«Nessuno toghi l'unita dell'Italia» di Renato Rizzo

Duro ammonimento del Capo dello Stato a Venezia: non turbiamo le radici comuni Duro ammonimento del Capo dello Stato a Venezia: non turbiamo le radici comuni «Nessuno foghi Punita dell'Italia» Scalfaro: sono stati i patrioti del Nord a pensarla VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Giù la spada Braveheart padano: nessuno può tentare di recidere «le radici comuni» che nutrono e reggono questo Paese. Non c'è sogno che giustifichi l'oltraggio alla sua unità, non c'è rito né evocazione che possano cancellare la storia e i sacrifici degli uomini che l'hanno costruito. Oscar Luigi Scalfaro, da Venezia, ammonisce la Lega a non cercare di dividere ciò che lacrime e sangue hanno unito e lo fa guardando indietro, in quella zona della memoria collettiva a tinte ardenti, dove si accavallano le figure e le ideologie che hanno intessuto il Risorgimento: Silvio Pellico, Pietro Maroncelh, patrioti del Nord pronti alla prigione e alla tortura pur di vedere l'Italia «libera ed una». Un messaggio che giunge a rompere due mesi di silenzio da parte del Quirinale: forte e atteso e addirittura auspicato. Spedito a quel Bossi che, fra dieci giorni, proprio in questa città, nei giardini accanto alla Biennale, chiuderà la sua cavalcata sul Po versando in Laguna l'ampolla d'acqua raccolta alle sorgenti di Pian del Re. Ma anche un messaggio in cui, per la prima volta, il Capo dello Stato sembra abbandonare o, almeno, diluire con un po' d'amarezza, quella terapia dell'ottimismo che è stata, da. sempre, sua bandiera e suo sigillo. Il sindaco Cacciari, presentando al Capo dello Stato la strabiliante mostra dedicata a Giambattista Tiepolo, parla di periodi storici contraddistinti, come quello attuale, «da crisi e decadenza nel campo della cultura». E aggiunge che, però, «proprio in questa fase chi non ha sguardo miope può cogliere i disegni, le potenzialità, i nuovi possibili ordini». Scalfaro, inaspettatamente, manifesta il proprio disaccordo: «Di cultura c'è un bisogno immenso pure oggi, in ogni settore della nostra vita. Perché ogni volta che c'è una caduta, anche nel mondo della politica, questa avviene, appunto, per mancanza di cultura. Lei, sindaco, quando parla di crisi culturale mostra di intravedere dei bar¬ lumi positivi: io, invece, temo che non ce ne siano molti». Il Presidente si affretta a spiegare questa considerazione con le statistiche che citano l'altissimo tasso d'analfabetismo di regioni come la Calabria. Ma si vede, subito dopo, che la difficoltà culturale a cui si riferisce non è solo quella legata alla frequenza scolastica: il metro per misurare tale carenza è la solidarietà del Paese. «Ogni cittadino di questa patria deve sentirsi mortificato, perché tutti insieme abbiamo responsabilità». Cultura, vuol dire evidentemente il Capo dello Stato, è anche il senso dell'appartenenza ad una terra comune: gioire e soffrire delle stesse cose, lottare per gli stessi obiettivi. E il discorso diventa più diretto, il parallelo più stringente. Nel portico di Ca' Rezzonico la Lega è evocata e subito esorcizzata con una pagina di storia: «Stamane, come del resto ogni volta che vengo a Venezia, ho guardato le carceri dei Piombi» ricorda Scalfaro citando «Le mie prigioni» e confessando, con un'ammissione che Freud avrebbe certo considerato interessante, di leggere, ancora, «ogni tanto» il libro di Silvio Pellico. «E allora penso che lì, in quelle celle, ci furono italiani che sacrificarono tutto. Non per Venezia, ma per l'Italia». Un lungo applauso. Scalfaro riprende fiato, poi incalza: «Non faccio certo distinzioni tra l'intensità religiosa di Pellico e l'animo più ribelle di Maroncelli. Dico solo che loro non pensarono né al proprio villaggio né al proprio orto». E se poi qualcuno ancora non avesse ben chiaro il senso di un messaggio lanciato qui ed ora, il Presidente chiarisce: «Per questo sono tornato a Venezia». Ma non sono i Piombi l'unico simbolo di questa religione dell'unità predicata da Scalfaro. Nel cuore della città c'è una ferita ancora aperta che si chiama Fenice: «L'ultima volta che venni tra voi - ricorda il Capo dello Stato - fu proprio quando bruciò quel teatro: allora c'erano lacrime uguali, qui come in Sicilia, a Napoli come a Roma ed in ogni altra parte del mondo». Il dolore che affratella. Come la storia comune, appunto. E come l'arte che non ha frontiere. Così Giambattista Tiepolo diventa, ora, paradigma di questa voglia di unità in nome di valori più alti «dell'orto e del villaggio». Forse sogghignerà, dal paradiso degli scrittori, Guido Piovene. Lui aveva notato che le opere di questo artista trasmettono in chi le guarda solo «un vapore di compiacenza sensuale». Ma erano altri tempi. Renato Rizzo «Pellico non si sacrificò soltanto per Venezia» Il Presidente Scalfaro a Venezia alla mostra del Tiepolo Eleonoire Casalegno