LAUREANO l'acqua perduta e il segreto dei Maya

111 LAUREANO L'acqua perduta e il segreto dei Maya MATERA DAL NOSTRO INVIATO All'alba, l'uomo ebbe una visione tenace. Era sceso, attraverso le rocce del deserto, in un labirinto di umidi ipogei. Nell'ultima caverna, profonda come una piramide rovesciata, risuonava una pozza, che fra due stalattiti nutriva un fiore di pietra. Pietro Laureano, architetto, archeologo, gran lettore di Borges, potrebbe aver fatto questo sogno dormendo nel deserto di Marib, la città della regina di Saba, o nella selva Lacandona dello Yucatan, o ad Axum, in Etiopia, la sera che vide l'Arca dell'Alleanza. 0 nella sua casa di Matera, scavata nella roccia delle Murge e dissetata da una rete di cisterne millenarie, complicata come un sistema di alambicchi. Le storie che un uomo racconta possono essere tante, ma in fondo somigliano sempre alla stessa. Qualunque destino, scrive Borges, per lungo e complicato che sia consta in realtà d'un solo momento. Quello di Laureano, cercatore e «rabdomante» dell'Unesco, ò giunto scoprendo un luogo-simbolo dei Maya, che gli ha permesso, dopo anni di studio delle più antiche civiltà, di abbozzare una nuova ipotesi sul popolo precolombiano. La sua storia comincia nel 1978, sulla costa algerina, dove con una équipe di Firenze deve realizzare una nuova città. Dopo otto mesi di lavori fa un rapporto nel quale dice che il progetto non serve a niente, è solo una speculazione. Si dimette e torna in Italia. «Il governo algerino, che aveva apprezzato la decisione spiega - mi chiese di realizzare il piano regolatore di una città oasi. Rimasi due anni a Bechàr, ai confini del Marocco». Laureano confronta le pagine degli storici con quello che vede e capisce che qualcosa non funziona. Il governo algerino vuole radere al suolo le oasi e costruire città di cemento. E' convinto, il governo, che le oasi siano insediamenti fugaci, costruiti e poi abbandonati dai nomadi. «Invece gli autori arabi parlano del deserto "che si può attraversare all'ombra delle palme": trovai i foggara, sistemi idraulici antichissimi che alimentano le oasi, cercai di far capire che quello era il modo giusto per abitare il deserto. Volevo impedire che si ripetesse l'errore compiuto a Matera negli Anni 50, con la gente costretta a lasciare i Sassi, considerati simbolo di miseria, per andare nelle case di cemento, in cui sarebbe stata peggio. Certo, a Matera c'erano grossi problemi, le acque non erano più irreggimentate perché il sistema dei canali era interrotto da secoli. La «civiltà» industriale non sapeva che farsene di una città con terrazze, giardini, cisterne, ancora nel medioevo geniale modello di adattamento termico e igienico-sanitario. Sotto la piazza maggiore di Matera è stata trovata una cisterna lunga 300 metri e larga 15, ancora piena di acqua limpida». La casa-labirinto di Laureano, che gli artigiani locali stanno restaurando con tecniche tradizionali, è il simbolo dei Sassi che rinascono. Grazie a lui, anima della coope- rativa «Ipogea», i Sassi sono diventati patrimonio dell'Unesco, che finanzia anche un centro studi. L'abitazione sarà un modello di bioarchitettura, come le antiche civiltà mediterranee. Avrà fax, modem e Internet, ma anche pareti perfettamente coibentate con la pozzolana, una grotta sauna rivestita di «cocciopesto» e l'«onfalos», ombelico della casa illuminato da un raggio di sole al tramonto. Altro che Lloyd Wright: l'acqua non arriverà dall'acquedotto, ma dalla pioggia, come un tempo. «L'Usi protesterà - dice Laureano - ma scommettiamo che la mia acqua sarà più pura?». Dopo che l'Unesco ha accettato la sua proposta di restaurare le oasi algerine, Laureano si sposta a Petra, in Giordania. ((Anche Petra era una città d'acmie, per migliaia di anni centro < >vaniero ricchissimo, scavato nv,..u roccia. Un'opera immane, improvvisamente abbandonata. Allo stesso modo furono abbandonati gli insediamenti nel deserto arabico, a Nord dello Yemen, e la città-giardino di Marib, leggendaria capitale dei Sabei». A Petra, invece di puntellare i monumenti, Laureano ricostruirà il sistema ecologico, non per farne una città-museo, ma per riportarla all'antica armonia. Con l'acqua, che qualche anno fa ha affogato alcuni turisti inglesi, si possono ben far nascere i fiori dalla pietra. Nel '95 Laureano è in Messico, nello Yucatan. Mesi nella selva Lacandona, quella del subcomandante Marcos, a dorso di mulo nei villaggi del Chiapas. Si chiede perché i Maya abbiano dedicato tanto tempo e ricchezza per costruire grandi città nella foresta, abbandonate senza traccia di incendi, guerre, epidemie. Come se la gente avesse improvvisamente deciso di partire. «La foresta pluviale dello Yucatan spiega - sembra un luogo fertile, ma è retta da un equilibrio precario: il suolo è fatto di roccia calcarea, di tufo, come la roccia di Matera. Un grande tavolato carsico con humus sottilissimo. Le piogge sono violente, l'acqua sparisce presto in un sistema sotterraneo di imbuti. I Maya avevano gravi problemi di siccità, anche in un ambiente tropicale umido. L'unica possibilità di sopravvivenza era legata alla raccolta delle piogge in serbatoi». Le grandi città, da Uxmal a Chicén Itzà (che vuol dire «le cisterne dei signori dell'acqua»), sono organizzate attorno ai serbatoi. Dapprima vennero sfruttati i «chenotes», voragini naturali, poi furono scavati grandi cisterne dette «chultùn». E il materiale di scavo veniva usato per fare le piramidi. «La raccolta delle acque - sottolinea Laureano - andava di pari passo con il disboscamento e la creazione di argini, ovvero strade: contrariamente a quanto si pensa, non servono solo come collegamento ma prima di tutto rappresentano un terrapieno per contenere l'acqua, che a scrosci violenti e non più protetta dalla vegetazione può disgregare il sottile strato di humus e trasformare la foresta tropicale in deserto. Come in Amazzonia: e alla fine anche l'acqua evapora. Niente, acqua, niente humus: così il sole smantella il terreno». Laureano è sicuro: «Ho controllato tutti i sistemi, tutti i canali nella giungla. Il dio dell'acqua Chac non a caso è rappresentato da grandi maschere sulle gronde delle piramidi: ha gli occhi a "T", il segno delle lacrime, ma quando pioveva l'acqua usciva davvero dalla gola e dagli occhi del dio». Laureano mette insieme quello che le singole discipline studiano separatamente. E conclude: anche le città maya sono un grandioso monumento all'acqua. «Le oasi non sono solo in mezzo alla sabbia. Matera è un' "oasi di pietra" (è anche il titolo del suo libro che ha vinto il premio Hanbury, pubblicato da Bollati Boringhieri, ndr). Nel Mar Rosso ci sono oasi di mare. Le piramidi maya sono isole nel mare verde. Lì la sabbia che avanza è la vegetazione». I grandi templi sono zigguratosservatori da cui i signori assegnavano le particelle di foresta da sfruttare. Con l'aiuto di calendari scrupolosissimi si rispettavano i tempi di semina e raccolta, Ma la piramide era un grande raccoglitore d'acqua: ogni falda, ogni tetto la convoglia nei serbatoi. Le impressionanti piazze monumentali dell'architettura precolombiana, sottostanti alle piramidi, in realtà sono bacini di raccolta». I Maya, conclude Laureano, sono stati ricacciati nella foresta dallo stesso «choc culturale, ecologico», che ha trasformato Marib e Petra in lande desolate e che ha deportato gli abitanti dell'antica Matera: «Se tra mille anni i Sassi fossero riscoperti, si vedrebbe una città di 20 mila abitanti improvvisamente abbandonata, senza gueiTe, terremoti, malattie». La prepotenza delle grandi civiltà idrauliche minaccia ancora culture millenarie, basate sulla sapiente raccolta delle acque piovane. Propone la complessità insensata delle metropoli, scorciatoie devastanti: acqua subito, ma con pozzi che prosciugano le falde più profonde. Invece Laureano sogna un mondo alla rovescia: non la piramide, costoso simbolo dell'assolutismo, ma il suo opposto, la grotta che l'ha generata, simbolo fenmiinile dove l'incontro del Sole e dell'acqua genera la vita. L'oasi-Terra, circondata dal cosmo freddo e sterile, sarà salvata non da opere ciclopiche (dighe, strade, acquedotti), che arricchiscono soprattutto le grandi imprese, ma dal controllo delle energie sottili della natura: «Sono i meccanismi dello scambio ineguale che impoveriscono i Paesi ricchi di risorse primarie naturali e ci fanno considerare sottosviluppati luoghi a cui sottraiamo alimenti e beni a prezzi irrisori. Ci chiediamo, commiserandoli, se i Tuareg soprawiveranno, ma il discorso va rovesciato: fino a quando le nostre aree temperale riusciranno a sopravvivere? Regioni come la Mesopotamia, il Libano e gran parte dell'Anatolia, dove sono nate le più antiche civiltà, in 1500 anni (tempo brevissimo in termini geologici) sono passate dalle foreste e dai giardini coltivati alla desolazione da oggi. Corriamo lo stesso pericolo». «Nelle sabbie del deserto - scriveva lo storico medievale arabo Hasan ibn Alimad al Hamdani - è sepolta una piramide rovesciata, che racchiude ia verità sulla specie umana». La piramide rovesciata è il filo di Arianna che conduce fuori dal labirinto: su una moneta di Cnosso la dimora del Minotauro è penetrata da una linea verticale, diritta come un raggio di sole. Laureano ha trovato il simbolo di questa unione cosmica anche nella giungla dello Yucatan: «Un contadino maya mi ha accompagnato alla grotta preistorica del Lultùn. Davanti all'ingresso c'era una stele fallica alta due metri. L'interno era coperto di graffiti rupestri e al fondo, sotto due stalattiti sigillate alle rispettive stalagmiti come colonne di un tempio, c'era la pozza neolitica dove si formava l'acqua. Sulia parete mi fiore eh pietra n forma di spirale, il simbolo di un labirinto. «Poi la guida ha battuto sulle due stalattiti. Una ha fatto un suono lungo, "lulll...", l'altra sordo, "tunnn...". Nella lingua maya, "Lultùn" vuole dire fiore di pietra». Cario Grande «Si può abitare il deserto sfruttando i sistemi idraulici che nutrivano le oasi» «Petra era fondata su un equilibrio ecologico stravolto dalla nostra civiltà» RACCONTI DISIATI >.»• à<~i mm 111 9 9 6 Nell'immagine grande, la piramide Maya di Palenque nel Chiapas; accanto, Chac dio Maya dell'acqua; qui sopra, l'architetto Pietro Laureano; a sinistra, i Sassi di Matera