OLTRE LA LIRA La via di Maastricht è stretta per tutti di Alfredo Recanatesi

La via di Maastricht è stretta per tutti F OLTRE LA LIRA =1 La via di Maastricht è stretta per tutti leaders d'opinione, o almeno la maggior parte di essi, appena qualche settimana fa hanno criticato il governo per aver presentato un documento di programmazione economica che, per il prossimo anno, prevede ancora un disavanzo statale superiore al 3% del Pil, e dunque insufficiente per rispettare la relativa condizione formalmente posta per poter partecipare alla moneta unica. Di conseguenza, hanno accusato il governo, sul piano tecnico, per aver rinunciato a «condurre l'Italia in Europa» e, sul piano politico, per essere condizionato dalle divergenze interne di una maggioranza composita. In alternativa, continuavano a proporre una linea di drastici tagli, di contenimento dei salari, di riduzione dello Stato sociale, incuranti se questa terapia avesse ulteriormente depresso l'economia ed ulteriormente aumentato la disoccupazione. Questi stessi leaders d'opinione, a poche settimane di distanza, ora invocano l'esatto opposto: richiamano i governi, quello italiano e quelli degli altri Paesi, all'esigenza di mantenere il consenso delle popolazioni ed inclinano verso una revisione delle condizioni fissate per la partecipazione alla istituenda moneta unica, il che, detto fuori dai denti, significa auspicare un ampliamento dei disavanzi pubblici entro limiti più permissivi di quelli sanciti a Maastricht e comunque tali da non sacrificare ulteriormente le fin troppo sacrificate condizioni dell'economia reale. Quando Prodi disse che intendeva condurre in Europa «un Paese vi vo», fu bersagliato dalle criti che; ora le divergenze di opinione in materia sembrano essersi molto ridotte. Ciò nondimeno, così come era rischiosa l'astrattezza di chi considerava come un segno di debolezza dei governi anteporre le ragioni dell'economia reale al rispetto dei pedagogici e sai vifìci parametri di Maastricht, ora lo è altrettanto la tesi di su bordinare la tensione verso quei parametri al rilancio della domanda interna ed al sostegno dell'occupazione. Esponenti di governo, politici ed economisti avrebbero dovu to avvertire con ben maggiore tempestività che i sistemi capi talisti - anche quelli un po' sui generis come quello italiano - si reggono sui volumi attesi di reddito spendibile; che anni di restrizioni - della spesa pubbli ca, dei salari, del credito avrebbero non solo ridotto il reddito spendibile, ma anche indotto a spendere il meno pos sibile quello che comunque vie ne realizzato; che in tal modo sarebbero state create le pre messe per una crisi di produzio ne, di investimenti e di occupa zione molto maggiore di quella che i dati oggettivi e lo scenario internazionale possono giustifi care. Altre volte abbiamo descritto I questo meccanismo e il modo in 1 cui viene esaltato dalla concor renza dei Paesi emergenti nell'attrarre investimenti produttivi e, quindi, i posti di lavoro di nuova creazione. E sempre abbiamo sostenuto che una correzione della politica finora seguita avrebbe dovuto avvenire là dove questa politica era nata, cioè in sede europea. Questo non solo perché il problema è anche francese, tedesco, spagnolo, ma anche e soprattutto perché se questa politica si sta rivelando nefasta, ancor più lo sarebbe quella che non consentisse la partecipazione dell'Italia ad una moneta unica che si realizzasse nei tempi e nei modi previsti. Questo è il motivo per cui la ripresa del processo di sviluppo e di perequazione distributiva e la partecipazione al compimento dell'integrazione europea non sono tra loro alternative. Ancor prima delle ultime elezioni, di conseguenza, auspicammo che il governo che ne sarebbe uscito ponesse la questione nelle massime sedi europee, forte dell'aggiustamento che l'Italia ha comunque conseguito e della illogicità di un processo di integrazione che fosse percepito in termini negativi dalle condizioni economiche e sociali dei popoli. Da allora, l'evidenza del giudizio negativo da dare della politica economica figlia dei trattati di Maastricht si è dovunque accresciuta: a soffrirne sono anche Paesi come la Germania che da quella politica si ritenevano garantiti; l'Italia, per altro, è l'unico Paese che ha «tenuto» la rotta verso i parametri, mentre gli altri, pur essendone più vicini, se ne stanno allontanando; gli ambienti industriali e finanziari, in Italia e altrove, avvertono anch'essi la spirale nella quale i sistemi economici europei si stanno avvitando e si manifestano più favorevoli ad una iniziativa che restituisse all'unione monetaria la capacità di infondere fiducia e speranza anziché angoscia e timori per il futuro. Il governo italiano, anche per il credito internazionale delle persone che lo compongono, ha dunque titolo per prendere questa iniziativa e per coagulare attorno ad essa un consenso europeo vasto e radicato. Per contro, ogni iniziativa nazionale che non trovasse corrispondenza negli altri Paesi emarginerebbe l'Italia e produrrebbe danni più consistenti e più irreversibili di quelli, pur gravi, che la logica di Maastricht sta producendo. Purtroppo questo è un incastro dal quale non è possibile uscire; e per vederlo non era necessario cascarci dentro. Alfredo Recanatesi esij

Persone citate: Prodi

Luoghi citati: Europa, Germania, Italia