Presto tappa a Hammamet dall'esule Bettino d'Arabia

E AMICIZIE INOSSIDABILI Presto tappa a Hammamet dall'esule Bettino d'Arabia E ROMA come sta papà? Dunque, in visita ufficiale Yasser Arafat incontra anche Bobo Craxi, gli la gli auguri e gli preannuncia una visita a Hammamet. Senza perdere un minuto, con filiale e diplomatica sollecitudine, Bobo emette un comunicato che dimostra come l'amicizia, in politica, sia qualche volta più forte delle sconfitte, delle vergogne, dell'esilio e perfino dei mandati di cattura intemazionali. «Durante l'incontro - recita in effetti la nota di Craxi jr - il presidente Arafat ha rinnovato i sentimenti di amicizia e di gratitudine nei confronti dell'ex presidente del Consiglio». All'amicizia s'è accennato. Della gratitudine, che ne rappresenta una non sempre correlata articolazione, deve essere davvero molto forte se si considera che esattamente un anno fa - era, guarda caso, il 5 settembre del 1995 - il leader palestinese aveva invitato Craxi a Gaza Anche in quell'occasione c'è un sintomatico testo scritto, stavolta da Arafat: «Caro Amico - scriveva - che hai partecipato alla fioritura del giardino del sostegno internazionale al mio popolo...». Questa del «giardino fiorito» dovette piacere assai all'esule. Più che amare, da tempo Craxi tende ad accettare tutto ciò che è arabo - uomini, animali e cose con appassionato interesse e curiosissima venerazione. Questo dal punto di vista dei gusti personali, fino a dar adito a leggende islamico-metropolitane tipo quella, ospitata di recente su Cuore con tanto di illustrazioni, che avrebbe donato una coppia di dromedari all'ospedale San Raffaele di Milano. Sul piano politico, o geopolitico, la questione è appena più complicata. E forse anche un po' meno lineare di quel che l'incontro a sorpresa di Arafat con Bobo lasci ritenere. Il punto di parten¬ za è che il giovane Bettino, prima ancora che tiepido sulla causa palestinese, alla metà degli Anni Sessanta era un acceso filo-israeliano, membro di riguardo dell'Udai, entusiastico accompagnatore di Nenni a Gerusalemme e Tel Aviv nel 1971, piantatore di alberi nella «Foresta dei Martiri». C'è giusto da aggiungere, tanto per parificare l'inesauribile favolistica craxiana, che nella Milano degli Anni Settanta tale adesione lo portava addirittura ad essere ritenuto il rappresentante occulto dei pompelmi Jaffa. Lui, giustamente, ci scherzava. Ma quando, nei primissimi Anni Ottanta, divenne uno dei quattro o cinque uomini politici più potenti d'Italia, beh, allora gli parve giusto ripensare quella drastica posizione pro-Israele. Cambiando idea, in qualche modo, e del tutto a prescindere dai suoi antichi compagni autonomisti che si sentirono presi un po' in giro. Insomma, una volta a Palazzo Chigi, Bettino Craxi non solo divenne filo-palestinese, ma tentò e in determinati momenti riuscì ad esserlo più dei comunisti e di Andreotti; il che era veramente difficile. Ma stava proprio qui, se ci si pensa, in questa insolita concorrenza con l'antiamericanismo del pei e la freddezza democristiana verso Israele, un certo pure azzardato, ma sicuramente brillante geniaccio craxiano. Ora, non è giusto presentare la politica filo-araba dei governi socialisti come il frutto esclusivo di uno spregiudicato calcolo personale. Sotto ricatto petrolifero, oltretutto, e forse anche terroristico, anche allora l'Italia doveva necessariamente trovarsi un ruolo nel Mediterraneo. Dove non c'era solo Arafat (con i suoi protettori più ricchi), che Craxi e Andreotti andarono subito a incontrare - suscitando l'ira di Spadolini, l'astio degli americani e l'odio imperituro di Shimon Peres - già nell'autunno del 1984. C'era anche Gheddafi, c'era l'Egitto, la Siria (con delega Andreotti), la Giordania, il Marocco e l'Algeria del metanodotto. C'era, infine, la Tunisia, di Bourghiba, poi di Ben Ali e comunque dei miliardi della cooperazione, e qui Craxi, monsieur le President, ha sempre giocato in casa. Nell'autunno del 1985, l'avventurosa vicenda dell'Achille Lauro - su cui, tra parentesi, l'esule-latitante sta scrivendo un libro - fu la prova che aveva ormai vinto il campionato di filo-arabismo. Anche attraverso Abus Abbas, Arafat «si fece in quattro» parole di Craxi - per smontare l'operazione terrorista. Il presidente italiano difese l'Olp di fronte ad un adiratissimo Reagan; e in Parlamento si prese pure lo sfizio di paragonare le azioni militari dei palestinesi a quelle di Giuseppe Mazzini, «che progettava assassini politici». Quindi davvero un «Grande Amico». Un amico che resta un amico anche quando, ormai dissolti i sogni di gloria e di prestigio internazionale, gli unici arabi associati a Bettino Craxi, invece che capi-popolo sono furbi e misteriosi uomini (e donne) d'affari che inesorabilmente escono dalle cronache di Tangentopoli in un vortice di miliardi e conti correnti. E così, nella seconda puntata di Bettino d'Arabia, c'è questo Zuhair Al Khateeh, tirato in mezzo dal segretario craxiano Giallombardo, forse banchiere dell'Olp, che il pm Di Pietro chiamava «l'egiziano strano-strano». Oppure il produttore franco-tunisino Tarak Ben Ammar, sospettato di aver girato al psi quattrini di Berlusconi. 0 la fascinosa ed enigmatica Rayana Evelyne Zeineb, che il faccione di Craxi ce l'aveva incornicato con tanto di dedica in salotto, da cui il giudice Pareggio voleva tanto sapere qualcosa sulla cooperazione. Intanto, sono medici arabi e truppe scelte tunisine, le «tigri», a decidere e a vigilare sulla vita dell'ex presidente italiano. Un esito che appare al tempo stesso provvisorio e definitivo. Filippo Ctccarelli Il capo dell'Olp ha visto Bobo Craxi, il quale ha subito emesso un comunicato. La vera storia della «conversione all'Islam» di un ex accanito fan d'Israele fi?' /r? A sinistra Bettino Craxi tra Bourghiba e un altro politico tunisino Qui a destra Giuseppe Mazzini e Abu Abbas Nelle foto in alto l'arrivo di Yasser Arafat a a Fiumicino e il leader palestinese con il sindaco di Roma Rutelli Qui accanto una vignetta di Forattini dell'agosto del 1990 con Occhetto e Craxi con la keffiah palestinese