Quando l'Italia era in trincea di Filippo Ceccarelli

E FEBBRAIO'91 UN SECOLO FA Quando l'Italia era in trincea Paradossi e follie della stagione del Golfo E ROMA contro il possibile terrorismo iracheno, nel gennaio del 1991, un secolo fa, Citaristi chiedeva protezione per l'ufficio amministrativo della de. Cirino Pomicino calcolava le spese della missione italiana (80 miliardi al giorno). Umberto Bossi, pacifista assai, suggeriva una speciale forma di autonomia amministrativa del Kuwait «nell'ambito della sovranità irachena». Il manifesto invitava alla diserzione. E l'onorevole Cicciolina, che alla Camera s'era sbagliata a votare a favore dell'«operazione di polizia internazionale», cominciò a fare lo sciopero della fame... Voci della memoria, «Viva il Kuwait libero!»: lo grida rauco Antonello Trombadori. «E' un'avventura senza ritorno»: questo è Giovanni Paolo II. «Una guerra atta a risolvere i problemi», il professor Sartori. «Altro che guerra chirurgica! A questo punto Bush è costretto a scatenare la guerra totale», Massimo Cacciari. «La Terza guerra mondiale», Giampaolo Pansa. «L'annichilimento di Saddam Hussein - così la profezia di uno straripante De Michelis - è l'annichilimento del pds». «Stiamo vivendo - aveva del resto già annunciato Alba Parietti prima dell'attacco - l'ultima domenica di pace»... t?j i. j i. _ Ed è davvero strano anche soltanto ricordare l'Italia politica ai tempi dell'altra guerra. Andreotti non la voleva fare, ma dovette farla. Occhetto non voleva esagerare con il pacifismo, ma dovette esagerare. Craxi non si capiva bene cosa avesse in testa. Il senatore craxiano Calvi, in compenso, si era offerto agli iracheni al posto degli ostaggi e subito, da Montecitorio, s'era pensato di fargli uno scherzo: «Pronto, qui ambasciata de Iraq: noi molto interessati proposta senatore, presto mandare automobile prelevarlo...». Perché rivista a quasi sei anni di distanza, in quella guerra si rise e si pianse, si pregò anche, si • _x j; _i —: ebbe paura, si sperò di «partecipare alla ricostruzione» - che poi non si partecipò per niente - ma soprattutto ci si confuse un po' tutti. E dopo lo psicodramma, i protagonisti della vita pubblica e forse anche un sacco di italiani non furono più - come si dice in questi casi - gli stessi. Secondo quale logica, d'altra parte, valutare il comportamento dell'ammiraglio Buracchia che, dirigendosi con una nave armata nel Golfo, confidava a Famiglia Cristiana che «la guerra si sarebbe potuta evitare con un po' più di saggezza»? E perché, dopo essersela presa con il professor De Felice, i pacifisti («lupi vestiti d'agnelli», secondo „ 11* : i .. — * :— Colletti) a un certo punto smisero quasi di colpo di manifestare? Chi si rammenta delle «donne in nero»? «La guerra - commentava Bruno Vespa - l'ha fatta la comunità internazionale. E se noi vogliamo essere iscritti al club dobbiamo pagare le quote». Uno scornicino, però, anche solo di coscienza era difficile da non chiedere. Il più contrario era certamente il Papa. Una domenica D'Alema e Veltroni se ne andarono a piazza San Pietro con le figliole sulle spalle a sentire l'Angelus, con il che inaugurando un effimero fenomeno dal nome «papismo», che partiva dai post-comunisti ed arrivava a Sbardella I ,. „i cv, K.w,, e al Sabato. Fu guerra spettacolo, comunque, guerra miracolo, soprattutto per un nugolo di videogenici strateghi come il generale Caligaris, che lo si vedeva sempre, appena svegliati e prima di andare a nanna. Una guerra così televisiva che alla fine alcuni soldati iracheni si arresero a una troupe del Tg3 (che Giorgio La Malfa definì «una caricatura di Bertolt Brecht»). Ma gli scoop - fregò tutti sull'offensiva americana e sul primo missile su Tel Aviv - li faceva Emilio Fede, che pure dava il meglio di sé nelle relazioni con i parenti di Bellini e Gocciolone (del quale, più tardi, si poterono ammirare le foto del matrimonio). «Lo sa lei - chiedeva Santalmassi al Cossiga in piena fase picconatoria - lo sa che su un muro hanno scritto: "Gocciolone boia"?». E al frementissimo Cossiga, come riflesso e tic d'ira inaudita, grrrrr, saltava su il lembo sinistro del labbro superiore. Il Presidente della Repubblica, grande esperto di cose militari, seguiva le operazioni in una specie di meravigliosa stanza piena di macchine, carte e bandierine. Però non la si poteva chiamare «sala comando» perché lui era offesissimo con il governo che, sulla base dei risultati di una certa «Commissione Paladin», non gli aveva ancora formalizzato che in caso di guerra, appunto, lui non comandava pressoché nulla. Anche Cossiga, comunque, come tutti gli italiani, era piuttosto confuso. Come Presidente e cittadino era a favore della guerra, come cattolico non lo era affatto e così, dopo aver anche pensato alle dimissioni - come gli capitava spesso a quei tempi - prese a male parole un giornalista inglese che aveva espresso qualche dubbio sulla quantità del contributo militare italiano. Quelli con le idee troppo chiare, d'altra parte, non si potevano quasi frequentare. Se ne accorsero per primi gli immigrati extracomunitari maghrebini, improvvisamente guardati troppo bene e troppo male. Crollo del turismo: pochissimi viaggiavano. Diminuzione delle chiamate al 113. I negozi alimentari presi d'assalto, Formica alle prese con i soliti numeri verdi. Si vendette qualche maschera anti-gas, di quelle usate in agricoltura. I bambini chiamavano il telefono azzurro per paura delle bombe. E per qualche misteriosa ragione, certo legata a quel conflitto remoto e virtuale, almeno a Roma e a Napoli il traffico riacquistò un volto umano. Filippo Ceccarelli

Luoghi citati: Iraq, Italia, Kuwait, Napoli, Roma, Tel Aviv