FUORI DAL CORO Quant'è difficile raccontare l'America di Paolo Guzzanti

F F FUORI DAL CORO =1 Quanfè difficile raccontare VAmerica EGLI Stati Uniti da due mesi, comincio ormai a capire quanto sia difficile raccontare l'America. Non perché l'America sia difficile in sé, ma perché è difficile comunicare. C'è, per così dire, qualche difetto nell'apparato ricevente. Ai tempi della Cina di Mao fra i giornalisti girava questa battuta: «Chi va in Cina per una settimana, quando torna scrive un libro. Chi va in Cina per un mese, quando torna scrive un articolo. Chi va in Cina per un anno, quando torna non scrive niente perché ha capito quanto sia spropositata la pretesa di capire quel Paese e raccontarlo». Con l'America succede il contrario: chi va negli Stati Uniti si trova di fronte a una offerta di libri, giornali, riviste, università, intelligenze, opposti pareri e dibattiti televisivi che lo appagano e lo nutrono. Tutto sembra difficile, ma accessibile. Complesso, ma decifrabile. Le scoperte in compenso sono continue: si può vivere regalando sorprese a chi legge. L'entusiasmo però dura poco: ti rendi conto che è quasi impossibile raccontare l'America senza pregiudizi, così come si presenta e si lascia conoscere, cioè con libertina indiscrezione e una onesta ingenuità. La difficoltà non sta in America, ma in Italia dove sembra che la cultura a reti e stampe unificate sia attestata su questa comoda posizione: vogliamo leggere soltanto quel che avevamo già deciso di pensare prima di sapere. Gli italiani desiderano ad esempio sentirsi ripetere che gli americani sono cafoni e indecenti sempre e comunque; che mancano di gusto cultura e identità storica; che sono barbari perché usano l'iniezione letale e la sedia elettrica; cinici perché governati da presidenti che scatenano guerre per vincere il concorso alla Casa Bianca; imperialisti perché usano il pianeta come una loro provincia; vampiri perché vivono succhiando linfa dalle vene dei Paesi poveri. Alcune di queste definizioni possono essere di volta in volta vere. Per lo più sono vecchie e inutili, retaggio di tre mondi e di tre modi di giudicare e detestare gli Stati Uniti, pericolosamente coincidenti: quello del cattolicesimo tradizionalista che vede come fumo negli occhi laicismo e tecnologia; quello di origine fascista, sprezzante e ignorante; e quello di tradizione comunista che non intende riconoscere per principio le qualità progressive del capitalismo e che si è inventato di sana pianta, come nuovo Stato-guida postsovietico, la cosiddetta «Altra America», guidata da Cip e Ciop, allegri scoiattoli. Spesso questi tre modi di non-vedere l'America convivono nella stessa persona che è poi il vecchio arcitaliano: un cattolico più astioso che praticante, che è stato prima fascista e poi comunista, ora circondato da figli e nipoti ideologici. Costui, costoro, pretendono di trovare sui giornali e in televisione il servizio di manutenzione dei loro pregiudizi, con un po' di sedia elettrica, stupri nel parco, curiosità mostruose, qualche strage di periferia, le «americanate» di una Convention, le storie di miserie e minoranze fra delitti e crudeltà metropolitane. Certo, raccontare un'America fatta soltanto di questi ingredienti-espedienti è un gran bel vivere: dipingi la mostruosità americana e sarai sommerso da un coro di benebravo-grazie. Se provi però a descrivere la qualità americana, la specifica diversità di questo luogo e di questa gente, avverti subito che diminuisce la presa e alla fine rischi la squalifica. Eppure il bello, il motivo di stupore sta proprio nel risolvere questo enigma: qual è il segreto genetico, la mutazione americana che ha prodotto il più fantastico e fecondo laboratorio della storia dell'umanità? Mai come oggi è valsa la pena di vedere che genere di domani sarà il domani americano, prima che diventi anche il nostro oggi Paolo Guzzanti intij

Persone citate: Cip E Ciop, Mao