SAPESSI QUANTE SPESE INNAMORARSI A VARESE di Stefano Bartezzaghi

Pi l\ Pi l\ l\ Il fumetto di Chester Gould: l'idea gli venne nel 1931, lo stesso anno in cui l'invincibile Al Capone cadde nella trappola della giustizia Fino ad allora nessuna strip aveva mai mostrato un poliziotto lottare faccia a faccia a mano armata con i delinquenti: non mancò chi non graaì EL1931 Chester Gould, un disegnatore che aveva l'età del secolo e che durante le scuole superiori frequentate nella natale Pawnee, Oklahoma, aveva seguito un corso per corrispondenza di cartooning con qualche risultato, diventando dapprima cartoonist sportivo all'«Oklahoma City Daily Oklahoman», poi trasferendosi a Chicago, laureandosi alla Northwestern University e seguendo corsi serali al Chicago Art Institute, nonché lavorando poi al «Chicago American», ebbe un'idea destinata ad aver grandi conseguenze sulla sua carriera, anzi sulla sua vita. E' lui stesso a raccontare: «Quando il gangsterismo con i suoi assassini era in piena fioritura durante i giorni rossi del proibizionismo, la reazione più frequente sulle labbra dell'onesto cittadino disgustato dal crescere del potere della malavita era: "Perché non li prendiamo? Se io fossi un poliziotto, gli sparerei dritto al cuore. Non gli lascerei scampo". Insomma il sentimento più espresso era che ci fosse troppa burocrazia e la richiesta era di un'azione più diretta. Di qui l pqvenne nella primavera del 1931 l'ispirazione per Dick Tracy, simbolo della legge e dell'ordine che poteva far fuori la malavita come la malavita faceva fuori la polizia. Ma lui faceva di meglio, non solo sparava piombo rovente ma assestava anche cazzottoni alla mascella. Feci vedere i primi disegni di "Tracy" al capitano Joseph Medili Patterson del "Chicago Tribune-New York News Syndicate" nell'estate del 1931, proprio dopo che il nemico pubblico numero uno era stato spedito in una lunga luna di miele con Miss Giustizia nella lussuosa isola nota come Alcatraz. Il capitano Joseph Patterson espresse la propria fiducia in un possibile sviluppo di quell'idea, cominciando subito con il modificare il titolo della striscia da "Plainclothes Tracy" in "Dick Tracy", precisando la sequenza iniziale e suggerendo alcune caratteristiche che il nostro eroe doveva rispettare. E regalò all'autore il maggior brivido dei suoi trentun anni di vita, concludendo: "Bene, ci siamo. Adiamo avanti". Siamo andati avanti,..». Il capitano Joseph Patterson è un personaggio ricorrente in queste noterelle sui fumetti. Come editore aveva un gran fiuto nelle scelte di temi da trattare e di uomini che potevano disegnarli, ed era straordinariamente portato a interpretare la reazionarietà popolare. Non si lasciava mai scappare un'occasione per far proprie le storie altrui. Le sei strisce di «Tracy» che Chester Gould gli aveva proposto senza troppe speranze, ma nell'intento di arrotondare i suoi guadagni messi in difficoltà da un aumento di bocche da sfamare in famiglia, ritraevano in azione un poliziotto che non restava davvero indietro ai peggiori criminali per quanto riguardava la violenza, ma più volte h' superava per difendere il quieto vivere di una città. Un fumetto così duro e accidentato non poteva rassegnarsi a un titolo piatto come «Plainclothes Tracy». «Plainclo¬ thes» vuol dire agente in borghese. Non sarebbe stato meglio premettere al cognome «Tracy», che andava già bene, un nome proprio breve e scattante come «Dick»? Anche «Dick» voleva dire poliziotto sebbene non distinguesse tra in borghese o in divisa, no? E non stava bene con «Tracy» che, a sua volta, alludeva a tracce e ricercatore di tracce? Il 16 di giugno di quell'anno Al Capone, il nemico pubblico numero uno, l'invincibile, aveva compiuto il più grande errore che possa fare un delinquente. Ovvero credere nella lealtà dello Stato. Ufficiosamente figurava che i legali di Al Capone, imputato di enormi frodi, si erano messi in contatto con il Governo, suggerendo un accordo segreto, una condanna simbolica a un certo periodo di detenzione affiancata da una più che consistente condanna pecuniaria. In realtà, era stato invece il procuratore distrettuale Johnson, su ordini ricevuti da Washington, a prospettare una soluzione di compromesso, consistente in una condanna a due anni e mezzo in cambio di una dichiarazione di colpevolezza piuttosto che l'inevitabile rischio di uno stillicidio di processi con giurati passibili di intimidazioni e testi terrorizzati che potevano cambiare idea all'ultimo momento finendo col far assolvere Al Capone. Il criterio prudenziale della giustizia americana pareva quello di ottenere una sia pur modesta, ma sicura vittoria, piuttosto che andare incontro a un'ennesima sconfitta. Nell'attesa dell'evento Al Capone aveva dato un banchetto d'addio con il suo fasto abituale. Il banchetto aveva avuto luogo al New Florence Hotel e aveva registrato la presenza della crema e dei vassalli della malavita di Chicago: maneggioni degli ippodromi e dei ring pugilistici, esponenti dei circoli politici periferici e titolari di distillerie clandestine, tenutarie di casini e ri¬ Y rofunege cattatori di professione, sicari in cerca di contratti omicidi, ogni tipo di canaglie aveva partecipato a quella che sarebbe poi risultata l'effettiva ultima cena di Barabba. E lui, Al Capone, aveva bevuto con champagne di marca sino all'alba. Tutto pareva andare come si era deciso che andasse. Quel 16 giugno Al Capone si era riconosciuto colpevole, davanti al giudice Wilkerson, di tutti i cinquemila reati che gli venivano contestati tra infrazioni alle leggi protezionistiche ed evasioni fiscali, per i quali teoricamente avrebbe dovuto passare in carcere venticinquemOa anni, ed era stato rimandato a casa perché potesse riordinare i suoi affari prima della sentenza scontata. Ma il 30 luglio, quando era tornato in tribunale, si era trovato di fronte a un colpo di scena brutale. Era lì, vestito in modo che riteneva inappuntabile, tutto di Uno verde scuro, con pochette e scarpe bianche, e masticava contegnosamente il suo chewing-gum, quando si era sentito dire dal giudice Wilkerson: «Sentiremo le prove a carico! L'accusato sappia che con la giustizia non si fanno compromessi!». Al Capone aveva guardato con apprensione 0 suo avvocato Michael Aherne e tutt'e due avevano guardato con doppia apprensione il procuratore distrettuale Jo¬ hnson che aveva cominciato a sostenere la tesi che, se si raccomandava alla Corte la massima indulgenza, era con la piena approvazione del procuratore generale, del capo del reparto investigativo del fisco, e di uno dei sottosegretari al Tesoro. Il giudice Wilkerson aveva alzato la voce: «L'ammissione di colpevolezza equivale a una confessione totale! Questa Corte non è investita del potere di stabilire compromessi! Tale potere il Congresso lo consente ad altri organi governativi! La Corte può esigere che siano prodotte le prove!...». Era fatta, ormai. Il nemico pubblico numero uno era in trappola. Dal carcere non sarebbe più venuto fuori... Avventurandosi a Chicago nel mondo del dopo Al Capone, la creatura di carta e inchiostro di Chester Gould, che aveva la missione di non permettere che potesse esserci più un Al Capone, veniva a colmare una vistosa lacuna della cultura popolare. Su Al Capone in particolare, infatti, e sul gangsterismo in generale, letteratura e cinema imperversavano clamorosamente con romanzi, film e biografie, mentre il fumetto sino ad allora non aveva neppure sfiorato l'argomento. «Sino al 1931 nessuna strip aveva mai mostrato un pohziotto lottare faccia a faccia a mano armata con i delinquenti», ricorda con orgoglio Chester Gould nelle sue confessioni. «E questo particolare provocò diverse critiche da parte dei giornali potenziali acquirenti di "Dick Tracy". Tuttavia, in due anni ogni obiezione venne meno sino al punto che nacque almeno una mezza dozzina di strisce dello stesso genere. Noi abbiamo cercato di dipingere il nostro eroe nel modo più umano possibile, anche a costo di fargli fare qualcosa di sbagliato e di metterlo nei guai. Per questo motivo ogni tanto veniamo severamente rimproverati e il nostro detective viene considerato uno scemo, più scemo, scemissimo. Pazienza. L'importante è che finisca per cavarsela sempre al meglio...». Ma Chester Gould non si è accontentato di disegnarci un personaggio interessante. Con il suo crudele disegno ci ha offerto un sensazionale squarcio sul mondo della violenza americana. E' stato il Lombroso del gangsterismo. Oreste del Buono IOCARE C SAPESSI QUANTE SPESE INNAMORARSI A VARESE CiIOCARE COL TOPONIMO. Coi toponimi, si possono fare infiniti giochi. Il primo gioco è la ripetizio Ine. Conteggiare in quanti casi viene ripetuto lo stesso toponimo due volte. Un caso era quello (se la memoria non falla) già ridicolizzato da Renzo Arbore: «Di dove sei? Di Milano? Ma di Milano Milano». Non allude a Milano Due, ma alla possibilità che l'interlocutore sia un milanese improprio, che viene dalla provincia (si dice: «Milanese arioso»). Gli altri casi sono titoli di film, New York NewYork, Rimini, Rimini; o di libri: Hollywood Hollywood (di Bukowski). Anche ai toponimi si applicano formule lapalissiane come: «Parigi è sempre Parigi». GEMEUAGGK). Il secondo gioco abbina due toponimi, secondo vari criteri: titoli di film Trevico-Torìno, Palermo-Milano solo andata; appartenenza geografica: Paris, Texas, Milano, Italia; partite di cal¬ cio (Torino-Castel di Sangro è già, per i nemici del Torino, l'emblema beffardo della serie B); itinerari ciclistici: Liegi-Bastogne-Liegi. Gli abbinamenti con Milano possono produrre notevoli risultati coprolalia, già evidenziati da Petrolini (che del resto non mancò di accorgersi delle possibilità offerte dal nome Torino). TABH1INA. Costruire una tabellina con i nomi dei Comuni: Primolano (BL); San Secondo (TO e PR); Terzo di Aquileia (UD); Quarto Oggiaro (MI); Quinto Vercellese (VC); Sesto San Giovanni (MI); Settimo Vittone (TO); Valdottavo (LU), None (TO), Decimoputzu (CA). Spiega Pellegrini [Toponomastica italiana, Hoepli 1990) che questi sono casi in cui l'abitato corrispondeva a una certa pietra miliare. Per misure non stradali ma forse agrarie si trovano in Emilia, tutte più o meno vicine: Ducentola, Trecentola, Quarantola, Quingentuola, Ottantola, Nonantola, Cento. Altre buone cose riportate dal compassato Pelle¬ grini, alcuni «blasoni popolari» ovvero «maldicenze intercomunali» (come la famosa strofetta: «Veneziani, gran signori - Padovani, gran dotori - Vicentini, magna-gati - Veronesi, tuti mati - radicioni di Treviso - co Rovigo no me intrigo»). Infine, l'elenco dei paesi che hanno cambiato nomi per motivi di decenza: ad Ancona, Castelfidardo che si chiamava Castelficardo; a Varese, Cantello si chiamava Cazzonne; a Roma, Sacrofàno (incrocio fra sacro e profano?) si chiamava Scrofàno; a Brescia, Capovalle si chiamava Hano (così, con l'accs) TRAGITTI ANAGRAMMATìCI. PiacenzaVarese è l'anagramma di PescaraVenezia. Asti-Pescara è l'anagramma di Caserta-Pisa. Macerata-Napoli è l'anagramma di Palermo-Catania. DEFORMAZIONE. Una famosa satira blandamente antifascista diceva: «Ei non venne da Lodi per lodarvi, / ei non venne da Piacenza per piacervi, / ei venne da Predappio per P-CHATWIM'. ANATOMIA IffKeQUieTeZZÀ KiFccocr A CASA £ARf£eF SFILO <STAR«SFNF IN VACANZA TUTTO V ANNO- CHI tu TI CRFPI 71 FSSFRF IL CFKVFLIO 171 171 UTTO predarvi». La si legge in varie versioni, e la si può adattare a varie città e personaggi. Con Prodi, «ei viene da Reggio per reggervi» o più precisamente «ei viene da Scandiano per scandire». Sarà pura goliardia, ma viene da chiedersi se ci saranno mai dei presidenti del Consiglio provenienti da Lecco. SAPESSI COM'F STRANO. Marco Morello (Castiglione To) suggerisce di non giocare sempre e solo con il nome di Milano, e anzi di tacerlo: sapessi mai che pena, sentirsi in¬ namorati a Cesena sapessi che carino sentirsi innamorati a Torino sapessi quale inezia sentirsi innamorati a Venezia (vale anche per Lamezia, Pomezia, La Spezia). Chi crede che un bel gioco duri poco, può fermarsi qua. Tutti gli altri possono variare lo schema morelliano: sapessi che magone, sentirsi innamorati a Fresinone sapessi che vergogna, sentirsi innamorati a Bologna sapessi che esperienze, sentirsi innamorati a Firenze sapessi che sconquasso, sentirsi innamorati a Campobasso sapessi quale smania, sentirsi innamorati a Catania sapessi che cos'era, sentirsi innamorati a Matera sapessi che quisquilia, sentirsi innamorati a Reggio Emilia. Eh sì, di giochi con i toponimi se ne potrebbero fare a migliaia, ma chissà perché ci siamo fissati con questo, e qui interrompiamo a fatica, di malavoglia e non prima di aver appuntato una coppia di esempi masochistici e una coppia di esempi micragnosi: sapessi che tormento, sentirsi innamorati a Benevento sapessi che supplizio, sentirsi innamorati a Busto Arsizio sapessi quante spese, sentirsi innamorati a Varese sapessi quanto costa, sentirsi innamorati in Val d'Aosta. Stefano Bartezzaghi