L'incubo e il sogno del ribelle Hahuan di D. Q.
L'incubo e il sogno del ribelle Hahuan L'incubo e il sogno del ribelle Hahuan GROZNY DAL NOSTRO INVIATO Adesso è un villaggio polveroso, dove la gente si siede silenziosa davanti alla porta di casa per vedere passare quelli che fuggono da Grozny in fiamme. Forse Valerik era così anche quando Lermontov arrivò con l'esercito dello zar e combattè proprio lì contro i ceceni, lasciandosi dietro una struggente poesia per chiedere di ricordarsi che la terra è troppo grande perché sia necessario battersi per possederla. Hahuan vi è nato ventini anni fa, non sa chi sia Lermontov, lui conosce soltanto il brusio monotono dei canti dei «boivikis», i combattenti ceceni. Adesso sta in agguato in un brutto palazzone stinto del centro di Grozny, quelli che chiamano «kruscioba», che nella enciclopedia del brutto sovietico stanno nell'età di mezzo, tra gli acuti di Stalin e i bassi di Breznev. Stringe in mano la sua piccola parte di modernità, con cui è deciso a sequestrare un futuro per sé e per la sua gente: un lanciagranate, un tubo dall'aspetto stagionato ma micidiale contro uomini e mezzi blindati. Hahuan conta le ore che lo separano dalla scadenza dell'ultimatum russo e dalla battaglia finale: «Con quelli non capisci mai niente, un comandante russo l'altro giorno ha firmato un accordo con uno dei nostri capi, non ha fatto nemmeno in tempo a tornare tra i suoi che già cominciavano a bombardare. Se Eltsin è davvero il loro padrone, lo dimostri costringendoli a rispettare i patti. Potevamo cacciarli via da tutte le postazioni dove sono rimasti accerchiati, ma poi abbiamo deciso di tenerli lì, non ci danno certo fastidio e lino a quando non si muoveranno i loro compagni non si azzardano a radere al suolo tutto». Nelle sue memorie di guerra il nemico non ha contorni, sembra una folla mi po' goffa di manichini. «Ne abbiamo catturati tre, uno era un mercenario, un soldato a contratto e lo abbiamo subito ammazzato, agli altri due, soldati di leva , abbiamo fatto mio scherzo: se riuscite a centrare un bersaglio, gli abbiamo detto, vi lasciamo vivi, altrimenti vi sgozziamo. Ci sono riusciti e uno di loro, tremando ancora di paura, ha mormorato sospirando di sollievo: "Aliali è davvero grande"». Allah appunto: il volto sciupato di Grozny si trucca con le bandiere verdi del profeta, questo certo è un frammento dell'esacerbato mare musulmano dalle onde brevi e violente; quando ti assicurano che cacciati i russi ci sarà «la democrazia» bisogna tradurre con qualche edizione di un medioevo corrotto e tenebroso. Anche Hahuan, certo, è religioso, e spiega che «tra noi molti hanno tradito, si sono schierati con i russi, combattono con loro, ma è un bene che sia così, è Dio che sta filtrando il nostro popolo, separando i buoni dai cattivi». Ma lui, nato nel Caucaso dove il vestito delle nazionalità è stato tagliato e cucito troppe volte e troppo crudelmente, combatte per altre ragioni. Quando si inizia una guerra bisogna sempre trovare mia ragione che sia valida, magari anche per il dopoguerra; i russi non l'hanno, i! giovane ceceno sì. L'arcana e tenebrosa voce della memoria. «Quand'ero bambino mi raccontavano tutti i giorni la storia della grande deportazione. Un giorno vennero i soldati russi, come questi che stanno a seicento metri da qui, con le stesse facce, la stessa arroganza, presero la mia famiglia, i vicini, tutti i ceceni e solo con i vestiti addosso, vecchi donne bambini furono trascinati in un'altra terra che non era nostra, che non avevamo mai visto. Le nostre case veimero occupate dai russi. Sono passati molti anni, loro sono sempre così: è già successo quando abbiamo occupato Grozny la prima volta, quando i soldati sono stati ben sicuri che eravamo partiti, e non hanno avuto più paura, hanno bloccato tutte le strade con i carri armati e hanno iniziato a entrare nelle case, molti che hanno portato via non sono più tornati indietro. Io ero qua e mi sono divertito mi mondo prima che mi ordinassero di ritiranni. Questa volta non mi daranno l'ordine, sanno benissimo che di qua non ci muoveremo». [d. q.]
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