L'Ingegnere s'arrende: basta vado via
De Benedetti lascia il gruppo dopo 18 anni. La decisione al termine di una giornata drammatica De Benedetti lascia il gruppo dopo 18 anni. La decisione al termine di una giornata drammatica L'Ingegnere s'arrende: basili, vado via Perdite record, l'Olivettiguidata da un direttorio MILANO. «Ho deciso di presentare le mie dimissioni da presidente e membro del consiglio di amministrazione». Carlo De Benedetti, «dopo quasi vent'anni», si congeda così, quasi all'improvviso dalla «sua» Olivetti al termine di una giornata tempestosa, aperta con il bombardamento sui titoli in Borsa (più del 5% in meno, quasi l'8,7 in due giorni soli) e chiusa con uno stringato comunicato diffuso da Ivrea mentre l'Ingegnere consumava, assediato da fotografi e tv, la serata più amara nel quartier generale di via Ciovassino a Milano e i consiglieri, primo fra tutti Giorgio Garuzzo, sfilavano via in silenzio dal quartier generale della Cir. «Sono coerente ha proseguito - con l'affermazione da me fatta a valle dell'esito positivo dell'aumento di capitale concluso all'inizio di quest'anno». Da oggi al vertice di Ivrea c'è un comitato esecutivo composto dal presidente, l'avvocato Antonio Tesone (da sempre l'uomo di fiducia negli affari di famiglia), il fedelissimo Franco Girard e il figlio Rodolfo De Benedetti. Ma, accanto ai tre, segno di continuità, c'è anche Francesco Caio, l'uomo dei successi Omnitel, da luglio chiamato a proseguire a Ivrea l'opera di Corrado Passera. Caio, ex consulente Me Kinsey, non solo non ha avallato le scelte dell'ex pupillo dell'Ingegnere ma ha avviato nei mesi passati una sorta di «purga» generale ai piani alti del gruppo tagliando almeno otto teste tra i più stretti collaboratori della passata gestione. Infine, come confermano i conti semestrali presentati dalla società, Caio ha preteso che il gruppo affrontasse fin da subito il nodo dei costi per l'eventuale uscita dai personal computer. «Ho dichiarato a suo tempo - è il commento di De Benedetti - che se l'azienda non avesse raggiunto risultati economici positivi nel corso del 1996 ne avrei tratto quelle che a mio parere sono le coerenti conseguenze». E così la scelta delle dimissioni appare scontata dopo il bollettino di guerra avallato ieri sera dal consiglio: 440 miliardi di perdite nei primi sei mesi del '96. Una batosta che contrasta con tutte le previsioni (e le promesse) uscite nei mesi scorsi da Ivrea. Era possibile, a giudicare dalle attese degli analisti, prevedere i 90 miliardi di perdita prò quota per Omnitel, al termine dell'enorme sforzo per imporsi sul mercato dei telefonini; meno facile accettare i 147,9 miliardi di deficit nella gestione operativa (su un fatturato di 4224 miliardi). E, a questo punto, nemmeno De Benedetti ha avuto la forza di resistere alle pressioni degli azionisti, sempre più impazienti di risultati, soprattutto sul fronte dei personal computer. Di qui la scelta di Caio di spesare già nel corso dell'esercizio i 200 miliardi per «eventuali minusvalenze» legate alla vendita o alla chiusura della divisione personal computer. Ma queste spiegazioni rendono solo in parte conto dell'atmosfera di profondo sconcerto che regnava ieri sera al piano nobile della palazzina della Cir, nel cuore della City milanese. Perché De Benedetti, all'improvviso, ha accettato una strategia del tutto diversa per la «sua» Olivetti? Perché ieri, proprio ieri, ha deciso che la sua battaglia per pilotare il gruppo fuori dalla crisi fosse perduta? Questione di numeri? Non si direbbe perché, come protestava un suo stretto collaboratore «l'Ingegnere aveva ed ha la maggioranza del consiglio dalla sua ed è stato lui a decidere di andarsene». Ma perché andarsene? Certo non è stato facile affidare l'azienda anche a quel Caio con cui, negli ultimi giorni, ci sarebbero state liti furibonde («ed è uno - sibila un alto dirigente che a De Benedetti deve proprio tutto...») e che può prendersi il lusso di esprimere, con gran diplomazia «tutta la riconoscenza per la grande fiducia accordatami prima in Omnitel e poi in Olivetti». L'impressione è che De Benedetti abbia alzato bandiera bianca per almeno due ragioni. L'ostilità dei mercati, innanzitutto, che mal avrebbero digerito la liquidazione di Caio a due mesi dall'uscita di scena di Corrado Passera. Ma, più della Borsa, può aver pesato la sfiducia in famiglia, ove Rodolfo non è sembrato insensibile alle critiche di Caio. E, da grande protagonista, l'Ingegnere deve aver capito che l'ora del commiato era arrivata. Nel comitato esecutivo sono entrati il figlio Rodolfo, Caio e Franco Girard Antonio Tesone è il nuovo presidente avuto la forza di resistere alle pressioni degli azionisti, sempre più impazienti di risultati, soprattutto sul fronte dei personal computer. Di qui la scelta di Caio di spesare già nel corso dell'esercizio i 200 miliardi per «eventuali minusvalenze» legate alla vendita o alla chiusura della divisione personal computer. Ma queste spiegazioni rendono solo in parte conto dell'atmosfera di profondo sconcerto che regnava ieri sera al piano nobile della palazzina della Cir, nel cuore della City milanese. Perché capito che lora del commiato era arrivata. Nel comitato esecutivo sono entrati il figlio Rodolfo, Caio e Franco Girard Antonio Tesone è il nuovo presidente Sopra Francesco Caio A sinistra Carlo De Benedetti Sopra Francesco Caio A sinistra Carlo De Benedetti
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