Il Faraone si è fermato a Bronte

Il Faraone si è fermato a Bronte Nei paesi, aspettando il lavoro si progettano VIAGGIO grandi cavalli di bronzo e maxisale da gioco Il Faraone si è fermato a Bronte Tra sogni di grandezza e miserie quotidiane CATANIA DAL NOSTRO INVIATO C'era questa pioggia finta che cadeva a dirotto nella piazzetta di Sant'Alfio, a Catania. Giravano lo spot di una mozzarella, Aurelio Grimaldi come regista. Su una strada del Nord un tipo padano in Mercedes carica un ragazzo siciliano che fa l'autostop. Quando si accorge che quello viene dall'isola comincia con i luoghi comuni: «Eh, voi avete il sole» e il ragazzo si ricorda la pioggia, appunto; «E contate le pecore» e lui si vede davanti al computer; «Ma perché emigrate?» e il ragazzo, come Traisi in «Ricomincio da tre» gli fa: «Sono in vacanza». Morale: basta con le solite immagini della Sicilia, venite ad aggiornarvi. E allora andiamo, ma dal momento in cui Catania è affogata nel retrovisore si son viste molte mozzarelle, qualche goccia di pioggia, manco un computer. In compenso: cavalli e santi, maghe e socialisti, telefonini e libretti postali e una vita quotidiana fatta di problemi antichi e progetti che neanche i faraoni li avrebbero sognati. La strada che da Catania costeggia l'Etna porta a Brente, un paese che parla sui muri. Il penr siero dei suoi ragazzi è lì: all'ingresso («lo Stato è un parassita»), al centro («la vita è una scopata»), all'uscita («il fascismo è oltre»). Non dovesse bastare questa filosofia, si può ricorrere a Madame Sahara «la maga più preparata dell'epoca, perché in possesso della chiave del destino: il vero libro del Cinquecento», con studi in quattro località diverse e migliaia di manifesti affissi tra Brente, Randazzo e Patti. Seguendo invece i cartelli per Cesarò la strada sale nei Nebrodi e nella nebbia, l'autoradio capta una sola stazione che trasmette messa («Preghiamo perché le assemblee legislative siano illuminate nel legiferare, ascoltaci o Signore») e, quando torna il chiaro, appare l'abitato di San Fratello dove già la lingua che si sente per strada annuncia che siamo in un'isola nell'isola. Qui ci sono seimila abitanti, un migliaio di cavalli di razza, qualche centinaio di cellulari, trenta miliardi depositati all'ufficio postale, quattro negozi, due arcipreti, un televisore per stanza e un santo patrono nero di nome Benedetto in onore del quale la famiglia Craxi, originaria del luogo, battezzò un neonato con il diminutivo di Bettino. Il sindaco, Salvatore Mangione, professore di storia e filosofia e autore dell'agiografia «San Benedetto: nero sì, ma di pelle beata» è rimasto fedele al socialismo. E' stato eletto in una lista civica con il cavallo sanfratellano per emblema, ma alle regionali si è presentato con il sole dell'avvenire e il garofano «perché sentivo un riflusso». La mattina insegna, il pomeriggio amministra, la sera scrive di cavalli e santi. In un giorno ha partecipato a una riunione di tre ore al liceo per decidere se fare il trimestre o il quadrimestre, presoaccordi con l'aggiudicatario dei lavori di riassesto fognario, posto le basi per un dibattito nel corso della sagra locale (il titolo lo sapete, infallibile come un presagio: «Il cavallo sanfratellano verso il Duemila») e aggiornato la bibliografia di uno studio su San Cono. Nel frattempo, il paese ha vissuto la sua immobile giornata. Gli uomini nei campi o a pascolare il bestiame, le donne a lucidare i mobili nelle case all'ombra, con l'affissione sopra la porta per ricordare l'ultimo defunto di famiglia. Una casa ogni tre, una cappella votiva. Tanto religiosi? Padre Antonino ha i suoi dubbi: «Di uomini, a messa, ne vedo sempre meno. Dicono che mandano le loro donne. I giovani pensano ad altro. Abbiamo due parrocchie ed è come fossero due religioni diverse e contrapposte, si uniscono solo una volta all'anno, alla processione dell'otto settembre; per il resto, scisma». E allora in cosa credono i sanfratellani? «Per prima cosa nella famiglia. Qua un matrimonio è un matrimonio. Dal dopoguerra se ne sono sciolti due soltanto. Il primo perché il marito si credeva disperso in Russia. Lei ha fatto dichiarare la morte presunta e si è messa con un altro, poco dopo lui è riapparso. A quel punto non la volevano più né l'uno né l'altro, capisce come sono fatti gli uomini? Insomma, si è dovuto mediare, alla fine è rimasta con il secondo. Finalmente l'anno scorso il marito vero è morto e li ho potuti sposare, così tutto è tornato regolare. Poi c'è stato un altro caso, ma quello, beh, è un poveretto che la moglie l'ha "incorniciato" e lui che poteva fare? O le sparava o se ne veniva via. Se n'è venuto via e ha trovato un'altra. Li ha sposati il sindaco, pochi mesi fa. E' l'unico divorzio di cui mi ricordi. La famiglia è il primo valore, poi viene il lavoro, se non ce l'hai non vali». Gli uomini lavorano, tornano a casa per pranzo, tutti davanti al telegiornale prima di un breve sonno. Nelle case ci sono stanze di rappresentanza e stanze di vita, un televisore ciascuna. I mobili sono massicci e splendenti. «Queste sono le sole cose in cui la gente spende», dice il sindaco. «Investimenti, niente. Risparmi, tanti». Negozi non se ne aprono per evitare che vengano su da Capo d'Orlando a chiedere il pizzo. I ragazzi che non vanno mat¬ ti per i cavalli sanfratellani cominciano a guardare la strada che porta via. La vita qui non ha soprassalti, ma neppure rischi: l'ultimo omicidio è di ottant'anni fa, per una questione di interessi. Eppure a Tortorici, che è un Comune confinante, le cosche sparano ogni giorno. La spiegazione della diversità, secondo il sindaco Mangione, è semplice: «Questione di razze, noi siamo normanni e loro no». E allora parliamo di razze davanti al bar Centrale o nelle panche di fronte alla coiffeuse Rosalia: «Padania? Ecche è? Noi qua vo tammo tutti per la monarchia, meno cinque. Adesso basta cambiamenti». Mangione ha una sua teoria anti-secessionista: «Nel caso, ci rimette il Nord. Primo perché perde le nostre menti, che sono più raffinate. Secondo perché noi abbiamo più iniziative. Loro sono pigri. Ma come, noi siamo gemellati con Viggiù e la festa dei pompieri gliel'ha dovuta organizzare un emigrato sanfratellano. E poi siamo più tolleranti, qui abbiamo trenta immigrati nordafricani, gli ho dato la residenza a tutti e uno s'è pure sposato. Anzi, sarà per via del patrono, c'è proprio un culto della negritudine. Comunque, secessione o no, glielo gioco io uno scherzo a Milano». Sarebbe? «Ho letto che in America hanno fatto il cavallo di Leonardo, tutto in bronzo, alto sette metri e lo vogliono dare a Milano. Io invece ho scritto perché lo diano a noi, che siamo il regno del cavallo. Ho buone speranze: al Congresso c'è un deputato sanfratellano e Al Pacino ha radici qui. E' che gli americani non si rendono conto: a Milano il cavallo si per- de, qui sì che lo valorizzeremo. Vede, lo piazzerei sulla cima della montagna che domina il paese, là, come il sole». Ecco, come a Cesarò, dove hanno piazzato un Cristo di pietra controvento, con i capelli di marmo all'indietro, un drammatico «Corcovado dei poveri». Quello che l'ha scolpito è morto ammazzato. Quello che l'ha voluto sta bene. Sarà per l'attesa di una risposta dall'America che tutti hanno il telefonino, anche se in paese non c'è «campo» e se in Sicilia dopo le otto c'è un sovraccarico di linee dovuto a record di utilizzo (il negozio che ha fatto più allacciamenti d'Italia è a Catania). Di novità da raccontare al telefono ne hanno una al giorno. Gliele affigge sulla porta in forma di poesia una specie di corvo che si firma «l'allegro moschettiere». Esempio, intitolato «A Lillo»: «Ti sei chiesto un po', Lillo, quante volte/messo nel cuore d'una situazione/hai fatto tale e tanta confusione/da dare dispiacere al Gran Signor?/Piantala lì, lascia perder tutto/i figli te li hanno sistemato/con certa gente è meglio far l'ingrato/che l'imbecille, o peggio il palo. O più?». Un altro anonimo sta pochi chilometri a Nord, a Capo d'Orlando. Il suo messaggio l'ha inviato a quattro ragazze torinesi, abituate a prendere il sole di fine estate in topless. Una mattina hanno aperto l'ombrellone e hanno trovato un volantino con su scritto: «Rivestitevi o cambiate spiaggia. Ultimo avviso». Non hanno ceduto. Questione di principio. Come quella che è in ballo a Letojanni, un budello di case strette fra la ferrovia e il mare. Vorrebbero aprirci un casinò, che è come immaginare le Olimpiadi a Enna. Il fascino del progetto è nella storia del suo sostenitore: Domenico Guarnaschelli, detto il cavalier Mimi. Come ogni storia di moderni cavalieri, anche la sua parla di panfili e azzardi, contratti con oscuri personaggi mediorientali e leggi da aggirare. Per farsela raccontare bisogna andare nella sua villa accanto all'hotel Miramare, a Taormina. Lui ha novant'anni e se ne sta a letto, con il femore rotto e la voce bassa: Marion Brando quando si sarà stancato di fare Marion Brando. Da quarant'anni la scopo della sua vita è aprire un casinò in Sicilia. Negli Anni Trenta ne aveva uno a Tripoli. Poi glielo confiscò il governo fascista. Prima di lasciare la Libia ottenne una concessione notarile che lo ripagava con il diritto di riprendere l'attività. Atto legale o carta straccia che fosse, gli servì per aprire una sala da gioco a Taormina negli Anni Sessanta, sequestrata dopo due anni. Adesso ci riprova tre chilometri più in là. Il sindaco di Letojanni gli ha dato l'autorizzazione a mettere i tavoli verdi in quello che ora è un cronicario. Il giudice ha messo i sigilli e rien ne va plus. Il cavaliere non si arrende: ha dalla sua il presidente della Regione, molti deputati regionali, i paesani e perfino i vecchietti del cronicario, per solidarietà senile. La motivazione comune non è male: «Perché quattro casinò al Nord e nessuno al Sud? E' razzismo anche questo». Il cavaliere dice che la legge italiana lui la può aggirare perché ha lo status di profugo. Uno se lo immagina, don Mimi nel campo di prima accoglienza, a mangiare broda calda sotto un tendone con altri lacero-contusi in attesa di un traghetto per tornare in patria: «Ecchè? Io sono tornato con il mio yacht, ma sempre profugo sono». E con diritto ad aprire un casinò: «Finché non ci riesco, non muoio. Lo giuro». Non dovesse mantenere fede, è pronta la seconda moglie, sposata da due anni, a raccogliere anche questa eredità. Magari un giorno questa regione sarà il Ne vada d'Italia: casinò e statue di bronzo sulle rocce. Nell'attesa, «il Corcovado dei poveri» è pericolante, la terra smotta e verso il Duemila corre soltanto il cavallo sanfratellano. Gabriele Romagnoli BRONTE Sui muri la protesta dei giovani «Stato parassita» SAN FRATELLO Trenta miliardi di depositi e un unico mito: il matrimonio CAPO D'ORLANDO Volantini di minaccia alle turiste in topless «Rivestitevi o cambiate spiaggia» LETOJANNI «Vogliamo anche noi aprire un casinò Ce ne sono 4 al Nord c nessuno al Sud Questo è razzismo» VIAGGIO IN SICILIA 1. ichiarare la morte presunta e messa con un altro, poco doui è riapparso. A quel punto la volevano più né l'uno né ro, capisce come sono fatti uomini? Insomma, si è dovumediare, alla fine è rimasta il secondo. Finalmente l'ancorso il marito vero è morto RONTE i muri la protesta i giovani tato parassita» AN FRATELLO enta miliardi depositi un unico mito: matrimonio stra e in alto momenti di vita idiana in a [FOTO SHOBARASTO] to unaltra. Li ha sposati il sindaco, pochi mesi fa. E' l'unico divorzio di cui mi ricordi. La famiglia è il primo valore, poi viene il lavoro, se non ce l'hai non vali». Gli uomini lavorano, tornano a casa per pranzo, tutti davanti al telegiornale prima di un breve sonno. Nelle case ci sono stanze di rappresentanza e stanze di vita, un televisore ciascuna. I mobili sono massicci e splendenti. «Queste sono le sole cose in cui la gente spende», dice il sindaco. «Investimenti, niente. Risparmi, tanti». Negozi non se ne aprono per evitare che vengano su da Capo d'Orlando a chiedere il pizzo. I ragazzi che non vanno mat¬ un Comune confinante, le cosche sparano ogni giorno. La spiegazione della diversità, secondo il sindaco Mangione, è semplice: «Questione di razze, noi siamo normanni e loro no». E allora parliamo di razze davanti al bar Centrale o nelle panche di fronte alla coiffeuse Rosalia: «Padania? Ecche è? Noi qua vo tolleranti, quimmigrati nodato la residenpure sposato. del patrono, c'della negritusecessione o nuno scherzo a «Ho letto che fatto il cavalloto in bronzo, avogliono dare ce ho scritto noi, che siamolo. Ho buone gresso c'è un dlano e Al Pacinche gli americconto: a MilanCAPO D'OVolantini alle turist«Rivestiteo cambiatLETOJANN«Vogliamoaprire un Ce ne sonc nessunoQuesto è A destra e in alto tre momenti di vita quotidiana in Sicilia [FOTO SHOBACONTRASTO] Domenico Guarnaschelli, sindaco di Letojanni