Arafat Oslo non si tocca e Gerusalemme va divisa di Ugo Bertone
Arafat: Oslo non si tocca © Gerusalemme va divisa Arafat: Oslo non si tocca © Gerusalemme va divisa CERNOBBIO DAL NOSTRO INVIATO «Soddisfatto per aver visto Netanyahu? Sì, ma non questo conta». E brillano gli occhi di Yasser Arafat quando aggiunge che: «La cosa importante è che sia ripreso e possa continuare il processo di pace nella nostra regione. E' questa la scelta fatta dal popolo israeliano...». E' lui «il presidente della Palestina e capo dell'Olp» come tiene a precisare, ancora una volta il mattatore degli incontri di Cernobbio, organizzati dallo studio Ambrosetti. Al mattino ammonisce la platea dei potenti, industriali, banchieri centrali di Francia e Germania e commissari Ue, che «l'economia globale, quella del Duemila, non può trascurare la disperazione dei senza casa, quella che alimenta la disperazione del terrorismo». Eppoi compare sul balcone della suite di Villa d'Este e improvvisa una conferenza stampa. Eppure, per tutta la giornata, il suo portavoce Khalil aveva predicato prudenza. «Inutile provocare - aveva spiegato - la reazione della destra israeliana...». Ma Arafat, alla fine, aveva deciso diversamente: il palcoscenico di Villa d'Este, in passato, gli ha portato fortuna. E di buona sorte il leader di mille battaglie ha bisogno adesso in vista dell'ultima sfida: oggi si vola al Cairo, poi a Gaza. Da domenica di nuovo al tavolo di trattative con i falchi di Israele. Il nuovo governo israeliano, però, sembra insistere sulla necessità di rivedere il vostro accordo di Oslo... «Alt. Nelanyahu non può dimenticare che l'accordo di Oslo non è stata una semplice intesa a due ina un patto intemazionale. E' un trattato firmato prima a Oslo, poi a Washington, poi c'è stato un nuovo tavolo di firma al Cairo e a Durban. Non abbiamo firmato in due e basta, ma si ò impegnato Clinton, Mubarak, c'è stato l'impegno della Russia e dell'Europa. Infine questo patto internazionale è stato registrato davanti alle Nazioni Unite... Né io né il signor Netanyahu abbiamo il potere, insomma, di cambia- re questa intesa internazionale». Quale lo scoglio più difficile? Gerusalemme? «Di questo si parlerà solo nella fase finale della trattativa. Del resto la nostra posizione è chiara: Roma è la capitale di due Stati, l'Italia e il Vaticano. Perché non possiamo trovare una soluzione simile anche per Gerusalemme? Quella città non appartiene solo agli ebrei. E' anche musulmana, cristiana, è di tutti». E lei, Arafat, si sente un po' come il Papa... «Perché no? Forse che qualcuno di voi ha qualcosa in contrario?». Intanto l'embargo di Israele alle frontiere vi costa soldi? E gli aiuti non arrivano? «Certo, il blocco dei pendolari a Gaza ci costa sette milioni di dollari al giorno. Eppoi c'è la questione degli aiuti internazionali che dovevano arrivare tramite Israele: gli 800 milioni di dollari promessi sono arrivati solo in parte...». Anche per questo è importante far ripartire il processo di pace, o almeno le trattative... «Certo, ripeto che è molto importante il primo incontro con Neta¬ nyahu. Adesso l'importante è far marciare fin da subito le nuove trattative. Già da domenica si riuniranno le varie commissioni. Ci sarà un tavolo per la sicurezza, uno per la difesa e l'altro per le questioni giuridiche. Io mi incontrerò di persona con il ministro della Difesa». Quale sarà la vostra posizione? «Noi palestinesi non chiediamo mica la Luna. Il nostro solo obiettivo è che si proceda sulla strada della realizzazione dell'intesa già siglata in sede internazionale. Lo ripeto: in sede intemazionale». E Saddam? La crisi irachena non rischia di compromettere il processo di pace nella regione? «No, non credo. Quella perla verità non mi sembra una grande storia. Sì, io sono stato in contatto con Saddam, così come con tutti gli altri leader arabi. L'Iraq è stato obbligato a muoversi perché dietro Talabani c'era il sostegno esplicito dell'Iran. Saddam, perciò, ha voluto difendere i suoi confini...». Ugo Bertone Il presidente dell'Autorità palestinese Yasser Arafat
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