A Irbil domata da Saddam di Andrea Di Robilant

A Irbil domata da Saddam A Irbil domata da Saddam «Ogni notte qualcuno di noi sparisce» i :J«l:é /Tel SULLE ORME DELL'ARMATA IRACHENA IRBIL DAL NOSTRO INVIATO Il soldato che scuotiamo dal torpore in questo torrido primo pomeriggio si chiama Ismail Muhammed Rashid. La settimana scorsa ha guidato l'assalto dei peshmerga di Massud Barzani al palazzo del Parlamento, un grande e brutto edificio moderno all'entrata della città. Oggi Rashid e i suoi 40 uomini sono ancora lì a far la guardia e bivaccano orgogliosi all'ombra del «Parlamen», forse il trofeo più prestigioso della battaglia di Irbil. «L'abbiamo preso in 24 ore», racconta Rashid, un soldato minuto che ha più l'aspetto del commissario che dell'eroe militare. Ci descrive l'azione in dettaglio, poi aggiunge che lui e i suoi hanno cacciato i peshmerga rivali di Jalal Talabani da soli, senza l'aiuto degli iracheni. Ma la facciata del «Parlamen», devastata dai colpi dell'artiglieria pesante di Saddam, è lì a dimostrare che almeno su quest'ultimo punto Rashid si esprime più per senso di dovere che per reale convinzione. I tank iracheni erano schierati a decine di fronte al palazzo. Dai 300 ai 400 carri hanno circondato la città tra venerdì e sabato scorso. La potenza del fuoco di quei carri ha permesso agli uomini di Barzani di sbaragliare Te difese di Talabani e di conquistare Irbil in un giorno di combattimento (fortunatamente sono rimaste in piedi le mura quattrocentesche della Kalleh, la cittadella fortificata che si erge nel cuore della città e che per secoli ha fatto da sentinella alla grande Piana di Irbil). Ora i tank iracheni, come anche gli americani hanno confermato, si sono ritirati dalla città. Ma non di molto. Il 36° parallelo, che segna l'inizio della «zona protetta» dall'Onu, è vicino. Per cui i carri sono retrocessi di 20 chilometri, cioè quel tanto che basta per mettere a tacere la comunità internazionale ma essere pronti ad una nuova offensiva. Dopo le violenze e i saccheggi degli ultimi giorni, la vita in questo antico centro commerciale piano piano riprende. I negozi riaprono i battenti; i verdurai mettono in bella mostra melanzane, peperoni, pomodori. C'è anche una profusione di cocomeri. I ciaikanè (sale da tè) tornano ad animarsi. E per le strade polverose uomini e pecore tornano a circolare più liberamente. Gli unici segni tangibili della guerra ancora in corso - a 30 chilometri da Irbil ancora si combatte -, almeno all'occhio del visitatore, sono le pattuglie di peshmerga di Barzani che girano nelle loro grandi Toyote bianche, e i numerosi checkpoint. «Tutto è tranquillo», ci conferma Sani Abdul Rahman, membro influente del politburo del partito democratico curdo (pdk) di Massud Barzani, ricevendoci nel suo ufficio. «Non voghamo alcuna vendetta, per cui niente esecuzioni o rappresaglie, come invece è stato detto da alcuni all'estero. Abbiamo ordinato due sole esecuzioni: due ladri accusati di saccheggio. Per motivi di ordine pubblico. Altrimenti la situazione poteva sfuggire di mano». Rahman è un uomo piccolo e asciutto. Veste in giacca e cravatta. Ha lo sguardo acceso e intelligente, i modi garbati quasi all'eccesso. Le sue dita sono lunghe e affilate. Per aspetto e ingegno, si distingue dall'entourage di Barzani, composto per lo più da uomini che hanno una maggiore propensione per la battaglia che non per la scrivania. Rahman parla anche un buon inglese, imparato quando studiava ingegneria a Londra e a Manchester. Si è speculato molto sul numero dei morti della battaglia fratricida tra il pdk di Barzani e il partito patriottico curdo (puk) di Talabani. Alcuni esponenti di organizzazioni umanitarie presenti a Irbil durante gli scontri sono arrivati a parlare di 2 mila morti e 10 mila feriti. Ora quelle stime sembrano esagerate. E Rahman, per parte sua, assicura che furono solo poche decine per parte. «La battaglia è stata breve. Una voi- ta conquistato il Parlamento tutto si è svolto molto rapidamente». Un'altra voce che avevamo raccolto viaggiando dalla frontiera turca verso Irbil era che Saddam Hussein aveva sì ritirato i carri, ma aveva lasciato truppe scelte. Rahman ride quando gliene parliamo. E la cosa è stata smentita ovunque. Del resto è poco plausibile che Saddam lasci i suoi uomini senza carri o comunque senza copertura. Più grave ma anche più verosimile è l'accusa che gli uomini della sicurezza ira- chena, dopo la conquista di Irbil, si siano sparsi a ventaglio nei villaggi e nelle cittadine del Nord, fino al confine con la Turchia. Il rappresentante della maggiore organizzazione umanitaria europea che opera nella zona ci ha detto: «Saddam avrà pure ritirato i suoi carri, ma i suoi uomini sono ormai dappertutto. Fanno retate, saccheggi, arresti sommari. Spesso entrano nelle case travestiti da curdi e già si contano i primi desaparecidos». Di fronte all'accusa di aver fatto entrare nel Kurdistan il «cavallo di Troia» iracheno, Rahman si fa improvvisamente serio: «Se fosse vero sarebbe da fessi negarlo, visto che il Nord del Paese in questi giorni pullula di giornalisti». Ma sono in molti a pensare che con la conquista di Irbil Saddam Hussein abbia voluto non solo compiere un atto di forza, magari riaprendo a suo favore i giochi diplomatici nella regione, ma anche riprendere sin d'ora il controllo del territorio nel Nord Iraq, anche alla luce degli sconfinamenti da parte dell'Iran. Questi sconfinamenti iraniani, il sostegno degli ayatollah al puk di Talabani, la presunta indifferenza americana a questi sviluppi sono i motivi che avrebbero spinto Barzani a chiedere aiuto al «macellaio di Baghdad», che prima del '91 aveva ordinato più volte il massacro dei curdi. «Ma il partito - dice Rahman - è compatto e le forze militari sono con noi al cento per cento». Non tutti però sono contenti di questo «patto con il diavolo». Gli raccontiamo che molti «sudditi» di Barzani, a cominciare dall'autista che ci ha accompagnati fino a Irbil, ogni volta che facciamo il nome di Saddam Hussein si tagliano la gola con il dito per indicare che ne vorrebbero la testa. «Sì, forse abbiamo fatto un patto con il diavolo», conclude Rahman porgendo la mano. «Ma per affrontare un altro diavolo». Andrea di Robilant «Gli agenti di Baghdad ci rastrellano casa per casa»

Luoghi citati: Baghdad, Iran, Irbil, Kurdistan, Londra, Manchester, Nord Iraq, Turchia