«Don Mimi» il notabile che non diventò mai viceré

Fu il primo accusato della 2a Repubblica Fu il primo accusato della 2a Repubblica «Don Mimi», il notabile che non diventò mai viceré IL destino parla sovente un linguaggio che solo il tempo consente poi di decifrare. Nel caso di Carmine Mansorio, noto a Nola come «don Mimi», la sorte parlò lunedì 30 maggio del 1988. Erano gli anni in cui la de, ed in particolare la de campana, cominciava a sfaldarsi. Gava, Scotti, Pomicino resistevano ancora ma in posizioni sempre più arroccate e lontane. Del rapimento di Ciro Cirillo, delle trattative in carcere con la camorra di Cutolo, del riscatto pagato alle Brigate rosse si sapeva ormai tutto. I tempi insomma erano pronti perché una nuova generazione di politici si facesse avanti. Don Mimi faceva già parte del «club dei cento». Cento, nel senso di centomila preferenze. Nella circoscrizione Napoli-Caserta era risultato l'ultimo dei grandi (esattamente, 111.149 voti) dopo Gava, Pomicino, Scotti, Vincenzo Vito ma prima di persone come Ugo Grippo, Mario Brancaccio o Michele Viscardi che pure contavano più di lui. Dov'era il segreto? Nel fatto che Grippo, Brancaccio e gli altri in qualche modo facevano gruppo, determinavano la politica dei viceré, mentre lui era solo. Aveva tentato, don Mimi, di costituirsi in corrente ma proprio quel giorno a Marcianise la sorte gli tirò uno sberleffo. Pietro Trombetta, medico come lui, candidato di rottura, giunse secondo nelle amministrative ad un solo voto dall'ex sindaco Squeglia, gavianeo di ferro. 2060 voti contro 2061. Raccontano che prima di rassegnarsi Mensorio avesse commentato, più ironico che deluso: «Avrebbe potuto votarsi due volte da solo». Qualche anno più tardi Trombetta sarebbe stato ucciso mentre era consigliere comunale: il clan di Carmine Alfieri, si disse, aveva punito un politico dal comportamento ambiguo. Ma neanche allora qualcuno osò riferire il medesimo concetto di ambiguità all'attività del capocordata. Catte¬ dratico di anatomia, potente direttore dell'Isef di Napoli, amico dei medici di mezza provincia, prima fanfaniano, quindi demitiano, indi gavianeo, Mensorio era tutto tranne che ambiguo. Al contrario, nella gestione del potere locale si mostrava deciso, alacre, disponibile, determinato. Democristianamente immutabile. Il suo regno era Nola, «dove nacque Giordano Bruno e morì Ottaviano Augusto», come amava sintetizzare tralasciando i secoli di mezzo e soprattutto i successivi. Unico professionista in una famiglia di proprietari dell'entroterra, Carmine Mensorio prendeva il suo ruolo molto sul serio. E non per finta. «Uomo nobilissimo», dicono lì dove nacque Giordano Bruno. «Una persona aperta e disponibile alle esigenze di tutti», racconta Giuseppe Fucci, uno dei suoi avvocati: «Un galantuomo che sci-

Luoghi citati: Caserta, Marcianise, Napoli, Nola