Fra i curdi di Saddam «Alleati? Ecco perché»

Parla il fratello del leader Barzani «Dopotutto il Raiss è iracheno. Invece Talabani si è venduto all'Iran» Fra i curdi di Saddam «Alleati? Ecco perché» SULLE ORME DELL'ARMATA IRACHENA SALAHEPDIN (Kurdistan) DAL NOSTRO INVIATO In fondo a un giardinetto di zinnie e margherite sfiorite, passato un praticello dove bivaccano alcuni peshmerga, si arriva a una casetta gialla che ospita l'Ufficio relazioni esterne di Massoud Barzani e del suo Partito democratico curdo (Pdk). In questi giorni l'ufficio - sala d'aspetto, saloncino e toilette turca - è diventato un punto d'approdo per i giornalisti venuti a coprire gli avvenimenti in Kurdistan: arrivano stanchi e impolverati, riprendono fiato, chiedono le ultime notizie e poi ripartono verso qualche nuova località. E' una tappa obbligata: Salaheddin, una cittadina a 50 km a Nord Est di Arbil, è la «capitale» del territorio controllato dal clan di Barzani. Qui hanno sede il Politburo del partito e i vari ministeri. E da qui Barzani - un uomo sulla cinquantina, piccolo e paffuto, dagli occhi scuri e vispi - governa le province del Kurdistan dove sventola la bandiera gialla del Pdk (nelle zone controllate da Jalal Talabani sventola invece la bandiera verde dell'Unione patriottica curda o Puk). Noi siamo appunto in attesa di Barzani, che ha promesso per oggi una conferenza stampa. Ma di Barzani non c'è traccia (e le linee telefoniche sono interrotte). In compenso arriva un signore in abito tradizionale curdo che tutti trattano con deferenza e che ci viene presentato come uno dei sei fratelli di Barzani. Dice di non essere andato a lavorare perché ha un gran mal di pancia: deve aver mangiato qualcosa di avariato la sera prima (al che alcuni giornalisti, anche loro malmessi, gU esprimono la loro viva partecipazione). Si sistema nel saloncino per far due chiacchiere e dopo un po' la conversazione si sposta inevitabilmente sulla questione che viene discussa un po' dappertutto in Kurdistan dopo la presa di Irbil la settimana scorsa: e cioè se davvero sia valsa la pena allearsi con Saddam per cacciare i «fratelli-nemici» di Talabani. Il fratello di Barzani (che mette subito in guardia: «Niente nomi, niente virgolette») si lancia in una geremiade contro quelli del Puk, rei di essersi alleati con l'odiatissimo Iran degli ayatollah e di aver dunque costretto il Pdk ha chiede- re aiuto a Saddam Hussein. E poi Talabani, insiste il fratello di Barzani, è andato ad allearsi con un nemico straniero mentre noi e Saddam Hussein, in fondo, siamo tutti iracheni. Più va avanti e più i giornalisti lo guardano con aria perplessa. L'impressione di molti è che Barzani abbia scelto una rischiosa alleanza con Saddam pur di piantare altre bandierine gialle nello scac¬ chiere del Kurdistan. Ma il Pdk è davvero compatto su questa scelta? Spalancando la porta al «maceDaio di Baghdad» Barzani non mette a repentaglio la leadership storica del suo clan? Su questo punto Sami Abdul Rahman, membro del Politburo, vuole fare chiarezza: «La leadership dei Barzani non è in discussione. Questa è una famiglia che combatte per il Kurdistan da cent'anni. Fu il padre di Massoud Barzani, Mustafa, a fondare il Pdk. E il Pdk ha ormai radici così profonde in queste zone che non corre alcun pericolo di essere messo in discussione». Poi Rahman, che conosce bene l'Europa e anche l'Italia, conclude a sorpresa: «Il nostro Pdk è un po' come la vostra Democrazia cristiana. Prima del suo crollo, naturalmente, quando dominava la vita politica italiana». Nel saloncino il via vai continua. Alcuni giornalisti partono, altri arrivano. Portano notizie (poi smentite) di nuovi combattimenti tra i peshmerga del Pdk e Puk. Chiedono dov'è Barzani e alcuni funzionari assicurano che arriverà presto. Viene servito dell'altro tè nei tipici bicchierini di vetro e si riprende a chiacchierare. Tra le conseguenze torse più gravi, e comunque più immediate di quest'alleanza con Saddam, vi è quella di mandare all'aria il tessuto economico che stava prendendo piede in Kurdistan con l'aiuto delle organizzazioni umanitarie internazionali. La natura del Kurdistan è aspra e poco generosa. Viaggiando dalla frontiera turca giù verso Irbil abbiamo valicato montagne brulle e attraversato aride pianure allietate solo di rado da un ruscello, un filare di pioppi, qualche sbilenco girasole. Eppure, qua e là lungo la strada, sono visibili i segni di un'incipiente economia di piccole imprese: caseifici, oleifici, centri di apicoltura. Ognuno con la bandierina del Paese o dell'organizzazio¬ ne che ha finanziato il progetto. La crisi internazionale scoppiata dopo l'intervento iracheno a Irbil ha provocato la fuoriuscita temporanea di tutti gli operatori umanitari. Ma i nostri interlocutori non sembrano affatto preoccupati da quest'altra catastrofe: alleandosi con Saddam, il clan di Barzani ha deciso di tenersi un'economia di guerra, legata a doppio e triplo filo al traffico clandestino delle merci tra l'Iraq e la Turchia. Molti operatori umanitari, che in questi giorni bivaccano come profughi in Turchia, sono convinti che anche per questo motivo Barzani finirà per perdere consensi tra la popolazione. Queste previsioni vengono naturalmente liquidate dai nostri ospiti nella «giallissima» Salaheddin. Prima di congedarci (rinunciando definitivamente alla fantomatica conferenza stampa), ricordiamo a Rahman che anche la Democrazia cristiana sembrava eterna fino a poco tempo fa. Ma lui sorride e dice: «Il Pdk di Barzani non farà la fine della Democrazia cristiana». Andrea di Robilant Parla il fratello del leader Barzani «Dopotutto il Raiss è iracheno. Invece Talabani si è venduto all'Iran» Due bambine irachene in una via di Baghdad, un'immagine dell'attacco americano contro l'Iraq e il leader del partito curdo Pdk, Barzani