L'uomo che illudeva la Borsa di Zeni

S | Lupino che illudeva la Borsa Così lo giudica la «sua» Milano L'INGEGNERE E LA FINANZA S MILANO |U, all'ultimo piano di via Ciovassino, vista sui tetti della Scala, nelle stanze arredate da Renzo Mongiardino, l'architetto più amato dalla Milano bene, Carlo De Benedetti ha trascorso la sua prima notte da presidente dimissionario. Notte tranquilla, giura chi sa. Poi via di corsa dalla Milano degli (ex) trionfi e delle (attuali) delusioni, dalla Milano della Borsa che l'aveva eletto star indiscussa e che ora gli ha voltato le spalle. Via dalla Milano delle banche dove gli amici si sono rarefatti e i non amici sussurrano a voce sempre più alta: «Noi l'avevamo sempre detto». Via dalla Milano che a un certo punto della storia l'Ingegnere aveva eletto, se non a dimora prediletta, a proprio centro d'elezione. Più di Torino che per Carlo De Benedetti è casa, infanzia, studi, prime esperienze di lavoro nelio studio di zio Treves, villa iti collina, splendida, un po' più sotto villa Agnelli. Più di Ivrea che è l'Olivetti, l'avventura imprenditoriale, la scommessa che per un po' sembrava vinta e che poi è finita come è finita. Torino, Ivrea, amori scontati. Ma Milano, beh, Milano era il sogno; come dire, la sintesi ideale per chi, come lui, si professava imprenditore ma amava l'are il finanziere: Borsa, banche ma anche giornali, tutti qui, nella Milano della grande illusione che a cavallo degli Anni Ottanta sembrava l'ideale per far da trampolino all'uomo che in una generazione voleva fare quello che gli Agnelli avevano l'atto in tre. Se li ricordano bene quegli anni, gli uomini di piazza Affari. I Ventura, gli Albertini, i Fumagalli, i Milla. Tutti d'accordo: «Era lui, l'Ingegnere, il faro del listino». Bastava una sua mossa, un ordine passato da chi in quegli anni era la sua longa manus in Borsa - Giovanni Svetlich, Cesare Mozzi, Gaetano Speciale, per dirne alcuni - e zac, il passaparola era d'obbligo: «L'Ingegnere si muove su Pirelli» e tutti a scatenarsi sulle Pirelli. «Un fenomeno, non lo posso giudicare come uomo d'impresa, non me ne intendo, ma in finanza ha fatto miracoli, ha fatto guadagnare tanti», riconosce l'amministratore di Simcomit Maurizio Pinardi, 43 anni di Borsa, uno - dice - che qualche riserva sul Re Mida De Benedetti l'ha sempre avuta: «Io ho sempre puntato sull'investimento più che sulla speculazione». Ma allora, nei «magnifici» Anni Ottanta, anni di finanza, aumenti di capitale a go-go, scalate, raider, panino e listino, chi avrebbe osato sparare a zero sulla speculazione, motore (diceva uno che se ne intende, Francesco Micheli) del mercato? Altri tempi, certo. Tempi esagerati, anche, con le scatole cinesi, società marsupio che si moltiplicavano per fare da formidabile leva finanziaria negli aumenti di capitale: rastrellare mille mettendo di tasca propria meno di cento. Un'idea geniale, indispensabile a chi, almeno all'inizio, di grandi mezzi finanziari non ne possedeva tanti ma che, con il tempo, ha trasformato le illusioni in disillusioni. «In quegli anni De Benedetti era il cocco della Borsa - traduce Giuseppe Tura¬ ni, giornalista, autore di un libro sull'Ingegnere - movimentava il listino, viveva sul mercato, poi il mito si è appannato, le disavventure in Belgio, in Mondadori, la crisi dell'Olivetti l'hanno compromesso. Che dire? Per me De Benedetti era troppo moderno in un capitalismo troppo arretrato, chissà, forse in un capitalismo più avanzato l'avrebbero punito molto prima ma forse anche lui si sarebbe corretto». Ma no, ma no, dissente Paolo Panerai, editore di Milano finanza, gran conoscitore dell'Ingegnere («Lo seguo dal 1971, quando lo intervistai per Panorama», ricorda), oggi critico numero uno: «De Benedetti? Una grande promessa, una grande delusione». Ha cominciato a sbagliare, spiega, «quando si è convinto di essere il migliore, di fare più e meglio degli Agnelli, diceva di essere un pessimo finanziere e un buon industriale, peccato che fosse il contrario». Borsa ingrata. «Quando cadono gli dei, il popolo non perdona ma lui resta una figura importante, un protagonista», riassume il presidente di Euromobiliare, Alberto Milla, uno degli amici più vicini a De Benedetti, uno degli ratinai come Francesco Cingano, Leopoldo Pirelli, Giovanni Bazoli, Massimo Moratti, banchieri e uomini d'affari. E Borsa impietosa. «Un ex protagonista», corregge Francesco Taranto di Primegest: «Avrà anche vivacizzato il mercato ma l'ha fatto guardando soprattutto ai propri interessi». Pro e contro. «Normale», spiega Dino Franzin, antiquario, padrone di casa di uno dei salotti milanesi meglio frequentati: «De Benedetti non ha mai fatto molto per farsi amare». Niente prime alla Scala, niente salotti. Giusto qualche invito nell'attico di via Ciovassino, colazione con gli amici giornalisti, Rinaldi, Biagi, Bocca, Riva, qualche cinema con i figli Marco, Rodolfo e la moglie Emanuelle. E una frequentazione inattesa, a suo modo clamorosa, mai dichiarata, quella con il cardinale Martini. Poco amato, vero, da una certa Milano. Colpa, dice chi non vuol apparire, di un feeling mai nato e di qualche errore di troppo ai tempi, per esempio, della vicenda Mondadori, il lungo braccio di ferro con Berlusconi che divise e lacerò famiglie nobili, i Mondadori, i Formenton. «Nessun rancore, non fa parte del mio carattere», confessa oggi, più imbarazzato che altro, Luca Formenton: «Me lo ricordo bene Carlo De Benedetti quando, tanti anni fa, su Pm ammise "Sì, sono un capitalista e me ne vanto", suscitò tante speranze; peccato che non abbia mantenuto le promesse». Armando Zeni «Suscitò tante speranze, peccato non abbia mantenuto le promesse» «Il suo sbaglio? Credersi il migliore» Carlo De Benedetti Attilio Ventura