TIEPOLO Angeli sopra Venezia

Personaggi cacciati e ripudiati, raccontati con levità e ironia, anticipando le visioni colossali del cinema A tre secoli dalla nascita, Ca' Rezzonico riunisce cento capolavori provenienti da tutto il mondo TIEPOLO Angeli sopra Venezia D VENEZIA A' come un brivido strano, stordente, pensare che non soltanto questa mostra memorabile su Tiepolo, che si apre oggi a Ca' Rezzonico (sino all'8 dicembre), ma in fondo tutta la produzione sciropposa e aerea di questo «Mago d'incantagione» e della luce, da Palazzo Labia, a Wùrzburg a Madrid, in fondo possa nascere e evolvere da quell'ovulo tenebroso e notturno, ossianico, del Memento mori oggi ritenuto tra le sue più credibili opere giovanili. Un cammeo da collo su rame, non più grande d'una miniatura, con un Giovin Signore o un tremante Leporello che quasi abbandona nel sepolcro un crollante uomo in età, che rabbrividisce a quell'ergersi di scatto dell'Imago mortìs scheletrica, che brandisce dal nero dell'avello una simbolica clessidra in cui si sciupa il Tempo. E' in fondo la tesi di uno dei curatori, Giandomenico Romanelli, nel ponderoso catalogo Skirà (la casa editrice che non soltanto ha curato questo prestigioso volume, ma s'è accollato il benemerito onere di sostenere e progettare una di quelle mostre «come non se ne fanno più», spostando da musei esigentissimi capolavori che disegnano davvero il profilo essenziale di uno degli ultimi grandi italiani, come è stato a lungo giudicato Gianbattista Tiepolo). Scrive Romanelli: «Gianbattista ingaggia sin dall'inizio del suo cammino un'interminabile partita interiore alla ricerca del senso di questo ineluttabile scorrere del tempo». D'accordo: ma bisogna intendersi sul mood, sul pathos con cui Tiepolo vive questa consapevolezza stanca, indolente, del transeunte. Non c'è mai, secondo noi, una vibrazione davvero drammatica, infelice, come vorrebbe Massimo Cacciari: una malinconia torva e sconfitta. La malinconia di Tiepolo è distratta, elegante (non vuol esser questa una denuncia moralistica): un'accidia imbellettata di ciprie, sfibrata nella valeriana. H confronto è immediato, quando la sua ispirazione s'incontra con l'iconografia tassesca: non c'è mai quel senso della sconfitta sorda, del tedium che corrompe la Bellezza come una lebbra. Le Clorinde o i Rinaldi di Tiepolo sono semplicemente e rilassantemente distesi sulle tematiche della Gerusalemme come su arazzi preziosi, depurati dalla loro dolorosità metafisica. Lo specchio mollemente tondo dell'Armida di Chicago non mostrerà mai la verità nuda e fosca di Schopenhauer: tutt'al più mostrerà altra pittura, altra sublime metratura di forme, colori, fantasie. E in questo senso, non se ne può più che i barbagianni della filologia continuino a ricordare con sussiego la stroncatura di Longhi: Longhi stava tracciando un Viatico, un suo percorso personale nella pittura veneta, Tiepolo non gli serviva, andava sacrificato. Ma quanto genio in quell'intuizione di «Cecil B. de Mille della pittura»: chi se ne importa del giudizio negativo, l'intuizione rimane capitale. Tiepolo è il grande annunciarsi dello spettacolo cinematografico, lo schermo bianco che si popola d'incantesimi, e la ronde non s'arresta. Di fronte a queste sublimi tele dalla fantasia grafica inesauribile, altro non ascolti che il ruscellare libero e trionfante di stoffe e colori, di cieli come strascichi di cretonne e di costumi liquidi come l'acquerellarsi di un'aurora. E ti par di ricordare quelle specchiate botteghe maupassantiane del cinema francese, in cui con un colpetto esperto il vecchio venditore di pezze mareggiava davanti alle sue Odette metri e metri di taffetà. E non a caso Proust non memorizzava dell'artista veneto che un colore soltanto, profuso ah'infinito: il rosa-Tiepolo. Basta studiare alla veloce, così come rapidamente dipingeva il pit¬ tore, le strutture ricorrenti dei suoi gruppi e ti rendi conto che quasi sempre questi personaggi sono cacciati, ripudiati, o costretti ad andarsene, Angeliche, Didoni, Euridici. Figure emblematiche dell'ostensione, attori di una semiologia del vuoto, che indicano l'infinito, che sollevano scudi e falci monitorie, che schioccano le dite sui cieli, che al limite persino protendono una perla, come Cleopatra. Questo per estendere al massimo l'apertura alare del loro esserci in scena e diventare così schermi cinematografici di una fantasmagoria della luce. E dietro la fosca visione giovanile di un Ratto d'Europa che pare un'assemblea campestre di femministe nervose all'epoca di Salvator Rosa, la serva-coiffeuse solleva i riccioli d'oro di Madame come per meglio stagliare il profilo di lei sulla pellicola della mitologica storia. Ed è wuminante anche quel formidabile Venere e Vulcano di Philadelphia: dall'arroventata fucina velazqueziana di sinistra si proietta sul nulla vaporoso di una nube l'abito di carne, lattiginoso e di glicerina della Divina che subito s'impanna, si monta, si zucchera in una lezione di magistrale bianca pasticceria. E ci si rende presto conto che anche le nude anatomie e le polpe poderose di queste odalische del Parnaso funzionano in fondo da abiti, sono vuote di sangue e di carne, sono armature sensuali del grande marchingegno erotico del mondo. Non urlino subito alla lesa maestà i soliti tromboni: non vuol essere una lettura di spregio. Ma Tiepolo va guardato anche così, con levità e ironia, la «sua» ironia. Che gli fa raccontare la leggenda di Danae e Giove come una lievissima scena di postribolo, con la vecchia mezzana che s'affanna a centrare nel losco vassoio gli insperati dobloni che piovono dal cielo e la pingue signorina che mostra le sue stanche terga ceUulitiche al solletico interesse di Cupido pronto alla sua iniezione quotidiana, mentre il cagnino litiga con l'aquila importuna che piomba maldestra dal cielo. E anche il Giacinto morente non è in fondo che un'androgina Micol Finzi-Contini, sfinita dalla sua partita di tennis, e la racchetta al fianco del simbolico fiore d'Ovidio. Per questo sembra così importante il primo palmello della mostra che studia gli esordi di Tiepolo, nel clima piazzettesco e tenebroso dei neri alla Loth o alla Bencovich (e certi dettagli sembrano terribilmente vicini a Goya, mentre certi bozzetti saranno già proprio dei De Pisis, o incredibilmente dei Maccari!). Vedi progressivamente le stesse inquadrature di Tiziano o di Palma il Vecchio turbarsi di brezze improvvise, rabbrividire di sconvolgenti tempeste. E anche l'Arcadia educata di Poussin sembra sobillata e alitata di mantici maliziosi, azionati fuori scena da chissà quali Pulcinella. La struttura che si ripete come un fantasioso ritornello al cemba¬ lo: l'alabardiere ai bordi, come in una stampa di Callot, per introdurre nella scena. Scale e prospettive come in una rivista d'avanspettacolo dell'Abate Galiani. Il testimone rembrandtiano che sopraggiunge in pompa magna, intabarrato di sete. E il pappagallo che firma le architetture come un ombrellino sul gelato. Anche l'Agonia nell'orto è puro teatro, con il sopraggiungere marziale dei soldati, che non disturbano il «Dio perché mi hai abbandonato?» di un Cristo riverso (sorretto dalle volute barocche di un angelo) ma illuminano la scena con le loro fiaccole aggressive. C'è la stessa interiorità scenografica delle Ultime sette parole di Cristo di Haydn, dolentemente galante: quella religiosità teatrale che traboccherà sin nello Stabat Mater di Rossini e fin nel Requiem di Faure: ma anche nella pittura religiosa dell'Ottocento, saltando il Romanticismo. Marco Vallora Personaggi cacciati e ripudiati, raccontati con levità e ironia, anticipando le visioni colossali del cinema OLTRE A QUELLI ESPOSTI A CA REZZONICO MOLTI ALTRI CAPOLAVORI DEL TIEPOLO SI POSSONO AMMIRARE IN CHIESE, SCUOLE E PALAZZI Di VENEZIA ECCO UN ITINERARIO IDEALE SUGGERITO DAI CURATORI DELIA MOSTRA: PALAZZO LABIA «BELLEROfONTE SU PEGASO» •INCONTRO DI ANTONIO E CLEOPATRA' «BANCHETTO DI ANTONIO E CLEOPATRA «ZEFIRO E FLORA. SCUOLA GRANDE DEI CARMINI «LA VERGINE CONSEGNA LO SCAPOLARE AL BEATO S. STOCK' «UN ANGFLO MOSTRA IO SCAPOLARE ALLE ANIME PURGANTI» «UN ANGELO SALVA UN OPERAIO DEVOTO ALLA VERGINE» «UN ANGELO CON ROTOLI E PUTTI CHE PORTANO IL LIBRO ALLA SCUOLA» «FEDE, SPERANZA E TEMPERANZA» ■FORTEZZA E GIUSTIZIA» «PAZIENZA, INNOCENZA E CASTITÀ'» CHIESA DI SANT'ALVISE IL TRITTICO DELLA PASSIONE DI CRISTO: «INCORONAZIONE DI SPINE» «SALITA Al CALVARIO» •FLAGELLAZIONE» NELLA VENEZIA DEL SETTECENTO CON il TIEPOLO CHIESA DI SANTA MARIA DEL ROSARIO (GESUATI) «GLORIA DI SAN DOMENICO» «ISTITUZIONE DEL ROSARIO» «APPARIZIONE DELIA VERGINE A SAN DOMENICO» «PALA DELLE TRE SANTE DOMENICANE» T Qui accanto «Apollo scortica Marsia» (penna e inchiostro acquarellato su tracce di grafite); a destra, il «Ratto d'Europa» (1720-22)

Luoghi citati: Delia, Europa, Fortezza, Gerusalemme, L'aquila, Madrid, Venezia