De Gregori, un poeta da contropiede

De Gregori, un poeta da contropiede Domani nei negozi (a 35 mila lire, senza aumento) «Prendere e lasciare», con 11 nuovi brani De Gregori, un poeta da contropiede Nel suo album allegorie e malinconie fuori del tempo ROMA. Domineddio protegga Francesco De Gregori. Che non va (come tutti i cantautori) a Venezia, e che non scrive (come tutti i cantautori) colonne sonore. Che (a differenza di tutti i cantautori) sceglie il vezzo estremo di non farsi notare, e mette uno spento mazzo di rose invece che un proprio - magari pregevole - nudo nella copertina dell'album «Prendere e lasciare», da domani nei negozi a circa 35 mila lire, cioè senza aumento. Domineddio lo protegga, e perdoni, anche per il suo carattere un poco introverso e altero che cela (non a torto) un'altissima coscienza di sé, l'orgoglio di esser diverso da tutti. Diverso fors'anche in quest'occasione assai attesa, che ci fa ritrovare con piacere un vecchio spe¬ cialista in contropiede. Già, un contropiede che neanche Schiaffino, l'uruguayano dal piede d'oro. L'ultimo album di Francesco s'intitolava «Canzoni d'amore», ma poi vi si raccontavano con rabbia sublimata le cronache sfuggenti dell'epoca di Tangentopoli. Questo «Prendere e lasciare» farebbe pensare a chissà quali metafore sull'era dell'Ulivo, ed ecco invece che se ne sta sospeso fuori dal tempo, in un'atmosfera spesso romantica, segnata di allegorie e malinconie, tra una filastrocca e una ballata, e perfino una poetica versione di «Stelutis Alpinis», tradizionale repertorio di montagna. Con il raro potere di evocazione che hanno spesso i testi di De Gregori, succede anche di restare incantati nel¬ l'ascolto: raramente capita di gustare delicatessen come «Rosa Rosae», e le prime note del disco hanno un fascino tutto dylaniano (nel senso proprio di «Like a Rolling Stone») quando raccontano il sogno d'un amore eterno: «Due buoni compagni di viaggio / Non dovrebbero lasciarsi mai». Il titolo «Fine di un killer», poi, cela un girotondo infantile dalla musica interattiva, ispirata alla tradizione folk e vieppiù aggraziata dall'organetto di Ambrogio Sparagna. Qui rime, musica e vocaboli trasfigurano la cronaca amara del quotidiano, e il brano ricorda certi lampi incantati del «Pescatore» di De André, tra sogno e coscienza, tra avventura e perdizione. Ma il De Gregori di «Prendere e lasciare» si muove liberamente su più filoni. Eccolo ad esempio divertisti a rielaborare il repertorio della musica italiana: in «Prendi questa mano zingara» ripesca il primo verso di una celebre canzone dei Sessanta di Iva Zanicchi, ma soltanto per iniziare un brano del suo stile più tipico, con la zingara metafora di incertezza sul futuro. E non sfugge a questo divertimento «Jazz», omaggio anche alla celeberrima «Sotto le steUe del jazz» di Paolo Conte: «Qualcuno avrebbe voluto occuparsi di jazz / Qualcuno l'avrebbe saputo perfino suonare quel jazz / Certamente non proprio benissimo / Ma quel tanto che basta e che fa / Che si dica: "Ha vissuto la vita sotto i colpi del jazz..."». Ma va da sé che De Gregori non è tipo da vivere di riporto: semplicemente ha fatto un disco di forte presenza sul mercato, di ben 11 canzoni, e lo spazio s'è potuto dilatare con suggestioni e ispirazioni senza frontiera. L'«Agnello di Dio», che ha aperto a Ferragosto sulle radio la campagna acquisti di «Prendere e lasciare», ci riporta il cantautore della vis polemica, dove gli agnelli sacrificali si identificano con l'umanità dolente e malavitosa che sta invadendo l'Italia; e «Battere e levare» è uno sguardo pietoso sulla nostra società senza più dèi: «Lo vedi siamo cani senza collare». «Prendere e lasciare» è registrato in California, con musicisti americani, ma non è un disco rock. E' un disco molto italiano e talvolta dylaniano, che riflette gli umori del nostro tempo. Come solo i poeti (anche se scontrosi) sanno fare. Marinella Venegoni I concerti: 16 settembre Montichiari, 18 Treviso, 20 Milano, 21 Torino, 23 Firenze, 24 Modena, 26 Sassari, 27 Cagliari, 28 Nuoro, 30 Roma, 1 ottobre Bari, 3 Napoli. il disco di Francesco De Gregori propone undici canzoni che uniscono vari filoni Anche se è registrato in California con musicisti americani l'album è molto italiano e riflette gli umori del nostro tempo