Le «verità di Brusca» alla prova di Capaci di Francesco Grignetti

IL f ©TOPROCUBMORI Le «verità di Brusca» alla prova eli Capaci ROMA. Nuovo appuntamento davanti a Giovanni Brusca, ieri, per i magistrati delle tre procure che sono alle prese con il caso di questo strano pentimento. I giudici si sono visti prima nella sede della Superprocura per un lungo vertice. Poi, dopo pranzo, si sono spostati in massa a Rebibbia per sentire la viva voce del «dichiarante». Un incontro-fiume. L'interrogatorio è finito alle nove di sera. Oggi si replica, mattina e pomeriggio. E si andrà avanti per giorni. Forse una settimana. Il fatto è che i giudici di Palermo, Firenze e Caltanissetta vogliono sciogliere al più presto l'enigma: Brusca va considerato un pentito o no? Ecco quindi una raffica di domande costruite ad arte per saggiare l'attendibilità del «dichiarante». Ma nessuna sul rapporto tra mafia e politica. Ed è ovvio. Siamo in una fase preliminare. Non basta un «giorno della verità» per accertare la genuinità di quello che Brusca racconta. E i giudici hanno scelto di partire da una vicenda che ormai conoscono a menadito: la fase esecutiva del¬ la strage di Capaci. Lì, su quella collinetta che dominava l'autostrada che porta dall'aeroporto a Palermo, Giovanni Brusca ha aspettato con il telecomando in mano. Ci sono molti pentiti che hanno raccontato come si svolsero i fatti. E ci sono risultati di indagini raffinate. Il terreno è insidioso per Brusca. I giudici conoscono bene l'argomento. Se risponderà in maniera reticente, o peggio, automaticamente si squalifica da sè. Ma naturalmemte non è solo Capaci l'argomento degli interrogatori. Si va a volo d'uccello su tutti i principali fatti di mafia degli ultimi anni. Di Brusca, delle risposte che ha dato, non si sa praticamente nulla. Solo che non si è autoaccusato di altri delitti rispetto a quanto detto negli incontri precedenti. Al vertice del mattino avevano partecipato i procuratori Giancarlo Caselli, Giovanni Tinebra e Pier Luigi Vigna. Padrone di casa, il procuratore aggiunto della Dna Piero Grasso. Ma non mancavano molti altri pm delle tre Procure. Tutti assieme per calibrare le domande del pomeriggio, ma anche per affrontare il problema del pentitismo che in questi giorni fa discutere il mondo politico e l'opinione pubblica. Non di solo Brusca s'è parlato, infatti. Anche il caso del catanese Ferone, il pentito che faceva il killer, è stato al centro della discussione. Alla fine, nessun commento. Non è passata invano la polemica sulla fuga di notizie degli ultimi giorni. Così si registra appena una battuta di Guido Lo Forte, procuratore aggiunto di Palermo, fermato con un piede già nella macchina: «E' stato un incontro utile e interessante». Ma intanto dice uno che se ne intende, il presidente della corte d'appello di Palermo, Alfonso Giordano, che presiedette il maxiprocesso del 1986: «Non esiste un fenomeno pentitismo in termini generali. Esiste la questione di tanti singoli pentiti e dell'attendibilità di ciascuno di essi. L'aumento vertiginoso degli ultimi anni comporta maggiori problemi per vagliare la loro attendibilità. Quanto al caso di un pentimento generale di tutti i capi della mafia, allora bisognerebbe cambiare la legge. Ma ritengo improbabile questa ipotesi». Intanto, nelle stesse ore in cui Giovanni Brusca iniziava a rispondere alle domande dei magistrati, assistito dall'avvocato Li Gotti, suo fratello Enzo Salvatore è ricomparso nelle gabbie dell'aula-bunker di Palermo. Messaggio inequivocabile: non si pente. Francesco Grignetti Primo interrogatorio del pool di giudici che in mattinata aveva preparato la linea d'azione Oggi il confronto prosegue In alto a sinistra. Giovanni Brusca Sopra, l'avvocato Vito Ganci, ex difensore del boss

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Firenze, Palermo, Roma