«I nostri musei un mondo di patacche di Maurizio Assalto

L'ultima denuncia viene dall'ex direttore del «Metropolitan» L'ultima denuncia viene dall'ex direttore del «Metropolitan» Arte, i fasti del falso «I nostri musei, un mondo di patacche* jjj ULTIMO colpo al cuore (o / forse è già diventato il penultimo) è di pochi giorni fa: il famoso dipinto di 1 Paolo Uccello San Giorgio e il drago, che fa bella mostra di sé alla National Gallery di Londra, non è di Paolo Uccello. A sostenerlo non è un giornalista in vena di facili scoop, ma un'autorità mondiale come Thomas Hoving, l'ex direttore del Metropolitan Museum di New York, nel suo nuovo libro False Impressions, in uscita da André Deutsch. Lo studioso argomenta la tesi in base alla comparazione stilistica con La battaglia di San Romano, un altro grande dipinto del maestro rinascimentale, esposto a pochi passi dal San Giorgio. Ma già incalza un altro lancio d'agenzia: le opere di Modigliani esposte fino a domenica a Marina di Massa non sarebbero di Modigliani. La rivelazione ha un'origine meno prestigiosa ma a suo modo intrigante: viene da Giuseppe Saracino, autore con due amici della celebre beffa dei falsi Modi, nell'estate dell'84, che attribuisce i quadri a un certo Christian Parisot, l'organizzatore della mostra, contro il quale ha già presentato un paio di denunce corredate da varie perizie. Quale che sia il valore da assegnare di volta in volta a questa o quella scoperta (la tesi di Hoving, per esempio, non trova d'accordo uno dei massimi professionisti di expertise come Federico Zeri), resta il fatto che quasi ogni giorno in qualche parte del mondo c'è qualcuno - privato collezionista o istituzione pubblica - che si rende conto di avere in mano una patacca. Lo confessa lo stesso Hoving, nel suo libro destinato a far discutere: «Nei 15 anni in cui sono stato al Metropolitan ho dovuto esaminare 50 mila opere d'arte. Un buon 40% erano false, o completamente rifatte, o erroneamente attribuite. E da allora sono sicuro che la percentuale è cresciuta. Pochi addetti ai lavori sembrano voler ammettere che il mondo dell'arte in cui viviamo oggi è un mondo spregiudicato in cui la falsificazione è pratica corrente». Esagerazioni? Sensazionalismo? Niente di inverosimile per chi abbia letto le confessioni librarie del più celebre falsario del secolo, quell'Eric Hebborn morto misteriosamente all'inizio dell'anno dopo avere beffato esperti di tutto il mondo. Le sue opere «nello stile di» (Corot, Tintoretto, Pontormo, Parmigianino, Tiepolo, Mantegna...) sono finite nei musei più importanti, molti dei quali, come spiega Hoving, sono restii a ammettere i propri errori per non inimicarsi i mecenati e i consiglieri d'amministrazione. Proprio il Metropolitan, nell'autunno scorso, ha rotto il muro di omertà con una coraggiosa mostra sui suoi Rembrandt in cui i capolavori originali (appena 18) erano esposti fianco a fianco con i falsi dichiarati (ben 24). Il maestro olandese è uno dei più bersagliati di tutti i tempi: in seguito a un esame effettuato nel '93, su 13 quadri della londinese Wallace Collection attribuiti a Rembrandt alla fine dell'800, uno solo si rivelò autentico. Sorte simile è toccata a Goya: da una rassegna organizzata sempre al Metropolitan l'anno scorso è emerso che solo una metà dei 16 dipinti esposti erano autentici. Del resto, il Catalogo ragionato sul pittore spagnolo pubblicato nel '94 dallo studioso José Luis Morales y Marin riconosceva la falsità del 10% delle sue 750 opere (tuttora in mostra al Prado come agli Uffizi e alla National Gallery di Washington). Un po' più lontano ma non meno clamoroso lo scandalo dei falsi Vermeer. Esplose nel maggio '45 nell'Olanda appena liberata, quando il pittore Hans van Meegeren dovette affrontare l'accusa di collaborazionismo per aver venduto a Goering un tesoro nazionale, la Maddalena che lava i piedi del Cristo attribuita allo sfuggente maestro secentesco. Dopo un paio di mesi, la confessione sensazionale: quel quadro l'aveva dipinto van Meegeren. Ormai il falsario non poteva più trattenersi, così rivelò di essere lui l'autore di altri quattro Vermeer, fra cui la Cena di Emmaus (acquistata dal Boymans Museum di Rotterdam nel 1937), nonché di vari Frans Hals e Pieter Hooch. E terminò la confessione dichiarando che i falsi erano la sua vendetta: «Ora ho provato che sono un artista dotato, che i critici mi hanno malgiudicato e danneggiato nella mia professione». Fu condannato a un anno di carcere, ma non fece in tempo a scontarlo perché poco dopo la sentenza morì d'infarto, accompagnato dalle maledizioni di critici superciliosi. Eppure tanto più di loro aveva saputo capire Vermeer e gli altri pittori in cui si era immedesimato: calandosi nei loro colori, impastandosi nelle loro pennellate, confondendosi con il loro respiro, assumendone lo stesso sguardo, rivivendone le emozioni. Forse sono proprio i grandi falsari, con i loro sortilegi empatici, i migliori conoscitori dell'artista. Maurizio Assalto Da Paolo Uccello a Goya da Vermeer a Rembrandt Una lunga querelle che divide gli esperti A destra, «San Giorgio e il drago» dipinto contestato di Paolo Uccello; a sinistra, «La cena di Emmaus» spacciato per Vermeer dal falsario che lo dipinse

Luoghi citati: La Maddalena, Londra, New York, Olanda, Rotterdam, San Romano, Washington