («Giorno 29 luglio «900 a due ore e mezza di notte successe a Monza poco vicino di Roma l'omicidio di S.M. il Re Umberto I Re d'Italia») e la storia («Giorno 15 gennaio 1908 piantato boschetto n. 330 pini»). Le ultime due righe: «Stetti maritato con mia moglie Bongiorno Antonina 42 anni 3 mesi e 7 giorni». Poi lei non c'era più e lui ne dedusse che la storia era finita e non c'era più bisogno di scriverla. Gabriele Romagnoli CAMMARATA «Boicottiamo i prodotti delle aziende del Nord così diamo una lezione a chi vuole la secessione» LERCARA FRIDDI «Io, vicesindaco e vedova voglio insegnare i valori alla mia gente. Usano la paura come freno: illusi» VICARI Ines, sindaco e maestra: tra i pentiti c'è un mio ex allievo, quando l'ho visto gli ho detto bravo SFERRACAVALLO Rosalia ha ottantanni e una vita passata «nel bagnato a fare scope e preparare detersivi» VIAGGIO IN SICILIA 2. mio padre spirituale, don Antonino: chiunque dei tuoi concittadini venga in municipio, devi riceverlo come se fosse il Presi¬ Cangialosi, che insegna a pochi chilometri di distanza, nel paese di Lercara Friddi, di cui è anche vicesindaco, in una giunta com¬ non è molto diffusa: abbiamo proposto di ospitare bambini di Cernobil e ricevuto appena otto adesioni. Ma le cose cambieranno. L'altro giorno la madre di un'alunna, una donna senza studi, mi ha detto: ogni volta che mia figlia impara una parola nuova è come se conquistasse un mondo. Ora la ragazzina sta studiando il francese e la madre è orgogliosa. Io credo che la fine Una vita a fare le scope, intrecciando i fili di palma, otto alla volta, dopo averli bagnati per ammorbidirli. E a confezionare i pacchetti di «azzolu», quella magica polverina blu che finisce nei detersivi e nella calce per far splendere il bianco delle camicie e delle pareti. In piedi alle quattro, mezza giornata a confezionare «azzolu», l'altra mezza a fare scope, poi di nuovo le maniRitratti di vita siciliana IFOTO MELO MINELLA PAI ERMO 19861 Ritratti di vita siciliana IFOTO MELO MINELLA PAI ERMO 19861