Un ponte tra due mondi troppo uguali

Aldo Busi: «Quando lo attraverso in auto, accelero e non guardo mai in basso: mi mette troppa malinconia Noi lo sfruttiamo, ma lui si vendica con i suoi veleni» Un ponte tra due mondi troppo uguali «L'errore di Bossi: il fiume non è più un simbolo» IL Po linea di demarcazione? E di che, buon frodatore fiscale di leghista che non sei altro anche tu come tutti gli altri che ci marciano? Se io, appena benestante con mezzo miliardo di fatturato tassato alla fonte, quindi senza alcuna entrata in nero, a parte i due cancelletti di casa mia, e solo poco più della metà in tasca mia, da cui devo però togliere la metà in spese non riconosciute ai fini della detrazione - sono il primo contribuente di Montichiari, la cui popolazione vota Lega Nord al 50%, e sono stato addirittura sui giornali cone dodicesimo contribuente dell'intera provincia di Brescia, da quante centinaia, per non dire migliaia, di miliardari reali collusi con le istituzioni (solo i più sfigati sono ormai collusi con la mafia, credetemi) anche leghisti, oltre che pidiessini alleanzisti ulivisti ecceteristi, sono accerchiato da mane a sera? E adesso questi qua si metterebbero in ostaggio anche il Po, oltre al sottoscritto, per fargli demarcare nolente, oleoso, puzzolente, una demagogica separazione geografica fra una popolazione di onesti, laboriosi italiani che la fanno franca e una di ladri da mandare nelle patrie galere? Ma se l'Italia tutta è già una galera patria, basterà una strisciolona di veleni industriali a dividere i muri dalle sbarre di questo tragico palcoscenico dove il senso dello spettacolo fa le veci della mancanza di senso dello Stato? «Domani sveglia alle quattro» mi diceva mio fratello Angioletto «che andiamo a funghi chiodini e poi, se c'è un'ansa in secca, io pesco», e la mattina, con la sua Gilera col portapacchi, si partiva per Suzzara, Ostiglia, Guastalla, Gualtieri, Benedetto Po, i cui prati erano ricchi di pioppi, di gelsi, di betulle. Bisognava arrivare prima degli altri cercatori. Spesso arrivavamo sulle rive del grande fiume nero che non c'era nemmeno l'alba e poi non dicevamo mai una parola per tutta la mattinata, ma io aspettavo il vero avvenimento che si verificava a stivamento compiuto di chiodini nel portapacchi, quando le acque erano un po' meno fredde: la pesca a mani nude di Angioletto. Invece con le mani dentro un sacco di juta, catturava le pantegane nella cucina della nostra osteria in affitto, L'Aquila d'Oro, e poi le strangolava fra pollice e indice davanti a noi bambini incantati da tanta precisione. Voleva fare l'esploratore in Amazzonia, intanto si allenava nell'acquaio. Andare a funghi mi piaceva, a tutte le età, c'erano dei paesaggi così lunari per me, casotti di cacciatori fra le frasche, qualche anatra in volo, e poi c'era sempre una gallina a passeggio per un viottolo vicino a una cascina, Angioletto metteva in folle, le faceva còcòcòcò piopiopio, la afferrava per il collo, glielo tirava seduta stante e via a tutta birra. Oltre ai chiodini per terra, puntavamo i nostri sguardi an¬ che in alto, fra le inforcature dei tronchi, dove i funghi più pregiati, cioè, più insipidi, erano larghi e a strati a ventaglio, chissà perché si chiamavano «vecchie», forse perché non ci badava nessuno e perché se non li facevi panati coll'uovo e il formaggio non sapevano di niente. E mi piaceva questo viaggetto annuale con questo gigantesco e angelico e manesco fratello anche perché lui aveva preparato dei panini speciali per fare merenda in baracche di legno e lamiera lungo gli argini dove, per risparmiare, ordinava solo da bere, per me una gazzosa, per sé una gazzosa e un bicchiere di vino bianco. I panini erano col salame nostrano e lo stracchino, tre per me, dieci per sé, mangiati in un silenzio rotto solo dai fischi di certi bastimenti che salivano dalle nebbie laggiù, mentre uomini col tabarro scendevano da bici e carretti e scomparivano fra le betulle per andare a fare niente o un sacco di erba spagna per i conigli. Una volta mio fratello si girò all'arrivo di uno spilungone dagli occhi schizzati in fuori che sembrava sputato fuori da un pollaio fatto di spini e mi disse, «Non guardarlo, è matto, coi pennelli fa le tigri sui quadri che sarei capace anch'io», io gli ubbidii, mi sembrava un vero miracolo arrivare al momento agognato della pesca senza prenderle anche in quell'occasione speciale. E poi lui bloccava la digestione spogliandosi in mutande e tuffandosi a capofitto. Gli piaceva molto farlo al Po di Gnocca. Ma il più delle volte si guadava un tratto e, arrivati su un isolotto o banco sabbioso, lui si immergeva piano dopo aver perlustrato bene il fondo, dove solo lui poteva vedere qualcosa, una presenza di preda fra i massi. Mi aveva messo in una mano l'orologio della sua cresima e sotto il braccio dell'altra i vestiti ancora sporchi di farina perché faceva il garzone del fornaio, e mi diceva, «Cronometra». Io guardavo le lancette dei minuti: un minuto, due minuti, una volta quasi mi metto a gridare, anche perché io non sapevo nuotare, e una volta, arrivato a tre minuti e ventiquattro che non riappariva più, mi sono messo a gridare aiuto, aiuto e uno stormo di contadine col fazzolettone rosso in testa si era alzato in volo fuori da un carro di stoppie. Lui scattava fuori dalle acque quasi fino a metà busto tanta era stata la compressione e mi bersagliava di pesci che buttava il più lontano possibile perché non ricadessero con una piroetta dentro il Po. Se trovava la postazione buona, fioccavano come coriandoli, mentre la biscia la teneva per ultima, quando usciva dal fiume e, facendo finta di niente, mi apriva la camiciola e me la metteva dentro da dietro il colletto per sentirmi urlare. Una volta siamo ritornati indietro con le camicie e le scarpe piene di pesce che non sapevamo più neanche dove metterlo e abbiamo trovato il portapacchi svuotato di tutto il raccolto di funghi. Me ne ha date tante, ma tante. Bastava un niente, non avere colpa era già abbastanza. Adesso il Po è solo il ponte che attraverso in auto o in treno per andare oltre, cioè dove già mi trovo, perché attraversandolo non penso mai che congiunga due rive opposte, perché non sono separate dall'acqua ma rese conterranee dall'asfalto o dai binari, non c'è davvero niente di opposto in queste due rive, altrimenti lo attraverso per ritornare a casa mia, che è un oltre anche lei rispetto a dove già sto pensando di andare da tutt'altra parte. Passandovi sopra, so di accelerare se sono in auto, perché mi mette malinconia, e non guardo mai giù, né oltre le transenne, però gli sono grato per tutta l'energia elettrica che ci dà a prezzo della sua stessa vita e ne capisco la sottile, mortale vendetta che compie allorché, usato come discarica chimica di questo sviluppo socio-economico-politico di cianfrusaglie, ci restituisce attraverso l'irrigazione tutti i veleni di cui l'uomo pensa di essersi scaricato e che si ritrova nel piatto la stagione dopo. 0 disgraziati, linea di demarcazione fra che, di grazia? Fra un cancro e un brutto male? Aldo Busi Aldo Busi: «Quando lo attraverso in auto, accelero e non guardo mai in basso: mi mette troppa malinconia Noi lo sfruttiamo, ma lui si vendica con i suoi veleni» «Con mio fratello si andava a pescare le pantegane Sognava di esplorare l'Amazzonia E si allenava così» «sleSlEmmmvpfmdnas IL PLACIDO PO £■ II Po vicino a Cremona

Persone citate: Aldo Busi, Benedetto Po, Gualtieri

Luoghi citati: Brescia, Cremona, Guastalla, Italia, L'aquila, Montichiari, Ostiglia, Suzzara