JANE DIGBY la Lady che divenne beduina

LA STAMPA le avventurose. Fuga in Oriente, verso Palmira: così una dama vittoriana scandalizzò il suo secolo JANE DIGBY | GLI zoccoli dei cavalli sollevano la sabbia del deserto in mille schizzi, l'aria risuona di lamenti e urla, ge mono i cammelli feriti a morte, sibilano le pallottole dei fucili. E' il 1872. A Jabbul, circa quaranta chilometri a Nord di Aleppo, si combatte uno dei più cruenti scontri fra beduini nella storia della Siria. Con gli uomini della sua tribù - a fianco del marito, il caposceicco Medjuel el-Mizrab - c'è anche «la madre del latte», come i badu chiamano la loro «regina» per lo splendore della candida pelle. Lady Jane Digby cavalca la sua giumenta in maniera impeccabile, maneggia le armi con perizia, insegue i nemici, li incalza, infine scompare dalla vista di tutti, inghiottita dal vento nella luce incerta del tramonto. E' morta, si disse. La notizia fece il giro degli accampamenti e delle oasi, arrivò in città, si propagò nei salotti d'Europa conquistandosi colonne di piombo sui giornali. Era scomparsa una donna che dietro di sé lasciava una tempesta di pettegolezzi, rivalità, duelli, fughe, figli, mariti, amanti. Una donna scandalosa. Che aveva osato avventurarsi al di là delle regole e dei privilegi riservati a una nobildonna inglese. E si era sottratta alla quieta felicità coniugale che si trasforma in rito, alle cerimonie del tè pomeridiano fra le argenterie di famiglia, alle lunghe sere nelle dimore di campagna rallegrate da preghiere, letture, ricami, musica. Di trasgressione in trasgressione, sempre in bilico fra innocenza e sconsideratezza, aveva lasciato che l'amore - la ricerca dell'amore come la fuga da un amore deludente - disegnasse gli itinerari della sua vita. Finché, alla vigilia dei cinquant'anni, era approdata nella tenda nera di un bedumo. Una rinascita, nel segno più ùnprevedibile. E un altro motivo di scandalo. Non solo agli occhi della famiglia, che da molto tempo aveva rigirato contro le pareti tutti i suoi ritratti. Ma Jane non era morta in quella battaglia. Tomo e lesse le fantasiose ricostruzioni della sua vita, la lista dei mariti e degli amanti che le avevano attribuito, i pruriginosi cordogli di presunti amici. Si divertì moltissimo. Smentì. Precisò. Negò l'esistenza di biografi autorizzati. E - con la lievità del vivere che sempre l'aveva accompagnata, insieme con la sicurezza che le veniva dalla bellezza, dal denaro, dal privilegio dell'educazione ricevuta - tornò a quella che era ormai la sua esistenza. Disse: «Se non avessi lo specchio e la memoria, mi sentirei una quindicenne». Aveva rotto ogni ponte con l'Occidente. Non aveva nostalgie, non rimpianti. Dei suoi cinque figli conservava un vago ricordo. L'amore inesausto per la libertà le aveva regalato un'avventura straordinaria. Era diventata «più beduma di una beduina». Per amore. Per la felicità di vivere una nuova vita. Per la magìa che l'Oriente non finiva mai di esercitare su di lei. Figlia dell'ammiraglio Digby e nipote del primo conte di Leister, il proprietario più ricco e potente della contea di Norfolk, Jane era nata nel 1807 a Norfolk e era cresciuta a Holkham Hall nell'imponente dimora del nonno paterno. Occhi azzurri di porcellana, capelli biondi con venature tizianesche, figura slanciata e di naturale eleganza, a sedici anni i genitori la diedero in moglie a Lord Ellenborough, gentleman molto ricco, salottiero, spregiudicato, che di anni ne aveva il doppio. Fu un matrimonio infelice. Il Lord si stancò presto della sposa e tornò a fare la sua vita lasciando sola Jane, corteggiatissima. Incomincia allora la sua carriera di giovane donna irregolare, spavalda, noncurante delle critiche. Nemmeno la nascita di un figlio migliora il rapporto col marito. Ha poco più di vent'anni quando fugge a Parigi con un focoso principe austriaco. Ha da lui due figli, mentre a Londra si celebra la causa del suo divorzio davanti alle Camere dei Lord e dei Comuni, con deposizioni piccanti di camerieri, garzoni di stalla, albergatori, cocchieri. Ma Jane è ormai lontana dal perbenismo dell'alta società inglese. A Parigi frequenta pittori, musicisti. Parla otto lingue. E' colta, brillante, un'ottima conversatrice. E bellissima. Ha un flirt con Balzac, che ne fa un personaggio del suo «Giglio della valle», dove - con singolare preveggenza - la definisce «una rondine del deserto proveniente dall'Oriente» e associa alla sua immagine quella del «deserto, la cui ardente vastità è visibile nei suoi occhi, il deserto tutto azzurro e amore...». Anche la separazione dal principe e dai figli non è traumatica. Avviene all'improvviso, nel 1831. Jane abbandona tutto e riappare a Monaco, poi ad Atene. Ha altri due mariti, altri tre figli, e uno stuolo di amanti fra cui Luigi I di Baviera, suo figlio Ottone re di Grecia, il futuro Napoleone III. E' considerata una delle donne più belle d'Europa. Quando muore il suo ultimo nato, l'unico che ha tenuto con sé, il più amato, sembra una donna spezzata. Si mette a studiare archeologia e storia, le passioni che Luigi I le aveva comunicato. Si tuffa nei viaggi e nell'avventura. Vuole dimenticare. Ma è sempre alla ricerca di sé, dell'amore come verità e tensione. Entrano allora nella sua vita personaggi assolutamente anomali. Come il generale Xristodolous Hadji-Petros, comandante di una banda di leggendari mercenari provenienti dalle montagne dell'Albania e diventato il beniamino delle dame ateniesi: un ultrasessantenne dallo sguardo feroce e il piglio principesco, con un costume tutto ricami color cremisi e oro, armato di grosse pistole, sempre circondato da uomini baffuti trasudanti puzza di aglio. Con lui Jane va a vivere nelle sue montagne. Prova l'ebrezza della donna del capo. Di giorno galoppano per lande desolate e paurose. La notte dormono nei bivacchi dei briganti. I miti romantici di un'adolescente diventano la sua realtà. Lo vuole sposare, vuole costruire un nido d'amore, coprirlo di doni. L'ennesima delusione la coglie a 46 anni. E' sola. Con una fedele cameriera francese, Eugénie. E con una rendita di tremila sterline l'anno, oltre agli splendidi gioielli i suoi smeraldi erano famosi - dono di ricchi amanti. Decide di abbandonare per sempre l'Occidente. Sul suo diario per la prima volta il futuro appare non promettente. Si dirige verso la Siria e qui subito - incorre in nuove storie d'amore, nuove frustrazioni, nuove notti di voluttà fra le palme e le dune dorate, nuove prove della doppiezza degli uomini. Non si arrende, non conosce la rassegnazione. Si muove con una carovana di battistrada, cammelli, cavalli, servi e scorta annata. Non porta con sé - come tanti altri viaggiatori del tempo - carrozze imbottite, bauli-armadio, batterie da cucina, mobili, letti smontabili, biblioteche, dispense. Però non rinuncia al vasellame di famiglia, ai damaschi da tavola e alla biancheria per il suo letto fatti venire da Londra, al guardaroba personale, le creme, gli unguenti, i pettini e i ferri per arricciare i capelli. Palmira è la sua meta. Lei può essere la prima donna che si avventura da sola fra le rovine. Di quel mondo lontano - da turista diligente - legge i libri che ha con sé, abbozza disegni e acquerelli, scrive prendendo appunti. Ripercorre il regno della mitica regina Zenobia. Ritrova tracce dei giardini, i prati, i fiori che un tempo lì si stendevano. Si accampa fra i due castelli omayadi posti uno ad Est e uno a Ovest dell'oasi di Tadmor. Presta ascolto al silenzio e al linguaggio del deserto. E' lo scenario del suo amore con lo sceicco Abdul Medjuel el-Mezrab, di alcuni anni più giovane di lei, capo di una tribù che controlla proprio quella zona, istruito, di famiglia nobile, gran conoscitore della storia antica della Siria e delle leggende del deserto, fa(v scinoso parlatore e amante voluttuoso, uomo d'azione e di forti / passioni. Jane se :|1|§I ne innamora perdutamente e per quasi trentanni gli resterà a fianco, fra gelosie, sospetti, romantiche lune di miele, eseguimenti, riconciliazioni, in un'ininterrotta reciproca e tempestosa attenzione. Davanti alle rovine di Pahnira si danno il primo bacio, lui la chiede in sposa, consumano le prime notti d'amore. E si avvia il loro ménage, circondati da una folla di fratelli, cognate, nipoti, nere tende beduine, gli uomini della tribù sempre intomo al capo e completamente sedotti dalla signora bianca che parla il dialetto degli anazeh, è un'intenditrice di cavalli e anni, cura le malattie, ricompone i dissidi, finanzia - quando ce ne bisogno - una spedizione, non si perde d'animo negli agguati, le razzie, gli assalti che rendono movimentatissima la vita nel deserto. Si erano meontrati l'anno prima, quando Jane era in altri intrighi ili cuore comvolta. Per Medjuel era stato un colpo di fulmine, una passione venata dalla sorpresa e dal senso di sfida. La voleva ad ogni costo. Non era mai successo che un beduino sposasse una cristiana. E lui non voleva essere uno degli amanti che in terra d'Oriente una bizzarra viaggiatrice inglese può regalarsi. Attese. Divorziò dalla moglie. Quando seppe che Lady Digby era tornata libera, partì al galoppo attraverso il deserto portando al suo fianco una stupenda giumenta araba da offrirle in dono. Quando la raggiunse, Jane era fra le rovine e indossava il suo solito mantello di velluto color cremisi. Si sposarono appena possibile, nonostante i tentativi del console inglese di far passare la sua connazionale per una un po' fuori di testa. Vivevano per metà dell'anno nel deserto, per metà a Damasco m una bellissima casa che Jane aveva fatto costume circondata da un giardino pieno di stagni, piante rare, alberi da fiori e da frutto inglesi fra cui pasteggiavano i cammelli o si accampavano gli uomini della tribù. Nessuno dei due chiese all'altro di diventare diverso da quello che era. Dopo quindici anni di matrimonio Medjuel rinunciò a mangiare con le mani e si adattò a usare coltello e forchetta. Mai profittò del denaro della moglie e sempre rispettò i patti stretti al momento delle nozze (se non avesse sopportato la monogamia, poteva avere altre mogli a condizione che Jane non ne sapesse niente). Da parte sua l'onorevole Digby el-Mezrab, come ora nota presso gli occidentali, non divenne mai musulmana e si calò con entusiasmo nella dimensione femminile che più era lontana dalla sua storia e la sua cultura. Fumava il narghilè, andava a piedi nudi, portava il tradizionale abito blu e il velo delle donne musulmane, con il kohl si truccava gli occhi di nero, aveva i capelli divisi in due lunghe bande, | «mungeva i cammelli, serviva il marito, gli preparava da mangiare, gli porgeva l'acqua per lavarsi le mani e il viso, si sedeva per terra, gli lavava i piedi, gli offriva il caffè, il sorbetto, il narghilè e, mentre lui mangiava, ella stava ad aspettare e si gloriava di fare tutto ciò» come scrisse Isabel Burton, la moglie del famoso orientalista Richard Burton. A sessantanni gliene davano quaranta. «Le inglesi conoscono i trucchi del diavolo per rimanere giovani» annotò un viaggiatore francese dopo averla incontrata. A settanta affascinava gli islamisti, gli archeologi, i poeti ammessi al suo cospetto. A settantaquattru, qualche mese prima della morte che avvenne nel 1881 quando il colera si abbatte su Damasco - incominciò a trovare un po' troppo faticose le notti nelle tende beduine e le cavalcate per giorni e giorni nel deserto. Una sola volta era tornata in Inghilterra. Nel 1857. Per incontrare la famiglia, gli amministratori, gli avvocati, e fare testamento in favore di Medjuel. Mancava da Londra dal '30, il tempo della fuga a Parigi. Quella visita fu un disastro, per l'imbarazzo dei parenti che non dimenticavano il suo passato e non le perdonavano né la felicità che ora irradiava intorno a sé né quel marito nero che non vollero mai neppure nominare. Ci rimase il minimo indispensabile, divorata com'era dalla nostalgia. Si fermò a Parigi giusto il tempo per comprare un pianoforte, un guardaroba elegante (a Damasco vestiva abiti magari démodé ma di fattura squisita) e una partita di polli. Proseguì con impazienza. Scese a Beirut. Fece una cavalcata nella notte, trepidante come una giovane sposa: «Con il cuore che batteva, arrivai a Damasco... Medjuel mi venne incontro, il caro, l'adorato Medjuel, e in quel momento di felicità dimenteai ogni altra cosa». Liliana Madeo E nel deserto rincontro decisivo con il «suo» sceicco fra battaglie e razzie A 46 anni, in viaggio verso la Siria, sulle tracce della regina Zenobia RACCONTI D'ESTATI Jane Digby in un ritratto ottocentesco. Sopra, una tipica scena araba da «Tangeri» di Delacroix Era considerata una delle donne più belle d'Europa Balzac ne fece un suo personaggio Lo sceicco Medjuel el-Mizrab, e alla sinistra la Digby in tenuta beduina