Inseguito precipita e si uccide

Il giovane insieme con due amici non si era fermato all'alt della polizia Il giovane insieme con due amici non si era fermato all'alt della polizia Inseguito, precipita e si uccide E' un clandestino albanese Un clandestino albanese ha battuto la testa ed è morto sul colpo, precipitando da un muro di protezione della ferrovia. Un volo di otto metri per sfuggire alla polizia. Gli agenti volevano arrestarlo dopo aver scoperto che c'era un revolver nascosto nell'auto su cui viaggiava con altri due connazionali. La vittima è Arben Ipeku, 32 anni, via Guido Reni 213/12. Aveva diversi precedenti penali, compreso il sequestro per cinque giorni di una bimba di 8 anni per convincere la madre a prostituirsi. La disgrazia che è costata la vita all'albanese è avvenuta l'altra notte alle 3,30, in via Tirreno all'altezza dell'incrocio di via Arbe. Arben Ipeku, guidava una Fiat Croma, intestata al fratello. Con lui viaggiavano due connazionali, Agron Cecaj, 36 anni, e Deda Ardjan, di 25. In corso Siracusa, alla periferia Sud della città, la vettura incappa in un posto di blocco. Con la paletta la volante della polizia intima l'alt. Ma la Croma non si ferma. C'è un breve inseguimento e gli agenti bloccano l'auto, sempre in corso Siracusa angolo via Tirreno. Comincia la perquisizione. Gli albanesi sono inquieti, nervosi. Troppo. Infatti spunta un'arma. E' nascosta nella guaina in pelle che ricopre la leva del cambio. Si tratta di un revolver Bernardelli calibro 32 con sei colpi infilati nel tamburo. L'arma risulterà rubata nel maggio '95 in una casa di Roccafranca (Brescia). Gli albanesi a questo punto cercano di fuggire. Ci riesce solo Arben Ipeku, subito inseguito da un poliziotto. L'extracomunitario corre a perdifiato per un centinaio di metri. Finché raggiunge il vicino muro di sostegno del canalone in cui passa la linea ferroviaria. Ipeku si mette a cavalcioni. Sua intenzione è buttarsi dall'altra parte, nascondersi nei rovi che crescono abbondanti a ridosso del muretto. Frattanto l'agente che lo insegue si è bloccato, colpito da una contrattura muscolare a una gamba. Il poliziotto esplode un colpo di pistola in aria, a scopo intimidatorio. Ma l'albanese non c'è già più. Nel frattempo si è lanciato dal muretto, non rendendosi conto del dislivello di otto metri perché in parte coperto dalla vegetazione e anche perché la zona è scarsamente illuminata. Arben Ipeku cade così all'indietro, batte con violenza il capo sulla massicciata della ferrovia, muore sul colpo. Ci vorrà del tempo per rimuovere il suo cadavere, disteso sui binari di servizio che arrivano fino al deposito ormai abbandonato della Zùst Ambrosetti. Scatta un nuovo allarme. Si avvisa il magistrato di turno. Vengono chiamati i necrofori per rimuo- vere il cadavere. Intanto i due albanesi che si trovavano sull'auto con Arben Ipeku vengono portati in questura e quindi in carcere con l'accusa di detenzione illegale di arma da fuoco. Viene poi rintracciato e informato il fratello della vittima. Infine i poliziotti Arben Ipeku la vittima e il punto della ferrovia dove è precipitato L'anno scorso fu arrestato dopo aver rapito una bambina per indurre la madre a prostituirsi vanno a perquisire l'alloggio di Arben Ipeku. Lo stesso appartamento dove ai primi di ottobre dell'anno scorso erano già andati per arrestarlo. Perché con altri due albanesi aveva tenuto segregata dopo averla rapita, Alina, otto anni appena compiuti. Era la figlia di un'albanese di vent'anni che lui e i suoi complici volevano far prostituire a tutti i costi dopo che un'altra ragazza era sfuggita da pochi giorni a questo lavoro. Una vicenda drammatica che sembra riproporsi con varianti minime quando i poliziotti suonano al campanello di Arben Ipeku. La porta viene aperta da due altre prostitute albanesi. Fingono di capire poco o niente quando i poliziotti le informano che l'amico Arben è morto. Ivano Barbiere

Luoghi citati: Brescia, Roccafranca