«Le cosche progettavano un attentato a Maniero» di R. Cri.

u «Le cosche progettavano un attentato a Maniero» — INDRO MONTANELLI «Come liberarsi dei pentiti» PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Giovanni Brusca conosceva minuziosamente le carte delle inchieste contro di lui, le rivelazioni degli altri pentiti, e soprattutto i punti di forza e di debolezza delle accuse in relazione a vari episodi criminosi. Lo sospettano i magistrati di Palermo, Caltanissetta e Firenze che lo stanno interrogando. Scaltro, accorto, Brusca si sta districando tra le carte processuali che l'inchiodano alle sue responsabilità. Nei casi in cui è accusato da più pentiti e con numerosi riscontri già trovati, sarebbe stato in sostanza quasi costretto ad ammettere la sua responsabilità, in altri casi in cui contro di lui vi sono le dichiarazioni di un solo pentito, o quelle di più collaboratori che conoscono soltanto una «fetta» dell'azione delittuosa, avrebbe completato il racconto escludendo o minimizzando la propria responsabilità. Da domani Giovanni Brusca tornerà a essere interrogato dai tre procuratori di Palermo, Caltanissetta e Firenze, rispettivamente Gian Carlo Caselli, Giovanni Tinebra e Pierluigi Vigna, che hanno già raccolto le sue prime dichiarazioni dopo la cattura nel maggio scorso in una villa-covo sul mare ad Agrigento. E' quasi certo pertanto che oggi Brusca non si farà vedere nell'aula-bunker dell'Ucciardone dove, dopo la pausa estiva, riprende stamattina il processo «Agrigento più 56», in cui assieme a lui sono imputati fra gli altri l'anziano padre Bernardo, il «patriarca» della mafia di San Giuseppe Jato, e cinque altri loro parenti. Un po' tutti danno per scontato che Giovanni Brusca, il boss sul quale sono puntati i riflettori da quando dal riserbo degli inquirenti è schizzata la notizia del suo pentimento (smentita però da Caselli e dagli altri che lo definiscono un «dichiarante»), preferisce tenersi lontano dalla Sicilia. La sua presenza in aula, tuttavia, potrebbe essere sollecitata dai difensori di alcuni imputati. Brusca al sicuro a Roma o in altra località segreta dunque da domani nuovamente faccia a faccia con Caselli e gli altri due procuratori. Cambierà strategia oppure, come sembra abbia fatto finora, continuerà ad ammettere di volta in volta le contestazioni che gli sono rivolte da più pentiti, respingendo però quelle sostenute da un solo pentito? Una tattica intelligente, anche se lascia intendere la sua perfetta conoscenza dei verbali. Ed è lecito domandarsi se ciò sia in qualche modo possibile. I tre procuratori su questo non aprono bocca, ma è largamente prevedibile che da domani chiederanno al boss se la sua autodifesa intervallata da varie ammissioni di responsabilità possa veramente assumere la dimensione di un autentico pentimento, con tutto quel che ciò comporta a cominciare dall'ammissione di Brusca nel programma di protezione riservato ai collaboratori della giustizia. Un inserimento smentito ancora giorni IL CASO LA DENUNCIA DI UN OIUDI€E u VENEZIA N progetto allo studio delle cosche mafiose per uccidere Felice Maniero, e probabilmente anche i poliziotti che lo scortavano, è stato scoperto pochi mesi fa degli investigatori veneziani che gestivano la protezione dell'ex boss della malavita del Brenta. Il pm Antonio Fojadelli, della procura distrettuale antimafia, ha confermato ieri che si trattava di segnali «generici» riguardo a un possibile attentato, dei quali però la Dda veneziana «ha tenuto conto», informandone la Direzione nazionale antimafia e il Servizio centrale di protezione. A inviare questi «segnali» sarebbero stati alcuni pentiti «locali», appartenenti cioè alla stessa mala del Brenta; contemporaneamente, però, la questura di Venezia aveva accertato la presenza in Veneto di personaggi legati a cosche mafiose siciliane, le stesse con cui era in contatto l'organizzazione di Maniero, che pare cercassero di scoprire il luogo dove il boss del Brenta era nascosto. Fojadelli non ha confermato, inve- ce, l'ipotesi secondo la quale l'attentato a Maniero avrebbe potuto essere messo in atto con un'auto-bomba. Le informazioni sul progetto omicida sarebbero state raccolte dalla questura veneziana all'inizio dell'estate, quando Maniero era ancora nel nascondiglio (poi scoperto e presto abbandonato) a Castagnole di Paese, nel Trevigiano. La possibilità di un attentato a Maniero, a ogni modo, rende ancora più inspiegabile, secondo Fojadelli, la decisione di revocare la protezione all'ex boss, assunta nei giorni scorsi dalla commissione centrale del Servizio di protezione, dopo le segnalazioni sulla vita non proprio riservata condotta da «faccia d'angelo». Fojadelli ha sottolineato che se la procura distrettuale antimafia di Venezia aveva chiesto il mantenimento della protezione a Maniero e alla sua fami¬ glia «c'erano ragioni che suggerivano, consigliavano e, per parte nostra, imponevano il mantenimento di queste misure». Il magistrato ha infine confermato che è intenzione della procura distrettuale antimafia di Venezia chiedere alla commissione centrale del Servizio di protezione di rivedere la propria decisione in merito a Maniero. Anche i familiari dell'ex boss hanno appreso con stupore la notizia della revoca del programma di protezione. La mamma Lucia Carrain, 66 anni, e il figlio Alessandro, 16 anni, hanno annunciato nei giorni scorsi di voler rinunciare anche loro alla scorta per restare vicino al loro Felix. «Lasciano mio figlio da solo? E allora anch'io rinuncio al programma di protezione», ha detto la mamma. Anche una seconda figlia ventenne di Maniero aveva a suo tempo rinunciato allo stesso programma, in dissenso con la scelta del pentimento fatta dal padre. Il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Vittorio Borraccetti, ha criticato il metodo della commissione che non ha chiesto il parere alla Dna. «Il regolamento di attuazione della legge sulla protezione dei pentiti - ha detto - prevede che prima di decidere sulla revoca il ministero, o meglio la commissione prevista dalla legge, senta il procuratore distrettuale e il procuratore nazionale antimafia. In questo caso non mi risulta che siano stati sentiti né il primo né il secondo». [r. cri.] DALIA PRIMA PAGINA IL GIOCO DELLE PARTI in generale, avrebbero finito per sospendere chissà fino a quando il compimento dell'integrazione monetaria. Fin qui, dunque, il vertice franco-tedesco ha confermato il vicolo cielo nel quale l'Europa si è cacciata definendo un percorso di unificazione monetaria che, in cambio di una speranza di sviluppo e di benessere non si sa quanto fondata, infligge nell'immediato stagnazione, disoccupazione, sperequazioni distributive e molte altre mortificazioni dei principi sui quali l'intera cultura umanitaria dell'Europa occidentale è fondata. Ma c'è un altro vicolo cieco nel quale i due Paesi avvertono di essere intrappolati. Il corollario della scelta obbligata di tener duro sui parametri e sul calendario fissati dai trattati è che fin d'ora si dimostri di prevedere - anzi, di dare per scontato - che vi saranno Paesi destinati, almeno inizialmente, a rimanere fuori dalla unificazione monetaria. Ciò è necessario sia per rafforzare all'interno la valenza pedagogica delle misure di bilancio necessarie per rispettare parametri e tempi, sia per assicurare ai mercati finanziari che la nuova moneta unica non subirà inquinamenti che possano renderla meno affidabile di ciascuna di quelle che sostituirà. Ma questa logica genera, diretto ed angosciante, il problema di cosa faranno i Paesi «esclusi», i quali potranno diventare potenziali rìden in grado di conquistare i mercati a colpi di svalutazioni. La Francia, in particolare, ha duramente pagato il tracollo valutario della lira; ora, ovviamente, si sta un po' riprendendo, ma l'incubo è rimasto. Nel tentativo di risolvere il dilemma, al vertice franco-tedesco si è affacciato un paradosso; l'intenzione, cioè, di imporre a chi rimarrà fuori l'obbligo di un cambio fisso, o quasi, rispetto alla moneta unica, senza alcuna possibilità che possa mai essere svalutato. Ma, se questo cambio fosse travolto dal mercato, cosa accadrebbe? E se dovesse essere difeso per sempre ed a qualsiasi condizione, quale sarebbe la differenza rispetto alla moneta unica? E se differenza non ci fosse, perché non ammettere anche gli «esclusi»? Questo per dire che oggi sul futuro della moneta unica prevalgono, di necessità, la diplomazia, la pretattica, i giochi delle parti. Le vere e definitive decisioni si prenderanno solo all'ultimo; e saranno comunque decisioni di buonsenso politico, che l'elasticità intetpretativa prevista dagli stessi trattati potrà comunque avallare. Alfredo Recanatesi «E' un'assurdità togliergli ora il programma di protezione» MILANO. Una sorta di città del crimine, dove chiudere i pentiti e le loro famiglie - circa seimila persone mantenute dallo Stato - garantendo loro tutte le libertà tranne quella di uscire. E', scherzando, l'«idea improponibile» che Montanelli ha suggerito ieri dalle pagine del Corriere della Sera, commentando l'uso che i pentiti fanno dei benefici di legge. «Che facciamo di questo materiale da fogna?» si chiede. «Revocargli i benefici significa mandare al macero tutte le ricostruzioni che le varie Procure hanno basato sul pentitismo. Quanto a Brusca e al suo avvocato Ganci, «una simile operazione, che presuppone una regia di ferro, era in grado di compierla la mafia d'antan», non certo quegli «spurghi che l'hanno trasformata in un'armata Brancaleone». [r. cri.]