Quella coppia unita dalla fede

Quella coppia unita dalla fede Il ruolo del padre putativo di Gesù: un grande messaggio di pace per tutta l'umanità Quella coppia unita dalla fede ERA Giuseppe bello di forme e avvenente di aspetto». Così dice la Bibbia. Ma quello era un altro Giuseppe. Era il figlio prediletto del patriarca Giacobbe, venduto per invidia dai fratelli ai mercanti stranieri, che poi, dopo varie vicende, divenne viceré d'Egitto. Quando il popolo andava a chiedere qualcosa al Faraone, questi diceva: «Ite ad Joseph!», andate da Giuseppe. Quell'«ite ad Joseph!» è passato poi, nella storia della pietà cristiana, all'altro Giuseppe, quello dei Vangeli, lo sposo di Maria di Nazareth, «padre putativo» di Gesù. «Ite ad Joseph!», dicevano i predicatori ai pii fedeli, indirizzandoli per richiesta di grazie al «Glorioso Patriarca San Giuseppe», capo e custode della più santa delle famiglie, patrono della Chiesa e dei moribondi. «Ite ad Joseph!», ha detto anche Giovanni Paolo II, sei anni fa, dedicando al santo ima Esortazione apostolica, intitolata Redemptoris Custos, custode del Redentore. Ieri, papa Wojtyla è tornato a illustrare la figura di San Giuseppe, inqua- drandola nel tempo e nel costume ebraico di allora e sottraendolo anche alla tradizione popolare cristiana, che, per giustificarne la verginità, ne ha fatto un vecchio con la barba bianca, accanto alla sua giovane sposa Maria. Questo Giuseppe di Nazareth, infatti, come si usava a quei tempi, sui vent'anni, aveva sposato Maria, di età sui 14 anni, la quale doveva essere una ragazza bellissima poiché, essendo Immacolata, non aveva avuto difetti di peccato e quindi nemmeno di corpo. Non per nulla la Chiesa si rivolge a lei cantando Tota pulchra es Maria, tutta bella sei o Maria. E perché non si dovrebbe dare il caso che anche Giuseppe, come il suo antico omonimo egiziano, fosse «bello di forme e avvenente di aspetto»? Insomma, bisogna proprio credere che quella era veramente la più bella coppia del mondo, sotto tutti gli aspetti, spirituale e fisico. Ma a questa bella coppia capitò questa storia di Gesù. Una storia che è tutta dentro la fede. Chi è fuori della fede può anche ridere su questo giovanotto di Nazareth, falegname di campagna, costretto a credere che un figlio arrivi dal Cielo, portato non (dalla cicogna, ma dalla colomba dello Spirito Santo. Chi crede in Gesù vede invece la sua fede così: Gesù entra nella storia come un uomo comune (nasco da ima madre), ma per un intervento straordinario dello Spirito di Dio. Egli «non è figlio della carne e del sangue», dice infatti San Giovanni, ma il dono di Dio all'umanità. E' per questo che Gesù proviene da Dio anche generativamente. Ma, per il mondo ebraico, il Messia doveva essere anche il «figlio di Davide». Questo collegamento avviene attraverso Giuseppe che, pur ridotto in povertà, discende dall'antico re d'Israele. Se Gesù è «figlio di Davide», lo è perché è «figlio» di Giuseppe. Questi ne è il padre «legale» non solo perché lo difende o lo rappresenta davanti alle autorità del suo popolo, ma soprattutto perché attua con la sua paternità la legge del messianismo davidico. La cosa, di certo, è un po' intricata teologicamente. Allora, forse, è più facile ripiegare sulla devozione. San Giuseppe, patrono dei moribondi, è invocato «acciocché possiamo virtuosamente vivere e piamente morire». Sono le parole di una vecchia preghiera di papa Leone XIII, forse dimenticata anche da molti pii cristiani. Ma Dio sa se, anche oggi, abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci aiuti a vivere e a morire in pace! Domenico Del Rio

Luoghi citati: Egitto, Israele