In quel tribunale non si falliva mai

La Procura milanese ha chiuso l'indagine su due responsabili degli uffici giudiziari di Acqui La Procura milanese ha chiuso l'indagine su due responsabili degli uffici giudiziari di Acqui In quel tribunale non si falliva mai «Igiudici vanno processati» La richiesta della procura milanese di processare due magistrati ripropone una vecchia storia: per evitare il rigore dei giudici fallimentari, una volta i bancarottieri torinesi dirigevano le loro società decotte verso Pinerolo. Là fissavano la sede legale e poi mettevano in liquidazione volontaria aziende e finanziarie; la magistratura non colpiva duro. Finché il caso non scoppiò. E il porto delle nebbie, per i fallimenti, si spostò ad Acqui Terme. Ci voleva Gian Mauro Borsano, ex patron del Torino e di tante altre imprese sventolate inizialmente come titaniche, per sollevare la foglia di fico stesa su quest'ultima sede giudiziaria cui si rivolgevano con fiducia da ogni parte del Nord d'Italia. Tanto che ad Acqui si era creato un vero e proprio indotto dei professionisti del settore, fra avvocati e commercialisti: i registri del tribunale erano pieni di richieste di ammissione al concordato preventivo di società decotte, e la realtà ripagava tante speranze. Da dieci anni ad Acqui non si decideva un fallimento, l'ultimo processo per bancarotta fraudolenta risale addirittura a vent'anni fa. Per sfuggire ai giudici torinesi, nel 1992 Borsano trasferisce in zona il suo castello di debiti (66 miliardi solo per la capofila, la vecchia Cima ). In quello stesso arco di tempo (dal 1990 al '931 fanno la stessa scelta gli amministratori di 192 società. Nelle (Jsole Cayman della ban- caretta» la procura milanese, su segnalazione di quella torinese che stava ormai indagando su Borsano, ha individuato i reati di abuso in atti d'ufficio a fini patrimoniali nel comportamento del presidente di allora del tribunale acquese, Giorgio Cacace, e del pm Mauro Velia (ora in corte d'appello a Torino). E ne ha chiesto il rinvio a giu¬ dizio in concorso con lo stesso Borsano, e con il gruppo di professionisti che aveva collaborato all'operazione (Valerio Ferrari, Vittorio Incaminato, Carlo Ferracini e Angelo Moriondo). L'ultimo personaggio inquisito - il bancarottiere Pietro Binelli - aveva suggerito la grande idea a Borsano: lui conosceva la situazione acquese. La procura ha invece chiesto l'archiviazione per Santi Pirrone, predecessore di Cacace e da tempo in pensione. Messo alle strette (nel senso che il suo caso giudiziario gli prospettava un soggiorno in carcere), Borsano decise di collaborare con i pm torinesi del pool fallimentare. A loro raccontò anche di essersi impe¬ gnato per mezzo miliardo con i «consulenti» che gli avevano suggerito la «soluzione acquese». Che per un certo tempo funzionò: in data 19 aprile 1993, il tribunale di Acqui avviò la procedura di concordato preventivo per Partecipazioni Generali (la vecchia Gima) e per altre tre società del gruppo. Quale vantaggio ne avrebbe tratto Borsano, da cui discende l'accusa di abuso a fini patrimoniali nei confronti dei magistrati e suoi? Avrebbe evitato il fallimento, ottenendo - grazie a quella procedura di abbattere legalmente i 66 miliardi di debiti a 27. Per questo, finirono sotto inchiesta in nove. Il pm torinese Giancarlo Avenati Bassi venne applicato ad Acqui e la collega Gabriella Cappello gli dichiarò: «L'avvocato Valerio Ferrari venne nel mio ufficio a chiedermi se volevo occuparmi di due procedimenti concorsuali. Disse: "Sono già stato dal presidente. Pensiamo che lei sarebbe la persona adatta". Io troncai il discorso e, dopo con il collega Moltrasio, commentai quanto fosse strano che un avvocato si ingerisse nelle questioni dell'ufficio. In seguito venni a sapere che quelle procedure riguardavano società di Borsano». Il presidente Cacace ha negato: «Escludo di aver concordato quelle e decine di altre procedure con Ferrari». A proposito della nomina del commercialista Incaminato a commissario giudiziale di Partecipazioni Generali, ha aggiunto: «Lo ritenevo un valido professionista». Quest'ultimo ha ammesso di aver partecipato a una cena con Borsano e il suo staff prima della nomina. «Non avevo capito - ha spiegato alludendo a un primo incontro che si stava discutendo della possibilità di trasferire fittiziamente alcune società al solo scopo di poter presentare domande di concordato di fronte al tribunale di Acqui». Stessa spiegazione per la cena. Il giudice Velia ha riconosciuto: «Quando arrivai alla procura di Acqui trovai gli armadi pieni di fascicoli scaduti. Binelli (di cui ha ammesso la conoscenza attraverso alcuni parenti, ndr) voleva dire processo difficile. Pieno di problemi. Per questo lo accantonai... Ero fuso e preferivo occuparmi di cose meno impegnative». Per Gian Mauro Borsano e i suoi legali Paolo Pavarini e Tom Servetto si profila un nuovo processo dopo la condanna a 3 anni e 4 mesi. Alberto Gaino Decine di società in difficoltà, tra cui quelle di Borsano, vi trasferivano la sede per sfuggire ai rigori della legge Gian Mauro Borsano l'ex presidente del Torino fu tra coloro che trasferirono la propria società ad Acqui Terme Il palazzo di giustizia di Acqui Per due suoi ex magistrati è stato chiesto il processo