I MUSICISTI SI RACCONTANO E LA LETTERATURA FA BLOB di Enzo Bettiza

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Enzo Bettiza MO appena finito di leggere Nel ventre della balena (Bompiani 1996), una raccolta di saggi e di veloci narrazioni autobiografiche scritti da George Orwell fra il 1930 e gli ultimi Anni 40. Orwell morì nel 1950, dopo aver consegnato alla letteratura europea del Novecento i due capolavori La fattoria degli animali e 1984. Dico letteratura europea perché Orwell, come dimostrano questi suoi saggi così lucidi e disincantati, è stato uno scrittore a due dimensioni: una stilisticamente britannica, secca e avara di aggettivi; l'altra ideologicamente «continentale», volta a indagare con sensibilità tutta europea i problemi, le atrocità e le menzogne dei totalitarismi novecenteschi. Insomma, scrive da inglese, ma arriva con lo sguardo là dove nessuno degli inglesi della sua generazione è mai arrivato. E' qui il fascino dei saggi orwelliani, laboratorio in cui ritroviamo allo stato puro gli ingredienti di base dei due maggiori romanzi allegorici del grande scrittore. UANDO comincio un romanzo non so mai se potrò finirlo. Non ho un piano di lavoro, non so nemmeno come sarà la storia fino a quando non compaiono i personaggi e non me lo rivelano. Il mio primo libro aveva avuto una buona accoglienza e Marcelo Goya si era dato da fare perché mi intervistassero e apparissi in televisione. Per una ragione o per l'altra, quel genere di vita non mi piaceva. Meglio: mi sembrava di stare al gioco di un'epoca miserabile. Il romanzo che avevo pubblicato parlava di una ragazza che se n'andava in giro per Buenos Aires sotto la pioggia durante i quattro giorni che durò la Revolución Libertadora e incontrava un sacco di personaggi stravaganti. Ma era un'illusione. La gente è molto più banale. Quelli che incontri per strada hanno un aspetto da colpevoli e in generale lo sono anche se non sembra che se ne lamentino né che si pentano di nulla. Lungo il cammino incontro anche donne, ma quasi tutte sono accompagnate, sorvegliate e contente di esserlo. Se poi osservi con attenzione i mariti e i figli scompare ogni illusione sul genere umano. Può sembrare che io sia pessimista, lo so, per questo ho lasciato perdere la Guida alle passioni argentine e mi sono messo a scrivere di fanta- sia. Sto creando il rompicapo parola per parola, pieno di paure e di cattivi presagi. Lavoro in alberghi e in capanne, in casupole abbandonate delle estancias, sempre lontano dalla gente. Non mi rado, non perdo tempo a farmi da mangiare. Mi lavo alle stazioni di servizio e di tanto in tanto mi fermo in qualche paese e mi sistemo in un albergo. Non ho nessuno con cui parlare, ma non ne sento neppure il rimpianto. A volte penso a Lucas Rosenthal, un mio amico attore che era tornato dall'esilio dopo aver avuto grande successo nei teatri di Spagna. Anche se ha qualche anno più di me e se l'ho conosciuto cercando di soffiargli una ragazza, ha finito per affezionarsi e ogni tanto, quando stava a Buenos Aires, mi telefonava perché gli facessi compagnia in qualche bevuta dopo lo spettacolo. La disputa per la ragazza l'aveva vinta lui, ma non aveva saputo farla restare con sé e ci trovavamo di notte per lamentarci e per parlare di progetti che poi non portavamo mai avanti. Avrebbe voluto che scrivessi un monologo per una tournée a Madrid, ma al terzo o al quarto whisky tornavamo alla ragazza perduta, facevamo divagazioni sull'amore e sull'inferno, cominciavamo a ridere e lui diceva che sarebbe stato meglio scrivere un tango e andare in giro a cantarlo seguendo le orme di Gardel e di Razzano. A volte, dopo aver telefonato alla casa editrice, compongo il suo numero e gli lascio un messaggio sulla segreteria, gli domando chi dei due dovrebbe fare la parte di Gardel nel nostro giro o gli leggo un brano di quello che ho appena scritto. Ma gli dico subito la verità: non gli telefono a un'ora in cui potrei trovarlo perché non me la sento di parlare con nessuno, neppure con lui. Se il tempo è buono preferisco rimanere in macchina e lavorare sul sedile posteriore con il Macintosh. Non c'è più la pagina bianca. La paura è sempre lì, ma il foglio non c'è più. Se quando comincio non mi ven¬ gono subito un paio di righe accettabili accendo una sigaretta, faccio disegni con un pennarello sui vetri della macchina e apro l'archivio in cui c'è la foto di Laura che sorride dalla copertina di «Radiolandia». Credo che le distrazioni mi aiutino a farmi un'idea di come sarà il romanzo. Adesso è sera: taglierò qualche fetta di salame e stapperò una bottiglia di vino. Forse dovrò andare a sparare qualche colpo per poter donnire. Lo faccio da quando l'ho letto in Celine che a sua volta l'aveva preso da una contessa italiana. Ogni volta che la soffe¬ renza diventava insopportabile, ' ì signora usciva nel giardino del suo chàteau e ordinava alle guardie di sparare in aria una salva di fucile. Quando l'otorino mi aveva tolto ogni speranza, avevo consultato uno di quei medici new age che usano erbe, fiori di Bach, omeopatia, agopuntura e preghiere agli angeli. Il dottor Destouches aveva lo studio in calle Santa Fe vicino al Botànico, a due isolati dall'edificio in cui aveva abitato Laura. Mi ricevette standosene seduto dietro una scrivania di mogano che poteva essere appartenuta I MUSICISTI SI RACCONTANO E LA LETTERATURA EA BLOB PANTA MUSICA a cura di Enrico Ghezzi Bompiani pp. 421 L 26.000 PANTA MUSICA a cura di Enrico Ghezzi Bompiani pp. 421 L 26.000 I annuncia una grande «rentrée» dei nostri cantautori e la rivista Panta dedica alla musica il suo ultimo numero: un numero spesso e appetitoso che obbliga il lettore a superare una serie di prove. Come capita all'eroe della fiaba. Vuoi sposare la principessa? Allora sconfiggi questo drago, scappa da questa grotta, passa questa foresta, supera questo burrone. Altrimenti niente. Anzi: peggio per te. Un colpo d'occhio al sommario e la prima impressione è quella di ricchezza, di generosità: Theodor W. Adorno, John Cage, Patti Smith, Frank Zappa, Glenn Could! Ma qui ci sono proprio tutti, viene da dire. Allora, d'istinto, si va a cercare nella presentazione del curatore Enrico Ghezzi un principio, una traccia, un'idea ordinatrice. E, naturalmente, non la troviamo. Ghezzi, come si sa, anche per iscritto è fuori sincrono. d pPesca detriti di frasi qua e là, li ordina secondo l'unico criterio della successione tipografica, vive la sintassi come una mistificazione e insegue non già le idee e i significati, bensì le loro risonanze estreme, alla soglia dell'udibile. Prima Prova per il lettore. Facile da superare: sarebbe un errore incepparsi qui. Procediamo. Leggiamo direttamente i testi. Subito ci sorbiamo una composizione in versi di Hermann Abendroth, inedita finora. Sulla Quinta Sinfonia di Bruckner. Ma al passo successivo ecco balugi¬ nare l'intelligenza: una recensione di Adorno del '67 al Don Giovanni. Poi via via: una cosa incomprensibile, un'altra carina, una assai curiosa, una molto stupida, ima decisamente bella, una insopportabilmente presuntuosa... Così, saltabeccando a caso. D'altra parte qui l'ordine alfabetico serve solo a preservare il disordine (Eno, Faithfull, Fiori, Furtwàngler...), seguirlo o non seguirlo non fa differenza. Eppure la mente del lettore vorrebbe percepire un criterio di composi¬ zione, vorrebbe capire perché sono stati raccolti questi testi, in base a cosa. Bene, la mente del lettore sbaglia. Questa è la Seconda Prova. Vale come un koan Zen. Se ci si chiede perché, non si va avanti. Se si va avanti, non si chiede perché. La Terza Prova arriva subito. Non ci chiediamo più perché siano presenti certi autori, ma perché allora non ce ne siano anche altri. Perché Battiate sì e De Andre no? Perché Lacy e non Surman? Bussotti e non anche Corghi? La risposta è facile, implicita nelle cose: includere significa al tempo stesso escludere. Questo è scegliere. L'Ultima Prova consiste nel tentativo di trovare una via d'accesso ai testi partendo dalle schede in fondo al volume. Si tratta dei profili degli autori dei testi. Sono molto disomogenee. Spesso propongono una succinta discografia quasi sempre privilegiando, dell'artista, la sua prima fase creativa. C'è im po' di incuria nelle date. Però è qui che scatta la molla. E' attraverso queste schede che risaliamo ai testi, ormai pacificati con l'essenza caotica del volume, e finalmente ce lo godiamo. E con una sorprésa molto piacevole. D'accordo, il tema della raccolta è la musica, ma i testi più belli, più intensi e vivi sono racconti. E sono belli, intensi e vivi in quanto racconti. E' un libro di racconti, questo. La musica lo attraversa, ma non lo esaurisce, la musica fa da sottofondo, da rumore, da pretesto, da contesto. Accompagna. Distrae. Quello che il lettore ha per le mani, superate le Prove, è una raccolta di racconti e cose varie. Tra le cose varie ci sono molte sciocchezze e alcune cose intelligenti, ma i racconti sono la vera spina dorsale del volume. Anderson, Bell, Chadbourne (ottimo), Chailly, Cohen (un'occasione per fare la conoscenza del Cohen narratore), Gainsbourg, Gillespie, Hirsch, Kazuko Hohki, Lydon, Art Pepper (durissimo), Iggy Pop, Townshend (struggente), Willner (diario di come si costruisce una colonna sonora per Altman), Wilson. Se noi scrittori sapessimo fare musica come questi musicisti sanno raccontare, ci sarebbero in giro molti Cd di buona musica intitolati «Letteratura». Dario Voltolini al general Mansilla o a un altro bon vivant del secolo scorso, e vedendo la sua faccia dall'infinita serenità mi dissi: «Questo qui mi guarisce». Trasmetteva un senso di pace con i suoi occhi di un celeste trasparente, i capelli bianchi, le mani dalle unghie lucide che poggiavano su una cartella di pelle. Tutto in lui era maestoso. Non mi domandò che cosa stesse succedendo ma che cosa mi avesse condotto fino a lui e subito dopo già gli stavo raccontando la mia vita. Sulla scrivania non c'era nulla, non un solo segnale che potesse farmi immaginare che cosa gli interessasse, quali film andasse a vedere, che cosa avesse fatto all'epoca dei militari. Non c'era nemmeno lo stetoscopio né un lettino su cui potesse visitare i pazienti. Avrebbe potuto prescrivermi pasticche di menta che avrebbero avuto un effetto immediato, ma mi parlò a lungo di una piantina che lontano nei tempi era stata grande come un rovere fino a che le avversità, i venti e il diluvio universale l'avevano incalzata e costretta a diventare piccola per poter sopravvivere. Naturalmente, con tutto quello che aveva dovuto affrontare non era la stessa di prima, ma il dottor Destouches era convinto che mi avrebbe guarito e mi invitò a passare in un vivaio e darle un'occhiata e a parlare con lei. Non so perché, ma sentendogli dire quelle parole capii che l'incantesimo si era rotto. Non gli dissi nulla per non ferirlo: mi aveva dipinto il paradiso e io glielo avevo comperato. Tutto era andato bene fino a quando non aveva introdotto un elemento inverosimile e non aveva così rovinato tutto. Insomma, che differenza c'è tra il dottor Destouches e uno scrittore? In sostanza, nessuna. Una buona narrazione arriva fino all'anima e lascia un segno. Se non è buona suscita soltanto indifferenza. Forse la piantina mi avrebbe guarito, ma non riuscii ad avere fiducia in lei perché non la sentii credibile, non l'accettai nel quadro di quella storia. Osvaldo Soriano

Luoghi citati: Buenos Aires, Madrid, Santa Fe, Spagna